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 2010  ottobre 23 Sabato calendario

CHE PACCO NAPOLITANO

Giorgio Napolitano ha tirato un pacco non da poco a Silvio Berlusconi. Il presidente della Repubblica ieri si è messo irritualmente di traverso al lodo Alfano, intervenendo a gamba tesa sull’autonomia dei lavori parlamentari subito dopo l’approvazione del primo articolo del disegno di legge costituzionale da parte del Senato della Repubblica. In una lettera inviata al presidente della commissione affari costituzionali di palazzo Madama, Carlo Vizzini, il Capo dello Stato ha scritto: «Ritengo di dovere esprimere profonde perplessità sulla conferma da parte della commissione della scelta di innovare la normativa vigente prevedendo che la sospensione dei processi penali riguardi anche il Presidente della Repubblica. Questa previsione non era del resto contenuta nella legge Alfano da me promulgata il 23 luglio 2008».
Napolitano ritiene anche che il nuovo testo incida «sullo status complessivo del Presidente della Repubblica, riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni. Infatti tale decisione (...) appare viziata da palese irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento in seduta comune di fare valere asserite responsabilità penali del Presidente della Repubblica a maggioranza semplice». Le osservazioni sono squisitamente tecniche (e hanno almeno una imprecisione), ma la lettera di Napolitano è divenuta subito un caso politico. Primo perché è irrituale che il presidente della Repubblica intervenga sui lavori parlamentari in corso con proprie osservazioni ufficiali. Lo fa all’atto della firma, che può non apporre con decisione motivata di rimandare in Parlamento il testo contestato. Oppure la legge non lo prevede, ma la prassi è sempre stata quella lo fa con la cosiddetta “moral suasion”, inviando ai parlamentari le osservazioni dei propri collaboratori. Da queste regole e da queste prassi Napolitano aveva già deviato una volta, intervenendo pubblicamente sui lavori del consiglio dei ministri prima che fosse approvato il decreto per salvare la vita di Eluana. Fu considerato un atto di guerra da Berlusconi e dalla sua maggioranza. Quello di ieri è il bis, e si può capire come non sia stato affatto gradito dal governo (che pure ha taciuto e abbozzato). Che sia un atto più politico che formale è chiaro anche dal testo della lettera, in cui Napolitano compie un errore marchiano: il lodo Alfano che lui firmò a inizio legislatura (quello poi bocciato dalla Corte Costituzionale) comprendeva anche il presidente della Repubblica fra i beneficiari: per lui come per il premier, per il presidente della Camera e per il presidente del Senato diceva il testo firmato da Napolitano «i processi penali sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione». La differenza fra quel testo e quello oggi in discussione per il presidente della Repubblica è solo una: lo scudo giudiziario firmato da Napolitano scattava automaticamente, quello previsto dal nuovo lodo che non è più “Alfano”, ma “Gasparri” prevede una comunicazione del procedimento al Senato e un voto di concessione o meno dello scudo del Parlamento riunito a maggioranza semplice dei presenti. Su questo punto i timori del Capo dello Stato possono anche essere giustificati, perché quel voto a maggioranza semplice può correre il rischio di trasformarsi in un’arma di ricatto verso il Colle.
Una maggioranza spregiudicata potrebbe per ipotesi dire: «O tu mi firmi la legge cui io tengo e che non vuoi, o io ti tolgo lo scudo dai processi». Napolitano sottolinea come l’articolo 90 della Costituzione preveda la messa in stato di accusa del Capo dello Stato per alto tradimento o per attentato alla Costituzione da parte del Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi componenti. La questione è un po’ di lana caprina, perché con tutte le leggi elettorali in vigore nella Seconda Repubblica le maggioranze di governo coincidono con le maggioranze assolute del Parlamento. Se il Capo dello Stato avesse fatto filtrare alla maggioranza dal 12 maggio in poi (giorno in cui è stato assegnato in commissione il ddl) questo suo desiderio, la modifica desiderata sarebbe stata accolta senza problemi. La scelta della lettera che contiene all’inizio quel clamoroso errore sul vecchio Lodo Alfano rappresenta soprattutto un pacco politico inviato a Berlusconi. Quel testo al momento era l’unico vero impegno rispettato da Gianfranco Fini (proprio ieri mattina Giuseppe Consolo aveva assicurato su Canale 5 a Maurizio Belpietro il voto positivo dei finiani senza modifiche alla Camera).
E appena arrivata la lettera Fini ha già cambiato idea lodando la “saggezza” del Capo dello Stato. Sembrava fatta di intesa fra i due per cinturare Berlusconi. Cinturato dall’asse Fini-Napolitano ora il presidente del Consiglio ha i suoi bei guai. Perché governare davvero non può, ma solo governicchiare: la fedeltà di Fini come si vede dura lo spazio di un mattino. E non può nemmeno gettare la spugna e puntare sul voto: l’asse Quirinale-Camera gli farebbe la sorpresa del governo tecnico puntando sui timori e sul desiderio di restare in carica di una parte dei senatori pidiellini che dopo questa legislatura non avrebbero più né arte né parte. Da ieri il Quirinale è sceso in campo. In modo assai più pesante dell’epoca della povera Eluana.