Pietro Saccò, varie, 23 ottobre 2010
NOBEL PER L’ECONOMIA, PER VOCE ARANCIO
«Se mi avessero consultato prima di istituire un premio Nobel per l’economia avrei espresso con decisione la mia contrarietà. Il premio Nobel dà a un individuo un’autorità che nessuno in economia dovrebbe avere... Questo invece non è un problema nelle scienze naturali. Tra gli scienziati tradizionali l’influenza di un premio Nobel è sui suoi allievi e sugli esperti; se al premiato capita di uscire dalle sue competenze loro possono ridimensionarlo rapidamente. L’influenza degli economisti, invece, è soprattutto su profani: giornalisti, politici, burocrati e, più in generale, sulla gente». (Dal discorso di Friedrich Hayek alla festa con cui gli veniva consegnato il Nobel per l’Economia del 1974)
Chiamiamo semplicemente Nobel per l’economia quello che ufficialmente si chiamerebbe “Sveriges riksbanks pris i ekonomisk vetenskap till Alfred Nobels minne”, cioè “Premio della Banca centrale svedese per le scienze economiche, in memoria di Alfred Nobel”. Alfred Bernhard Nobel – chimico svedese che diventò ricchissimo inventando e producendo la dinamite – non aveva pensato all’economia quando, nel 1895, scrisse il suo testamento col quale istituiva i premi che avrebbero reso immortale il suo nome. Nobel, che morì il 10 dicembre dell’anno dopo per un’emorragia mentre riposava nella sua casa di Sanremo, aveva incaricato gli eredi di finanziare i premi per la fisica, la chimica, la medicina, la letteratura e la pace. Manca anche la matematica, perché, si dice, il matematico Gösta Mittag-Leffler fu l’amante della moglie di Nobel. Non essendo mai stato sposato, Nobel, questa sembra essere solo una leggenda.
Comunque è stata la Banca di Svezia a provvedere all’assenza dell’economia, istituendo nel 1968 il suo premio che, pur non essendo riconosciuto dagli eredi di Nobel, chiamiamo tutti premio Nobel. E come gli altri premi Nobel, più o meno, funziona. È gestito proprio dalla Fondazione Nobel, vale 10 milioni di corone svedesi (poco più di un milione di euro) e viene consegnato, assieme agli altri premi, il 10 dicembre di ogni anno, nell’anniversario della morte di Nobel.
Il processo di nomina è molto lungo. A settembre l’Accademia svedese delle Scienze (che dal 2005 per gestire la cosa incassa dalla Banca di Svezia 6,5 milioni di corone all’anno) contatta individui e organizzazioni qualificate e li invita a suggerire i possibili candidati. Una commissione di cinque membri invita gli esperti a preparare uno studio sui candidati migliori. Quindi restringe la scelta e propone una ristretta rosa di nomi all’Accademia, che decide con voto inappellabile agli inizi di ottobre di ogni anno. La regola vuole che non si possano premiare più di tre Nobel per l’economia in un anno. I vincitori si dividono i soldi e sono premiati con un attestato e una medaglia.
Quest’anno hanno vinto l’americano Peter Arthur Diamond e i suoi allievi Dale Thomas Mortensen (americano pure lui) e Christopher Antoniou Pissarides, nato a Nicosia, la capitale di Cipro, ma oggi cittadino inglese. L’Accademia li ha premiati per la loro «nuova metodologia d’analisi sul mercato del lavoro, volta alla ricerca di attriti», e che punta a spiegare «perchè, nonostante le nuove opportunità di lavoro, ci siano così tanti disoccupati e cosa può fare la politica per ridurre il tasso di disoccupazione». Diamond «ha analizzato gli aspetti fondamentali delle dinamiche dell’attività di ricerca sui mercati, mentre Dale Mortensen e Christopher Pissarides hanno approfondito la sua teoria e l’hanno applicata al mercato del lavoro».
Che cosa significhi tutto questo lo spiega meglio Paul Krugman, Nobel per l’Economia nel 2008: «Allora, la ricerca dei tre economisti ha come presupposto il fatto che molti mercati – e più di altri il mercato del lavoro – non rientrano nel classico paradigma della domanda e dell’offerta, nel quale i prezzi salgono o cadono così rapidamente da garantire che chiunque voglia vendere trovi qualcuno intenzionato a comperare e viceversa. Al contrario, il mercato del lavoro – come anche quello dell’immobiliare – è un mercato nel quale venditori eterogenei si trovano davanti compratori eterogenei, e occorrono tempo e impegno prima di trovare l’abbinamento più conveniente. Ecco perché il tasso di disoccupazione non è a zero quando si raggiunge l’obiettivo della “piena occupazione”. Ecco perché la disoccupazione strutturale è un problema».
Secondo il Fondo monetario internazionale oggi nel mondo i disoccupati sono 210 milioni. L’economista Vaciago: «Il messaggio che ha voluto mandare Stoccolma con questi tre Nobel all’economia è: smettiamola di occuparci di banche, liquidità finanziaria e tassi d’interesse e iniziamo a pensare al futuro dei nostri figli e all’occupazione».
Tutti e tre gli studiosi hanno fatto carriere molto anglosassoni. Diamond, classe 1940, si è laureato in Matematica a Yale, ha preso un dottorato al Massachusetts Institute of Technology e ha iniziato la carriera universitaria. Oggi insegna al Mit di Cambridge ed è considerato tra i massimi esperti di sistemi di Welfare. Tra i suoi allievi ha avuto anche l’attuale presidente della Fed, Ben Bernanke. Mortensen, nato nel 1939, si è laureato in Economia nel 1961 presso la Willamette University e nel 1967 ha preso il dottorato alla Carnegie-Mellon. Oggi insegna alla Northwestern University. Pissarides invece è del ‘48 e insegna alla London School of Economics and Political Science.
La reazione dei tre. «In tutte le mie aree di ricerca io ho ragionato e scritto del tema dei rischi in un’economia e di come i mercati e il governo possono combinarsi per fare in modo che l’economia funzioni meglio per gli individui» sono state le prime parole di Diamond. Mortensen è stato avvisato del fatto che aveva vinto mentre stava entrando in aula per fare lezione. Pissarides, al telefono, ha detto che «il premio è così grosso che non credi che potrai averlo finché non te lo danno davvero».
Pochi possono dire che si aspettavano la vittoria di questo trio. Ad Harvard avevano giocato l’ormai tradizionale toto-Nobel. Ogni professore paga 1 dollaro e può puntare su diversi candidati. In testa c’era Martin Weitzman (che insegna proprio ad Harvard), per i suoi studi economici sui cambiamenti climatici svolti assieme a William Nordhaus di Yale. A seguire c’era Paul Romer di Stanford (teoria della crescita) e Richard Thaler dell’Università di Chicago, con la sua teoria sulla finanza comportamentale e sulla “maledizione del vincitore”. Thaler era il favorito anche di iPredict, il sito neozelandese che raccoglie le scommesse sui Nobel. Subito dopo di lui c’erano Oliver Hart di Harvard e l’economista di Yale Robert Shiller. L’agenzia Reuters includeva tra i papabili anche l’italiano Alberto Alesina, professore ad Harvard ed editorialista del Sole 24 Ore, assieme a Nobuhiro Kiyotaki (Princeton), John Moore (Edimburgo) e Kevin Murphy (Università di Chicago).
A fine settembre, nella prima puntata della nuova stagione, i Simpson avevano previsto la vittoria di Jagdish Bhagwati di Columbia. I nomi di Diamond, Mortensen e Pissarides erano stati citati tra i probabili vincitori sul portale Noisefromamerika, gestito da un gruppo di economisti italiani che lavorano negli Stati Uniti.
La storia del premio, però, lasciava intuire che sarebbero stati degli americani a vincerlo. In 40 edizioni (questa era la 41esima) solo una volta è capitato che non ci fosse almeno un americano tra i vincitori. Si poteva anche prevedere che sarebbe andato a degli uomini dato che tra i 67 attuali premi Nobel per l’economia c’è solo una donna, Elinor Ostrom, premiata nel 2009 assieme a Oliver Williamson per il loro studio su come le istituzioni possono evitare conflitti in una comunità.
Il primo premio Nobel per l’economia andò a Ragnar Frisch (norvegese) e Jan Tinbergen (olandese) «per avere sviluppato e applicato modelli dinamici per l’analisi dei processi economici». Oggi questi due autori sono nomi sconosciuti al grande pubblico. Ma capita lo stesso con la grande maggioranza dei premiati, perché pochi economisti sono davvero riusciti a passare alla storia. Tra questi ci sono sicuramente i “monetaristi” Milton Friedman (Nobel nel 1976) e Friederich Von Hayek (premiato assieme allo svedese Gunnar Myrdal nel ‘74, o Paul Samuelson, Nobel nel 1970, che applicò all’economia i principi della termodinamica. Tra i premiati più di recente sono molto esposti il critico di Bush, Paul Krugman (2008), l’indiano teorico del benessere Amartya Sen (1998) e Joseph Stiglitz (2001).
E forse il più famoso, in questo momento, è John Forbes Nash, premiato nel 1994 assieme a John C. Harsany e Reinhard Selten per la teoria dei giochi non cooperativi. La storia di Nash è stata raccontata nel film A Beautiful Mind (2001) diretto da Ron Howard, in cui la parte del matematico americano è affidata a Russell Crowe. Il film, a sua volta basato sulla biografia di Nash scritta da Sylvia Nasar, racconta la vita errabonda dello studioso, malato gravemente di schizofrenia.
A due giorni dall’annuncio dei premiati nel 2010 è morto un premio Nobel, l’economista francese MauriceAllais, vincitore nel 1988 «per i suoi contributi pionieristici alla teoria dei mercati e dell’utilizzo efficiente delle risorse». Aveva 99 anni, aveva scritto un centinaio di opere e si definiva un liberal-socialista. Alcuni lo consideravano un sostenitore del protezionismo ma molti suoi colleghi non erano d’accordo con questa idea.
L’Italia ha avuto un solo premio Nobel per l’economia. È quello di Franco Modigliani, premiato nel 1985 per la sua analisi del risparmio e dei mercati finanziari. Un italiano a metà, per la verità, dato che le leggi razziali lo avevano fatto fuggire dall’Italia nel 1939 (aveva 21 anni) e dopo una permanenza a Parigi dal 1946 era cittadino americano. La sua teoria più famosa è il Teorema Modigliani-Miller sul valore di un’azienda in base alle sue forme di finanziamento. Famosa anche la sua ipotesi del ciclo vitale, che spiega come il risparmio ed il consumo cambino nell’arco di vita di un individuo.
Modigliani, morto nel 2003, era nato a Roma e nel 1935, a 17 anni, aveva vinto i Littoriali della Cultura e dell’Arte. Il giuramento dei Littoriali diceva: «Combatterò per superare tutte le prove, per conquistare tutti i primati con il vigore sui campi agonali con il sapere negli arenghi scientifici. Combatterò per vincere nel nome di Roma così combatterò come il Duce comanda Lo giuro». Ma nonostante la vittoria, e la sua adesione ai Guf, dovette abbandonare il Paese a causa delle sue origini ebraiche.
Negli Stati Uniti oggi il neo Nobel Diamond è al centro di un caso. Obama lo aveva nominato come membro della Federal Reserve per riempire uno dei tre posti vacanti. Mentre gli altri due candidati – Janet Yellen e Sarah Bloom Raskin – non hanno avuto problemi, il Senato non ha approvato la nomina di Diamond, adesso in stallo in attesa delle elezioni di metà mandato. I senatori repubblicani si sono opposti dicendo che non ha l’esperienza necessaria a gestire la politica monetaria degli Stati Uniti. Obama lo sponsorizza anche su insistenza di Bernanke, che appunto di Diamond è stato allievo. Il premio Nobel dovrebbe garantire all’economista maggiori chance di entrare alla Fed, ma non è scontato. Almeno uno dei repubblicani che si è opposto, il senatore dell’Alabama Richard Shelby, ha spiegato lunedì di non avere cambiato idea: «Il premio Nobel è un riconoscimento significativo, ma l’Accademia Reale di Svezia non determina chi è qualificato per entrare nel Board of Governors».
E adesso il Nobel ci salverà dalla crisi? Difficile, ammette Mortensen: «La soluzione non è semplice, il punto è capire come funziona questo processo, perché qualche volta non c’è abbastanza lavoro e altre volte non ci sono abbastanza lavoratori. Spesso bisogna sperare che chi si occupa di questo, i politici, ci pensino davvero. Non c’è una soluzione magica al problema della disoccupazione». Diamond parla di una ripresa «lenta e dolorosa» dell’economia Usa: «Penso che il processo sarà lungo e doloroso per l’economia nel suo insieme e per chi non riesce a trovare un posto di lavoro».