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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

SCACCO AL CANCRO


Nel 1970 circa una donna malata di tumore del seno su tre poteva guarire, oggi, in certe condizioni, può farcela il 93 per cento. E ce la fa al punto da poter tornare al lavoro dopo pochi mesi, da poter pensare a un figlio dopo una terapia e addirittura da poter portare a termine una gravidanza mentre si cura. Nel 1980 un cinquantenne che si ammalava di cancro del colon aveva 32 probabilità su cento di sopravvivere, oggi ne ha più del 50 per cento, quante quelle di tornare alla vita produttiva fino a vedere i figli diventare grandi e avere figli a loro volta. E questi sono i cosiddetti big killer, ovvero i tumori che colpiscono milioni di persone nel mondo ogni anno. Ma notizie analoghe ci sono anche per chi si ammala di un tumore più raro: quello al testicolo, ad esempio, fino a vent’anni fa era un killer e bene che andasse condannava i giovani colpiti alla sterilità, oggi no; come la leucemia mieloide cronica che da qualche anno si combatte con una pillola efficace in oltre il 90 per cento dei casi.
Sono stati 40 anni eccezionali, con le notizie di nuove cure e successi terapeutici che si sono succedute incessantemente trasformando il profilo stesso della malattia. Era il male incurabile, oggi è una malattia dalla quale si può guarire e con la quale si può convivere per anni. E non anni di invalidità, ma di vita del tutto normale, di traguardi da porsi, di incontri e progetti possibili. Eppure, quella della guerra al cancro non è una storia a lieto fine. Perché la metà delle diagnosi ha ancora un esito infausto. E allora: cosa resta da fare per imbrigliare i tumori come si è fatto con molti dei killer del secolo scorso, dall’infarto all’ictus alle malattie infettive? Lo abbiamo chiesto a Umberto Veronesi, il decano e il più celebre degli oncologi italiani, alla vigilia della Giornata dell’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro).
Quali sono le mosse per dare scacco al cancro?
"Ci sono quattro strade da battere. Possibili oggi perché ci sono state tre grandi rivoluzioni: la rivoluzione del Dna che ci ha permesso di comprendere le ragioni biologiche del tumore, la rivoluzione delle immagini che consente di diagnosticare tumori estremamente piccoli, e poi c’è la rivoluzione terapeutica, fatta di chirurgia conservativa, nuove radioterapie e farmaci, che ha cambiato drasticamente le possibilità di guarigione".
Parliamo di nuove terapie: cosa ci possiamo aspettare?
"Oggi conosciamo cosa porta la cellula a diventare tumore, dove è stata danneggiata e quali mutazioni genetiche sono coinvolte. Così possiamo costruire delle molecole che si dirigono proprio sui bersagli molecolari responsabili della proliferazione neoplastica. Farmaci mirati dai quali ci aspettiamo moltissimo".
Ma che sono a oggi per lo più solo una promessa. Sono dieci anni che se ne parla.
"È un processo lento. Oggi dieci anni sembrano lunghissimi. Ma se pensiamo che la storia del cancro ha 3 mila anni, possiamo ben apprezzare che un decennio è un attimo. La questione è che ci sono moltissimi tipi di cancro, diversissimi tra loro, indotti da cause estremamente diverse, dall’inquinamento al fumo di sigaretta all’alimentazione. È un mondo complicatissimo, e dobbiamo ragionare per fasi".
Qual è la prima fase?
"La diagnosi precoce: l’hi-tech ci permette di vedere lesioni piccolissime e intervenire subito con ciò garantendo percentuali di sopravvivenza molto alte. Io sto per pubblicare un lavoro su 1.200 donne operate per un tumore del seno, scoperto solo con gli strumenti diagnostici: era così piccolo da risultare impercettibile alla palpazione, ma è stato rivelato con ecografia, mammografia e risonanza. Abbiamo seguito per dieci anni queste donne operate e abbiamo riscontrato che il 99 per cento di loro è guarita. In base a questi dati stiamo avviando un progetto in Lombardia che abbiamo provocatoriamente chiamato "Mortalità zero" per vedere su 20 mila donne cosa succede se le si mette in grado di fare l’ecografia due volte l’anno, la mammografia una volta l’anno e la risonanza quando è necessario".
Per scovare tumori molto piccoli si devono testare milioni di persone apparentemente sane che devono sottoporsi a indagini spesso invasive come è la stessa mammografia e come ancor più è la colonscopia. Molti obiettano che avviare ampie fasce di popolazione alla diagnosi precoce ha costi altissimi e genera inutili ansie in molte persone sane.
"È vero. La diagnostica per immagini ha costi significativi e spesso è fastidiosa per chi ci si sottopone. Ma c’è la strada dei marcatori che possono limitare la popolazione da sottoporre a esami più complessi e costosi Prediamo l’esempio del Psa il cui innalzamento è indice di possibile tumore della prostata: è un semplice esame del sangue e costa molto poco, rivela la possibilità che ci sia un tumore e identifica così chi deve fare accertamenti ulteriori, più invasivi e costosi. Il mio cruccio è che non si è fatto abbastanza per scoprire marcatori utili a scovare altri tumori".
Come mai?
"Mettere a punto un marcatore identificabile con un semplice esame del sangue non è di grande interesse economico, e nessuno ci lavora. Non abbiamo, ad esempio, marcatori adeguati per il tumore al seno".
Al tumore del seno lei ha dedicato tutta la sua vita. E racconta il rapporto con le donne che ha curato (ma non solo) nel suo nuovo libro "Dell’amore e del dolore delle donne".
"Trent’anni fa quattro donne su dieci non ce la facevano. Oggi possiamo pensare alla mortalità zero. La quasi totalità delle ammalate conserva il seno, grazie alle nuove chirurgie. E può tornare ad avere figli dopo le terapie: un altro tabù che abbiamo sconfitto. Una volta si diceva che mai e poi mai una donna che aveva avuto un cancro del seno doveva rischiare di restare incinta. Oggi, invece, sappiamo che è del tutto sicuro di farlo. Non solo: poiché le donne fanno i figli sempre più tardi, ci capita di dover operare signore in gravidanza; e lo facciamo salvando la madre e il bambino".
Il seno è una storia di successi, non così per altri cancri. Torniamo alle cose da fare.
"Siamo tutti convinti che la via del Dna sia quella giusta, ma è molto lunga: ogni piccolo passo in questa direzione porta via cinque o dieci anni. Ma ci sono altri aspetti che si devono considerare: è probabile che il 25 per cento dei tumori sia di origine virale. Oggi, ad esempio, sappiamo che il virus del papilloma è causa dei tumori della cervice uterina e abbiamo un vaccino per prevenirlo. Così come sapppiamo che il virus dell’epatite è coinvolto nella genesi del tumore del fegato, che quello di Epstein-Barr causa un tipo di linfoma. E molti altri sono oggetto di indagine".
Il vaccino contro il papilloma è una misura concreta di prevenzione. Per il resto, è l’accusa di molti, non si sono fatti passi avanti per giocare d’anticipo e prevenire la malattia.
"Siamo davanti a una malattia dovuta a un numero di fattori così vasto che è difficile da pensare che possa essere sconfitta. Perché è impossibile liberare il mondo dagli inquinanti, li si può limitare, regolamentare, ma è lo stesso progresso industriale e sociale a riempirci la vita di sostanze che sono corresponsabili della crescita costante dei casi di cancro".
Eppure lei qualche anno fa ci disse che il suo sogno è un mondo senza cancro. Non è più così ottimista?
"Quello è il nostro sogno, ma già oggi con la diagnosi precoce possiamo guarire la metà delle persone. E cominciamo a vedere la luce anche su fronti complessi come il tumore del polmone che è molto difficile da curare (anche se teoricamente sarebbe facile da sconfiggere: basterebbe buttare via le sigarette). Sono state scoperte delle anomalie cromosomiche caratteristiche di questo cancro ed è stato descritto il danno genetico dovuto all’azione di alcuni composti chimici come l’amianto, e quindi io penso che sarà possibile trovare delle terapie specifiche anche in tempi brevi. Grazie alla grande rivoluzione del Dna. Che ci permetterà di sviluppare farmaci nuovi da affiancare ad altri sviluppi inimmaginabili 50 anni fa. Bisogna quindi concentrare gli sforzi sulla ricerca. E bisogna capire che i finanziamenti che oggi sono a disposizione della ricerca e della cura del cancro sono assolutamente insufficienti. Investiamo 100 milioni l’anno, mentre questo governo vuole comprare i superfighter che costano 100 milioni l’uno. Ognuno di questi mostri costa quanto tutti i nostri sforzi contro il cancro".
La diagnosi precoce, le nuove chirurgie e le nuove radioterapie e la biologia molecolare. La quarta mossa per dare scacco al cancro?
"Ci vorranno anni e anni per scoprire qualcosa, ma è certamente l’orizzonte scientificamente più affascinante. Tutti abbiamo fatto un salto sulla sedia quando abbiamo scoperto che la crescita tumorale è sostenuta da un piccolo gruppo di cellule staminali. Che alimentano la proliferazione. Se potessimo eliminarle avremmo risolto il problema del cancro. Il fatto è che queste staminali sono chemioresistenti e radioresistenti, e questo spiega molti dei nostri insuccessi. Queste staminali sono state osservate, fotografate dopo averle colorate. Le vediamo in azione ma non ne sappiamo ancora granché: bisogna scoprire quante e quali cellule staminali ha un tumore, bisogna scoprire il marcatore che le caratterizza o comunque come scovarle, e poi bisogna capire come colpirle. Insomma, è un orizzonte di grande fascino. Ma ancora lontano".