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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

IL PROFETA DELLA POLITICA


Per lui non c’erano dubbi. La sua analisi dava un solo risultato dopo le bombe alla metropolitana di Madrid: non ci sarebbero stati attentati in America e Al Zawahiri, il medico egiziano che viene subito dopo Osama bin Laden, non si sarebbe fatto più sentire per mesi, ma sarebbe riapparso subito dopo le elezioni presidenziali del novembre del 2004 e prima di Natale. Così fu. The Predictioneer, il profeta, aveva colto nel segno. The Predictioneer ha un nome, un cognome e una professione nobile: Bruce Bueno de Mesquita, 63 anni, professore di scienze politiche alla New York University, membro della Hoover Institution della Stanford University. Da oltre 30 anni Bueno de Mesquita lavora alle previsioni politiche utilizzando un modello matematico ricavato dalla teoria dei giochi, una forma un po’ esoterica per predire i comportamenti umani e che si fonda sull’interesse personale dell’individuo nel fare le scelte che ritiene migliori per se stesso. Il professore, nato in America da genitori belgi e olandesi, ha ricevuto richieste di previsione di avvenimenti politici dal Dipartimento di Stato, dal Pentagono, dalla Central Intelligence Agency. Fuori dagli Stati Uniti, dall’Unione europea come da aziende private, anche italiane. La Cia, in un documento declassificato di recente, ha riconosciuto una accuratezza del 90 per cento nelle previsioni fatte attraverso il suo modello matematico che si rifà agli studi del Premio Nobel John Nash, il matematico raccontato nel film "The Beautiful Mind".
Il professore ha pubblicato la sua storia in "The Predictioneer’s Game". "L’espresso" ha incontrato Il Profeta nel suo ufficio alla New York University.
Professore, lei si considera più uno scienziato della politica o un matematico?
"Uno scienziato della politica".
Perché? In fondo lei lavora intorno ai numeri e questi sono la cornice senza la quale lei non potrebbe fare previsioni...
"Io utilizzo la matematica perché il suo linguaggio funziona meglio quando cerco di prevedere i comportamenti umani. La matematica è meno vaga, meno ambigua".
Quando e perché ha cominciato a ritenere che la teoria dei giochi potesse essere lo strumento migliore per prevedere comportamenti politici?
"Era il 1967, avevo appena cominciato il PhD all’Università del Michigan e mi capitò di leggere "The Theory of Political Coalitions", uno dei primi libri in cui l’analisi politica si fondava sulla teoria dei giochi e di scoprire che almeno tre risultati erano sbagliati dal punto di vista della logica matematica. Riuscii a provarlo e da quel momento iniziai a lavorare intorno alla costruzione di un modello matematico che potesse fornirmi previsioni più accurate. La prima applicazione arrivò con la tesi del dottorato sulle strategie dei partiti di opposizione in India".
Lei racconta nel libro che proprio una previsione esatta sulla politica indiana suscitò attenzione sul suo lavoro. Come andò?
"Era il 1972, ricevetti una telefonata dal Dipartimento di Stato. Mi chiesero di formulare un’opinione sulla crisi di governo che aveva paralizzato l’esecutivo in India e mi spiegarono che si erano rivolti a me perché avevano letto la mia tesi del PhD. Fui ben contento perché l’incarico mi dava l’occasione di provare alcune modifiche che avevo fatto al programma che utilizzavo. Inserii nel modello i possibili candidati, le forze politiche di appartenenza e tutti gli altri dati necessari. Il nome che venne fuori come il più probabile candidato a diventare primo ministro non era quello a cui io pensavo ragionando in modo classico. La mia previsione raccontava anche che quel governo sarebbe durato pochissimo. Naturalmente, io misi da parte le mie previsioni personali e scrissi una relazione con il panorama disegnato dal modello matematico".
Come fu accolta la sua profezia al Dipartimento di Stato?
"Quando lessero il risultato mi chiesero come ero arrivato a quel nome. Spiegai che avevo usato un modello ricavato dalla teoria dei giochi e un computer. Cominciarono a ridere e mi dissero di non raccontare mai più in giro una cosa del genere per il bene della mia carriera. Aggiunsero anche che altre previsioni commissionate erano completamente differenti. Ma solo qualche settimana dopo il politico di cui avevo parlato fu nominato primo ministro e dopo un paio di mesi Indira Gandhi fece cadere il governo".
E lei diventò Il Profeta. Mi racconta la previsione più errata della sua vita e il caso per il quale va orgoglioso?
"Cominciamo da un errore madornale. Nel 1993, Bill Clinton presidente, feci una previsione secondo la quale la riforma sanitaria sarebbe stata velocemente approvata. Sbagliato al 100 per cento, perché lo scenario prevedeva che un deputato democratico, Dan Rostenkowski fosse il deus ex machina del percorso legislativo. Si mise di mezzo l’Fbi e una inchiesta che portò prima alle dimissioni e poi in carcere l’uomo politico. La riforma sanitaria rimase solo un desiderio del presidente".
E quale previsione le ha dato più soddisfazione?
"Quella che va sotto il nome di "Tovaglioli per la Pace" che poi sono questi due che vede sulla scrivania, di carta e pieni di numeri scritti a mano. Così prese forma la previsione che fu pubblicata nel 1980 e secondo la quale si sarebbe creata in Palestina una autorità di governo semi-autonoma. È poi avvenuto e tutto questo sta in uno studio pubblicato con molti anni di anticipo, mentre tutti erano di avviso contrario".
Il suo lavoro è stato bersaglio di critiche anche feroci da parte di esponenti della comunità di scienziati della politica.
"Ci sono due tipi di critiche al mio lavoro, quelle intelligenti e quelle ideologiche. Le prime vengono da chi non contesta l’uso della teoria dei giochi nelle previsioni dei comportamenti politici e discute semmai il risultato o il modo attraverso cui si arriva a una previsione. Le altre negano per principio che la matematica e la statistica possano essere strumenti della scienza politica. A costoro io rispondo elencando i lavori pubblicati e il contenuto delle previsioni con il confronto di quanto si è poi verificato".
Che cosa è cambiato nella scienza politica con l’introduzione della teoria dei giochi e dei modelli matematici affidati all’analisi dei computer?
"Prima erano le nazioni il perno intorno al quale nasceva l’analisi della scienza politica: l’India, l’America, l’Italia erano già da sole spiegazioni dei comportamenti politici, soprattutto nel campo delle relazioni internazionali. Con i modelli matematici l’analisi ha messo a fuoco i comportamenti in relazione all’interesse personale in una scelta politica. E lo stesso avviene se si passa al campo della sicurezza nazionale o a quello degli affari".
Il punto di svolta nel suo lavoro fu la previsione esatta per la crisi in India?
"Non c’è dubbio. Fui chiamato al Pentagono che finanziò una ricerca e cominciai a ricevere richieste di previsioni".
Ci racconta le più interessanti?
"Ce ne sono alcune che non sono state pubblicate e che io ho fatto per conto del governo degli Stati Uniti. Per esempio, che cosa fare per mantenere Taiwan dentro l’Asian Development Bank quando anche la Cina chiese di farvi parte. Oppure, quella su un governo amico degli Stati Uniti il cui presidente rischiava di essere vittima di un colpo di Stato e di essere ucciso. Presentai la mia previsione e questo aiutò a mettere in salvo l’uomo politico".
In quale paese avvenne e chi le commissionò la ricerca?
"Non posso dirlo, tutti i dettagli dello studio sono classificati. Il committente era la Cia. Anche in altri casi ho previsto la possibilità di colpi di Stato che sono stati poi sventati. Così come ho dato un aiuto a disegnare il tipo di accordo raggiunto nel 1991 in Cambogia tra Hun Sen, Pol Pot e le Nazioni Unite che portò i Khmer rossi a deporre le armi e a nuove elezioni".
Anche questo commissionato dalla Cia?
"No, dal Dipartimento di Stato. Ma ci sono altri studi di cui non posso parlare perché ancora segreti".
Quale percentuale del suo lavoro è richiesto dalla Cia, dal Pentagono o dal Dipartimento di Stato?
"Piccola, molto piccola. Il mio lavoro è insegnare, e mi piace molto farlo, e scrivere articoli noiosi sulle riviste specializzate. Qualche volta capita invece di divertirmi con un libro. Se dovessi fare un calcolo, dedico un’ora alla settimana alla società di consulenza di cui sono socio. Non di più".
Lei lavora ancora per la Cia?
"Negli ultimi due anni non l’ho fatto perché sono nel comitato della National Academy of Sciences che ha il compito di definire in modo più rigoroso il rapporto tra la comunità scientifica e quella dell’intelligence. Voglio evitare qualsiasi conflitto di interessi fino a quando questo lavoro non sarà finito".
Il governo italiano le ha mai richiesto qualche previsione?
"No, solo qualche azienda del suo Paese, ma non mi chieda il nome perché sono rapporti che prevedono la riservatezza".
Le è mai successo di ricevere un incarico da un governo o da una società straniera e di aver ricevuto l’ordine o il consiglio da parte del governo americano di lasciar perdere?
"Io rifiuto tutto quello che mi appare in contrasto con l’interesse e la sicurezza del mio Paese. Certo, qualche volta è accaduto qualcosa di strano. Qualche anno fa un americano mi ha chiesto se potevo fare uno studio sul modo di cambiare la costituzione dell’Afghanistan per dare maggior potere ai signori della guerra e al consiglio delle tribù. Io ho chiesto di fornirmi una lettera del segretario di Stato o di quello della Difesa o del capo della Cia o dei presidenti delle commissioni parlamentari in modo da sapere che fosse in linea con gli sforzi Usa in quel Paese. Quella persona ha promesso di tornare con la lettera, ma io non l’ho più vista. Lo stesso è accaduto con un noto scienziato, direttore di un importante laboratorio di fisica, che mi chiese di studiare il modo in cui rendere pubblica la sua scoperta che gli alieni visitano regolarmente la Terra".
Le hanno mai chiesto analisi elettorali?
"Non mi occupo di questo argomento perché non intendo interferire con la formazione del consenso democratico".
Professor de Mesquita, il modello matematico che lei utilizza è conosciuto solo da lei?
"Assolutamente no, è praticamente di dominio pubblico. E il computer di cui mi servo è il lap top che vede sulla mia scrivania".