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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

SALVATO DAL PEPERONCINO


Una sera, l’anno scorso, ho preparato un chili piccante per la mia famiglia: per i miei genitori, i miei figli, la mia compagna e i suoi genitori. Siamo tutti indiani, ma mentre alcuni di noi sono nati già impregnati di peperoncino, altri - come la mia compagna nata a Chicago e mio figlio 15enne nato a Manhattan - hanno un atteggiamento diffidente nei confronti del genus capsicum. Ci sono persone che hanno un dono di Dio per il piccante. Mio figlio 12enne, per esempio, anche lui nato a New York, mangiava con gusto già dall’infanzia peperoncino e cereali per colazione. Questo mi ha fatto capire che il mondo non è diviso solo tra ricchi e poveri, maschio e femmina o Oriente e Occidente, ma anche tra quelli che amano il cibo piccante e quelli no. Era una cena importante, era la prima volta che incontravo i genitori della mia compagna. A suo padre piace il cibo piccante, ma a sua madre molto meno. Perciò ho deciso di fare due versioni di chili: piccante e molto piccante. L’ho preparato con cura poi ho apparecchiato la tavola con biancheria morbida e lillà freschi, il tutto a lume di candela per dare loro la falsa sensazione di essere al sicuro, come se stesse per arrivare in tavola del cibo europeo condito appena con del dragoncello.
Era una bella sera estiva a Manhattan e avevo lasciato le finestre aperte per far entrare la brezza del fiume Hudson. Il mio figlio piccolo sorride all’apparire delle due scodelle di chili, il maggiore borbotta. I miei genitori avvisano i genitori della mia compagna: "Sono molto piccanti, state attenti"."Ma quanto può essere piccante?", chiede ironico il padre della mia compagna. Avvisati i miei ospiti cominciano a mangiare. Prima con un assaggio del chili meno carico e poi, incapaci di trattenersi, passando alla versione fortissima. Seguono grida. Ne prendono dell’altro e diventano rossi e sudaticci. Cominciano a ridere e a parlare più forte del necessario. Poi cala il silenzio, si siedono al loro posto e persi in una sorta di fantasticheria privata tornano a quel momento di soddisfazione prima dell’inizio della tragedia. Sopraffatti da una calma trascendentale, con le endorfine in lotta contro il dolore, si stendono con aria beata sul divano in uno stato di sconvolgimento.
In passato quasi tutto il piccante del mio chili veniva da peperoncini habanero. Poi ho scoperto i naga jolokia. Il livello di piccante in un peperoncino viene misurato con un’unità chiamata Scoville. Un jalapeño ne misura circa 8 mila, l’habanero mezzo milione. Il naga jolokia con il suo milione circa di unità Scoville è esplosivo. Nello Stato indiano del Nagaland lo strofinano sulle grate per tenere lontani gli elefanti predatori: i pachidermi odorano il chili e fuggono dalla parte opposta. Un laboratorio della Difesa indiano è arrivato a sintetizzare il piccante del naga jolokia per utilizzarlo nelle bombe a mano. Nel 2007 il "Guinness dei primati" lo ha dichiarato il più piccante al mondo. Nel Regno Unito bisogna essere maggiorenni per comprarlo.
Negli anni ho preparato il mio chili a persone reduci da infarto, depressione e bancarotta. È un piatto saporito e anche vegetariano, come lo sono io ormai da trent’anni. Non per ragioni salutistiche e non perché voglio vivere per sempre. Sono vegetariano perché non mi piace uccidere gli animali. E come a molti altri vegetariani, il cibo mi piace piccante. È una cosa che molti trovano incomprensibile, sono quelle stesse persone per cui essere vegetariani significa essere pacifisti e prediligere gli abiti fatti con la cannabis. Ho dovuto sopportare più pasti insapore di quanto i peccati della mia vita precedente meritassero. Questo chili è la mia vendetta contro tutti quelli che mi hanno voluto punire con il cibo sciapo. Quella sera, quando ho preparato il chili per la mia compagna e le nostre famiglie, è stata l’inizio di una bella amicizia. Sono andati tutti d’accordo uniti dalle imprecazioni contro il cuoco.
Però più tardi, quella stessa sera, mi sono svegliato con le palpitazioni al cuore. Ho messo una mano sul mio cuore ed ho pensato a mio zio morto a 34 anni per un disturbo cardiaco. Dal medico mi hanno fatto un elettrocardiogramma e la dottoressa ha detto: "Il suo cuore sta bene". La sensazione che avevo avuto era stata probabilmente causata da un bruciore di stomaco dovuto al mio chili piccante. "Ma facciamo una radiografia al petto, tanto per...". Ed eccola: una macchia di due centimetri e mezzo sul mio polmone. Il primo stadio di un tumore maligno. Non avendo mai fumato non mi avevano mai sottoposto a test di questo tipo. Se avessi aspettato l’arrivo dei sintomi sarebbe stato troppo tardi: l’85 percento delle persone a cui viene diagnosticato il cancro ai polmoni muore entro sei mesi. Il cancro è ciò che avviene quando alcune parti di noi vogliono vivere per sempre. Il corpo è più una confederazione di cellule che si muovono di concerto piuttosto che un singolo organismo. Il cancro ci viene quando una cellula si rifiuta di morire e trasmette questa ostinata forza vitale ai suoi vicini - una morte dovuta alla lotta per l’immortalità. Grazie al riflusso gastrico prodotto dal chili quella sera dell’estate scorsa, il cancro è stato preso in tempo. Mi sono operato e ora vivo per raccontarvi la storia.
(traduzione di Alessandra Pugliese)