Massimo Gaggi, Corriere della Sera 22/10/2010, 22 ottobre 2010
LO STRANO PARADOSSO DEL TRAFFICO AEREO
Per vedere il più spettacolare «cimitero degli elefanti» dell’era moderna bisogna andare nel deserto di Mojave, in California, dove, vicino alle piste di una base abbandonata dall’Air Force, sono allineati centinaia di jet dismessi dalle compagnie aeree: dai jumbo, le navi del cielo, ai Boeing 737 da 130 posti. Vengono depositati qui perché il clima secco mantiene intatta la fusoliera e i motori: molti di questi aerei, infatti, torneranno a volare se il mercato del trasporto si riprenderà. Ma in un angolo di questo enorme magazzino a cielo aperto molti di questi giganti, i più vecchi, vengono fatti a pezzi e rottamati.
La tentazione è quella di dare a questo luogo il valore di una metafora: il cimitero delle illusioni della rivoluzione «mercatista» iniziata trent’anni fa, nell’era Reagan, con una deregulation partita proprio dal trasporto aereo (anche se, ancora prima, era stato il presidente democratico Carter a liberalizzare, con una storica legge).
Salvo che le compagnie aeree che depositano in mezzo ai rovi il loro surplus di aerei non sono affatto morenti. Anzi, negli Usa vanno meglio che negli anni scorsi, quelli dei record dei passeggeri trasportati. Alcune, come i giganti Delta e American Airlines, hanno fatto profitti record. United e Us Airways hanno più che raddoppiato il loro valore in Borsa in meno di un anno. Sembra la favola di un mercato che funziona alla rovescia: compagnie sull’orlo del fallimento (e molte finite davvero in bancarotta) quando c’era il boom e di nuovo fiorenti quando il traffico cala. Perché?
Quando la domanda cresceva si volava con pochi soldi: nel mercato entravano sempre nuovi concorrenti mentre le compagnie low cost cercavano di conquistarsi una fetta della torta a suon di sconti. Chi si illudeva che col calo del traffico e del prezzo dei carburanti volare potesse costare meno e fosse più facile trovare posti liberi a bordo è rimasto deluso: le tariffe salgono ovunque e i jet sono strapieni.
In parte dipende dai meccanismi del mercato dal quale, arrivati i tempi difficili, si sono ritirati i concorrenti più deboli. Molte compagnie hanno chiuso i battenti, le low cost si sono fatte meno baldanzose, i sopravvissuti tendono a concentrarsi in pochi, grandi gruppi. Nel periodo della recessione (2008-2009), le aviolinee americane hanno attuato il più cospicuo taglio dell’offerta di posti a bordo dal 1942. Ma quando, nell’ultimo anno, la domanda di trasporto è risalita del 6 per cento, le compagnie hanno aumentato l’offerta di posti a bordo solo dell’1 per cento.
Ombre di collusione? Per adesso gli analisti preferiscono parlare di comportamenti dettati dalla paura dei carrier di ritrovarsi di nuovo stretti tra un eccesso di offerta, con tariffe in calo, e un’impennata dei prezzi dei carburanti, sempre possibile in epoca di tempeste valutarie. Ma intanto il consumatore, che col trionfo del mercato globale si era illuso di essere diventato re, ritorna a prendere schiaffi.
Massimo Gaggi