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 2010  ottobre 22 Venerdì calendario

CILE PER IL FOGLIO DEI FOGLI DEL 18/10/2010


Il 2010, che avrebbe dovuto essere ricordato per i 200 anni dall’indipendenza, sarà per il Cile un anno indimenticabile. A febbraio è stato colpito da un devastante terremoto (8,8 richter) che ha provocato 500 morti: il fatto che quasi nessuna abitazione costruita negli ultimi 20-30 anni abbia ceduto a una scossa così devastante non ha sorpreso l’opinione pubblica locale. Rocco Cotroneo: «Questo è un Paese dove in genere le leggi si rispettano e i terremoti del passato sono serviti a qualcosa». [1]

Alle 2.55 italiane di giovedì è stato portato in salvo l’ultimo dei 33 minatori intrappolati dal 5 agosto a 700 metri di profondità nella miniera di San José. Cotroneo: «L’operazione perfetta, che ha stupito Barack Obama e i cervelli della Nasa chiamati come consulenti, e infine commosso il Papa, ha avuto alle spalle un Paese compatto, un governo efficiente e una opposizione rispettosa. Sono stati usati molto denaro pubblico (si parla di 10-20 milioni di dollari) e tecnologie proprie dell’industria mineraria: è la cultura secolare del rame, il quale – diceva Salvador Allende – sta al Cile come il sangue al corpo umano». [1]

Questa faccenda l’abbiamo risolta «alla cilena», ha detto il presidente Sebastian Piñera. Cotroneo: «Da queste parti non è una espressione ironica, evidentemente. Certo, la sua presenza continua a fianco del celebre cunicolo, con il casco in testa e aspettando ad uno ad uno i 33 minatori, è apparsa eccessiva, populista e persino stucchevole. Ma a Piñera restano oggi buoni motivi affinché “cileno” sia sinonimo di efficienza, buonsenso, impegno e unità. Come il piccolo Paese sudamericano sta mostrando al mondo da parecchi anni, nelle difficoltà e nella gestione del quotidiano, in economia come nell’etica». [1]

Il Cile è l’unico Paese del Sudamerica a far parte dell’Ocse, la serie A dell’economia mondiale. Cotroneo: «Nell’emisfero australe è in compagnia appena di Australia e Nuova Zelanda. Il suo Pil ha appena superato quello del Portogallo. Nel corso di questo decennio, il Cile si lascerà alle spalle la definizione di Paese in via di sviluppo: per farlo deve continuare a ridurre le diseguaglianze sociali, non ancora al livello degli standard europei. La miseria estrema è già stata sradicata. Il rame, di cui è primo produttore al mondo, non è esattamente un dono della natura. Questa regione del deserto di Atacama è stata infatti sottratta alla Bolivia, nella guerra del Pacifico, fine ’800. Ma gli altri prodotti cileni di successo sono conseguenza di riforme intelligenti, stimolo agli investimenti e apertura dei mercati. Pensiamo a vino, frutta e salmone, presenze fisse sulle tavole dell’emisfero Nord, grazie alle massicce esportazioni iniziate a partire dagli anni Ottanta». [1]

Fino all’elezione di Piñera, il 17 gennaio, il Cile era stato governato per un ventennio da una coalizione di centrosinistra e aveva goduto di una crescita economica praticamente costante, tra il 6 e l’8 per cento all’anno. [1] Cotroneo: «Per vent’anni i cileni avevano scelto leader austeri, poca immagine e molto contenuto, l’avvocato dei diritti umani Ricardo Lagos eletto tra le urla di “processo a Pinochet!”, poi la madre single e sognatrice Michelle Bachelet e ancor prima i notabili dc Aylwin e Frei. Tutti usciti di scena con dignità e molte grazie». [2]

Appena due anni fa, a metà del mandato della Bachelet, si parlava di miracolo economico cileno. Stella Pende: «“Chile or the right socialism” scrivono del suo paese gli analisti politici americani. Socialismo di destra o socialismo giusto? Di certo il Cile di Bachelet ha preso le distanze dal socialismo antiamericano guidato dalla cordata Chávez senza piegarsi a servilismi con gli Usa. E, dopo 2 anni e mezzo di governo, questo paese, pur attraversato dalle proteste di studenti e minatori, ha vinto nelle previsioni della Banca mondiale uno dei primi cinque posti fra i paesi in crescita». La presidentessa: «Il rame e l’abilità dei nostri economisti sono veri tesori, ma il Cile moderno è un paese che dopo molti anni ha ritrovato la democrazia e l’onore nella comunità internazionale. Questo è successo sfidando le nostre tradizioni, mai schiacciandole». [3]

Alla fine dello scorso anno la Bachelet piaceva ancora a 7 cileni su 10, ma il candidato del governo, l’ex presidente democristiano Eduardo Frei, non ne ha tratto beneficio. Emiliano Guanella: «Nell’ultimo anno la Bachelet ha preferito ignorare i problemi interni all’alleanza e si è impegnata nel difficile passaggio della crisi economica, superata sostanzialmente bene dall’economia. Sono invece apparsi numerosi problemi di gestione in imprese pubbliche o controllate dallo Stato. “Piñera – sostiene il sondaggista Cristobal Aninat – ha capito che il governo poteva essere attaccato su questo e ha presentato le sue credenziali di imprenditore di successo, senza mai criticare la Bachelet”». [4]

Nelle prime elezioni senza il dittatore, morto il 10 dicembre 2006, lo zoccolo duro del pinochettismo non ha dato alcun fastidio nell’universo sdoganato della destra. [4] Cotroneo: «Nessuno ormai nega che le precedenti riforme liberiste di Pinochet hanno una parte dei merito. I governi democratici non le hanno cancellate, ma appena mitigate. Risale alla dittatura la famosa riforma delle pensioni, per esempio, poi copiata in tutto il mondo. Fu lanciata come solo si poteva fare con i generali al governo, senza discussioni e trattative con i lavoratori, ma è ancora lì. L’architetto di quel sistema si chiama José Piñera, ed è il fratello maggiore dell’attuale presidente. La coincidenza non ha fatto gridare allo scandalo nell’ultima campagna elettorale. Il candidato del centrodestra ha potuto dimostrare di non aver nulla a che fare con il passato, e gli elettori gli hanno creduto». [1]

Piñera, sconfitto dalla Bachelet nel 2005 e arrivato al successo con le destre riunite nella Coalicion por el cambio, è una specie di Berlusconi. [5] Rosita Cavallaro: «Il paragone non gli piace e si smarca con ironia: “Io i capelli in testa ce li ho tutti, lui no”». [6] Antonio Carlucci: «Il primo milione di dollari, almeno così raccontano i suoi amici, lo fece creando in Cile la prima società di gestione delle carte di credito. Quel flusso continuo di guadagni delle targhette di plastica gli ha consentito di possedere un piccolo impero: il 100 per cento del canale televisivo Chilevisiòn, un’emittente che trasmette sull’intero territorio nazionale; il 27 per cento delle azioni delle compagnia aerea Lan Chile, il 15 per cento del Colo-Colo, la squadra di calcio di Santiago che vanta più vittorie nazionali e internazionali del Paese». [7]

Alla fine Piñera ha battuto Frei, al ballottaggio, 52 a 48. [8] Lo scrittore Roberto Ampuero, un passato in esilio in Germania Est e a Cuba per non essere ammazzato dai militari, primo intellettuale cileno di sinistra a dichiarare che avrebbe votato il candidato della destra: «C’è un dettaglio importante che, tra gli altri, mi ha convinto: ad oltre vent’anni dal ritorno della democrazia Piñera ha fatto una campagna elettorale per unire i cileni guardando al futuro mentre la Concertacion ha continuato ad utilizzare la divisione: da una parte le vittime dall’altra gli aguzzini. I ragazzi che oggi hanno vent’anni non hanno vissuto sotto la dittatura e il Cile oggi ha bisogno di ottimismo e di unità nazionale. Non di chi continua a dividerlo utilizzando il passato». [9]

Il terremoto ha costretto Piñera, il cui mandato è fissato in quattro anni senza possibilità di rielezione immediata, a guidare un governo della ricostruzione piuttosto che, come aveva promesso, un governo del rilancio economico. [10] Cotroneo: «Vinte le elezioni con la promessa di un milione di nuovi posti di lavoro, più efficienza e sicurezza, Piñera si trova ora tra le mani una agenda completamente diversa. La ricostruzione di Concepción, Talca e del litorale assorbirà ingenti risorse, nonostante i massicci aiuti dall’estero. Il Cile colpito nel morale dalla natura, ma anche dalle vergognose immagini dei saccheggi seguiti al sisma, resta un Paese a un passo dagli standard europei ma allo stesso tempo socialmente ingiusto e fragile». [11]

Piñera ha venduto le azioni di Chilevisiòn e del Colo Colo prima di iniziare il mandato, ma ha aspettato un mese prima di disfarsi del pacchetto azionario della Lan, che nel frattempo volava in borsa. Guanella: «Ancora a metà dell’anno la popolarità del presidente però non decollava, In luglio Piñera ha dovuto affrontare lo sciopero della fame di alcuni dirigenti degli indios mapuche, che protestavano contro l’invasione dei loro boschi nel Sud del paese da parte delle imprese forestali. Il presidente non ha ceduto e i mapuche sono stati oscurati dai media impegnati a raccontare la vicenda dei minatori». [12]

Piñera ha scommesso forte assicurando al mondo di poter portare in salvo i 33 minatori, e adesso la sua popolarità è grandissima. Guanella: «Il governo cileno non ha lesinato sforzi, ha mandato tre perforatrici diverse, impiegato cinquecento uomini, mobilitato mezzo gabinetto. Piñera ha fissato l’operazione come prioritaria ed è venuto quattro volte in due mesi a controllare il procedere dei lavori. Una scelta obbligata dalle vite umane a rischio e dalla necessità di salvaguardare la reputazione del settore minerario, fondamentale per l’economia cilena. Ma anche una strategia politica, perché Piñera ha subito capito la forza e l’importanza, non solo mediatiche, della notizia». [12]

Il 22 agosto Piñera si era precipitato nel deserto di Atacama per mostrare di persona il messaggio scritto dai minatori in cui annunciavano che erano vivi. Guanella: «Sebbene la notizia fosse trapelata già la mattina al campo base Esperanza, l’ufficialità è arrivata solo nel tardo pomeriggio, in diretta televisiva, dalla bocca del presidente. Il suo “Viva Chile, mierda”, è stato usato a più riprese durante la lunga e appassionante copertura televisiva delle vicende legate a “los 33”». [12]

Note: [1] Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 15/10; [2] Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 12/12/2009; [3] Stella Pende, Panorama 11/9/2008; [4] Emiliano Guanella, La Stampa 12/12/2009; [5] Maurizio Matteuzzi, il manifesto 19/6/2009; [6] Rosita Cavallaro, Il Messaggero 3/12/2009; [7] Antonio Carlucci, L’espresso 22/10/2009; [8] Paolo Manzo, La Stampa 18/1/2010; [9] O. C., la Repubblica 18/1; [10] Omero Ciai, la Repubblica 12/3; [11] Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 12/3; [12] Emiliano Guanella, La Stampa 14/10.