Raffaella Polato, Corriere della Sera 22/10/2010, 22 ottobre 2010
E IL MANAGER PREPARA IL VERTICE CON ROMANI —
Il nuovo ministro dell’Industria, Paolo Romani, lo vedrà tra pochissimo. Primi di novembre. Non è difficile prevedere che cosa gli dirà. Sergio Marchionne confermerà che gli investimenti su Pomigliano sono avviati: «La Panda "italiana" è partita, lì non si torna indietro». Il resto però è tutto da vedere.
«Impianto per impianto», come già sanno i sindacati. Anche con loro la Fiat fisserà a breve un calendario di incontri: la road map dettata dalle esigenze produttive dovrebbe iniziare a Cassino, passare per Mirafiori, chiudersi con Melfi. Andrà completata comunque «entro l’anno». Perché quello è lo spartiacque delle decisioni: il Lingotto che affronterà anche il 2011 senza nuovi modelli dovrà aprirlo, il cantiere delle novità promesse per il 2012. E qui si gioca il futuro di Fabbrica Italia. Quali auto fare Marchionne lo sa benissimo, il programma è lo stesso presentato sei mesi fa con il piano industriale. Il problema rimane «dove» farle.
Come ripeterà a Romani, per quanto tormentato «a Pomigliano un accordo per governare lo stabilimento ce l’ho. Altrove no». E senza non si parte: «Quel che è successo quella notte a Melfi, con tre persone che bastano a fermare le linee, non può succedere più. Nessuna azienda se lo può permettere».
Dunque si torna lì. A Pomigliano. Marchionne è d’accordo con il sindacato quando dice che «ogni fabbrica ha storia e caratteristiche proprie». Ma il modello (di governabilità, di certezza delle regole e della produzione, di saturazione degli impianti) quello rimane. Anche per la «formula newco», se fosse necessario. È chiaro però che il numero uno del Lingotto non vuole ripetere lo stesso percorso di scontri e tensione permanente che ha accompagnato l’intesa campana. Così, se ricorda che «i conflitti sociali li abbiamo affrontati in America e siamo pronti ad affrontarli qui», non sta affatto sottovalutando la questione. Anzi. Diceva ai suoi dopo la manifestazione Fiom di sabato: «Vedere la Fiat messa nello stesso pacchetto dell’evasione fiscale e della guerra in Afghanistan», e insieme assistere ai ripetuti assalti alle sedi Cisl, «certo non aiuta». Ma «il problema non sono io», non è neppure l’essere preso anche violentemente di mira: «Togliete pure me. I problemi italiani, per l’azienda, resterebbero tutti lì».
Dunque no, sulla «governabilità delle fabbriche» non arretrerà. Sa di avere dalla sua Cisl e Uil. Sa che anche per Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti il clima è pesante. Ma è insieme convinto che «sul lavoro» la maggioranza sia con loro. Per cui, tra poco, scaglionati partiranno i singoli tavoli. Gli uomini Fiat non si presenteranno dicendo «qui faremo questo, lì quell’altro» (si sa comunque che Cassino, per dire, è candidata a una «grande espansione» dei segmenti C-D, «base» Giulietta da allargare a Chrysler). Sul piatto Marchionne metterà però la sostanza vera: «I due terzi diranno sì, garantiamo la governabilità? Io comincio subito a spendere i soldi degli investimenti».
Resta quella deadline, tuttavia. Fine anno. Anche a Romani, presumibilmente, Marchionne farà questo esempio: «Certo che mi mancano i modelli: non riesco a farli partire. La Y l’ho spostata in Polonia e arriverà nel 2011, cioè in anticipo. La Panda è in ritardo di sei mesi». Col che non vuole «scaricare tutto sull’intero sindacato, ci mancherebbe». Ma «è l’ora» di decidere: «Non possiamo aspettare in eterno», ha ripetuto ieri anche agli analisti. E nessuno dimentica che aveva già ampiamente evocato un «piano B», già detto che «sarebbe da imbecilli non avere in testa alternative: Fiat ha ormai in tutto il mondo capacità produttive da espandere». Non è un ricatto, ribadisce (e lo rispiegherà domenica a Che tempo che fa: è questa la scelta per la sua prima assoluta in Tv). Meno ancora è l’obiettivo. E con lui c’è John Elkann a insistere: «Noi continueremo a fare di tutto perché Fabbrica Italia possa andare avanti». Il contrario sarebbe una sconfitta anche per Torino.
Raffaella Polato