Goffredo Buccini, Corriere della Sera 22/10/2010, 22 ottobre 2010
MIMINA, LE SORELLE E GLI ANTICHI RANCORI: SOLO DA MORTA DIRANNO BENE DI ME — C’è
questo rancore, tra loro sorelle Serrano. Dura da quarant’anni e passa. Faccende di quattrini più che di sentimenti: le cose importanti davvero in una terra depressa di ex pescatori che, come capitò al loro padre Antonio, non riuscendo a diventare contadini sono scivolati verso la povertà. Ma adesso il rancore sta diventando odio, per via di Sarah e di Sabrina, odio rappreso. «Non so come finirà…», sussurra Dora, la più giovane, davanti alla sua casa di San Pancrazio, a pochi chilometri da Avetrana.
Nella villetta di via Deledda, Cosima, «Mimina», si tira su dalla poltrona arabescata del salotto come fanno a volte certi obesi: lasciando scivolare i fianchi fino al bordo del sedile e facendo forza sulle braccia. «Come mi sento? E come vuoi che mi senta, giornalista?». Non è così grassa, ma altri fardelli le gravano addosso. «Solo da morta diranno una parola buona su di
me!», ripete da tempo. Il telefono squilla sempre. Tra mille insulti anonimi da tutta Italia, giorni fa chiamò dal Piemonte il papà di Erika De Nardo per darle solidarietà: adesso che la procura la sta tirando dentro, adesso che tutti pensano a lei come alla marescialla di questa casa e di questo orrore, pure certe solidarietà sembrano tanto lontane. C’è da andare dagli avvocati a Taranto, altro calvario nella ressa di telecamere. Emma, la sorella maggiore, la più decisa, la accompagna e prende a sberle un operatore della Rai davanti al cancello: «Noi non c’entriamo!», strilla. «E si figuri io», risponde quello, massaggiandosi la faccia.
Sa e prevede molte cose Mimina, questa contadina che tiene segreti e palpiti sigillati nel cuore: sapeva, per esempio, che sarebbe stata risucchiata nei pasticci, «verranno a prendermi, mio marito è pazzo, non lo riconosco più». Se mamma Concetta era un sasso senza espressione, ostaggio delle telecamere nei primi 42 giorni del reality horror — finché non hanno ritrovato il cadavere di Sarah — Mimina pare una tartaruga dolente, il suo carapace è il villino della morte, la casa di via Deledda costata due decenni di fatica in Germania a lei e al marito Michele, lo zio Miche’ passato per orco e ora, forse, assassino part-time.
È sempre stata ossessionata dai soldi, Mimina, da piccola ha patito la fame con le sorelle nella casa di famiglia di Avetrana, un basso in via Martiri d’Ungheria che sta proprio in mezzo all’ultimo tragitto fatto da Sarah il 26 agosto andando incontro alla morte. «Adesso dove li prendo i quattrini, io? Questa faccenda ci rovinerà, dovremo venderci la casa…», s’è sfogata con qualcuna di loro, sempre tenendo però a freno le emozioni dietro gli occhiali spessi da miope. È stata bella da ragazza: pareva Sarah, e questa somiglianza stava diventando quasi un capo d’accusa per Miche’. Ora è una donna che mostra più dei suoi 55 anni, coi capelli grigi e arruffati sotto il cerchietto, l’abito nero sempre addosso.
Forse è una donna che ha dovuto scegliere tra la figlia e il marito e alla fine li sta perdendo entrambi. Una che scaccia il fantasma di Sarah come scacciava Sarah da viva, con fastidio: «Che ci fai sempre qui da noi? Non ce l’hai una casa? Vattene». Ma in certe storie dannate non bastano gli esorcismi. Le sorelle Serrano (Concetta, Mimina, Emma e Dora) portano il lutto già da un anno, da quando è morta la loro mamma, la vecchia Oronza. Ora lo porteranno per Sarah ancora a lungo, e forse, se le accuse della procura sono fondate, questo lutto sarà l’unico legame ancora possibile tra la mamma della vittima e la mamma della sua carnefice. Essere sorelle non conta più. Non ha mai contato, del resto, perché Cosima e Concetta hanno avuto la stessa mamma e lo stesso padre solo per poco. Oronza era fredda e dura, capita quando hai troppi figli e pochi mezzi. Capitava che la femmina più piccola andasse in adozione. Comincia così la storia dei Serrano e degli Spagnolo, dei Misseri e degli Scazzi, l’amore ai tempi dell’indigenza. La fine di Sarah sta in quest’inizio.
«La miseria era tanta», racconta Dora: «Mio padre e sua sorella, zia Nena, fecero un accordo». Nena «la Pescatora» non poteva avere figli, ma si era presa un marito meno disperato di lei e dei suoi fratelli: Cosimino Spagnolo, che aveva una cava e faceva la guardia forestale, insomma era quasi un nababbo per loro. Vollero Concetta, rispettando il patto col padre le fecero prendere il diploma di terza media (che allora quaggiù faceva del diplomato un bizzarro intellettuale) ma non riuscirono mai a sentirla figlia. Concetta cresceva solitaria e cupa, le sorelle rimaste in via Martiri d’Ungheria assieme all’unico maschio, Giuseppe, sempre più povere e affamate.
«Io ero piccola, ma loro hanno faticato durissimo per sopravvivere». Questa è gente partita tutta per la Germania, tornata con due marchi tedeschi buoni per sentirsi padroncini d’un pezzo di terra. Ancora qualche settimana fa, quando a Sabrina ricordavano che la mamma di Sarah aveva patito l’allontanamento dalla famiglia naturale, lei s’inalberava, cambiava faccia: «Macché, è mia madre che ha sofferto! La fame!». «Io vedevo Concetta da mia zia Nena e non sapevo che fosse mia sorella», dice Dora. Concetta stava talmente male dai genitori adottivi che a diciott’anni se n’era tornata a morire di fame nella casa di Martiri d’Ungheria. Non l’avevano accolta bene. E lei aveva acchiappato il primo che passava, quel povero diavolo di Giacomo Scazzi, un manovale di San Pancrazio, e ci aveva fatto la fuitina. «Il matrimonio, poi, sembrò un funerale, nostro padre Antonio era umiliato», dice Dora. Con Giacomo se n’era andata a Milano, Concetta. Quaggiù i sentimenti non hanno parole per essere raccontati, la gente china la testa s’arrende a chi brandisce una penna. Dora era troppo piccola, Giuseppe da maschio era fuori da simili faccende, ma Concetta non ha mai trovato le parole per spiegarsi con Cosima e con Emma, nemmeno quando è tornata da Milano, con Sarah appresso, per curare Nena e Cosimino ormai alla fine. C’era in ballo l’eredità, s’è detto con livore: centomila euro, cifra inimmaginabile. Sabrina e Sarah se ne fregavano, erano l’una per l’altra: potevano spezzarla, la catena del rancore. Poi, il passato ha preso anche loro.
Goffredo Buccini