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 2010  ottobre 22 Venerdì calendario

Anche in Italia la cura della destra europea - La decisione di riunire le parti sociali per discutere del­la grande riforma tributaria, presa da Berlusconi, insieme con Tremonti, con il pro­gramma di riduzione delle imposte sul reddito segna una svolta nella politica del governo, nella linea delle grandi riforme

Anche in Italia la cura della destra europea - La decisione di riunire le parti sociali per discutere del­la grande riforma tributaria, presa da Berlusconi, insieme con Tremonti, con il pro­gramma di riduzione delle imposte sul reddito segna una svolta nella politica del governo, nella linea delle grandi riforme. Come ha sin­­tetizzato Silvio Berlusconi, con una espressione dialetta­le, «sarà un lauràr de la Mado­na », ossia un lavoro duro, per il quale occorre l’assisten­za della madre di Dio, che ol­treché avere poteri sopranna­turali, è anche paziente e comprensiva. Ci vorrà molta pazienza e spirito di collaborazione, an­che se si tratta di un compito necessario, in una situazio­ne irripetibile, che è quella di un governo di centrodestra mentre in un’Europa delle grandi nazioni ci sono altri tre governo di centrodestra, quello di Angela Merkel in Germania, quello di Nicolas Sarkozy in Francia e quello di David Cameron nel Regno Unito, da cui si può prendere esempio. Si tratta di ridurre le spese, di ridurre le esenzioni fiscali che attualmente riducono le bassi imponibili con 240 for­m­e di erosione che fanno per­dere 140 miliardi di gettito, di aumentare le imposte sui consumi, che in Italia sono una quota più bassa delle im­poste totali che nel passato e una quota più bassa che ne­gli altri Stati, e di ridurre le evasioni, ma anche di conser­vare le riduzioni fiscali che servono per la crescita econo­mica (vedi detassazione per le spese di investimento nel­la ricerca). C’è anche la proposta di ’tassare le rendite’: termine che andrebbe bandito, per­chè ingannevole, in quanto racchiude sia il reddito dei Bot, che le rendite fondiarie, che i dividendi delle società, che gli aumenti di valore rea­lizzati (al netto delle perdu­te) vendendo titoli o proprie­tà. I soldi non si trovano con la bacchetta magica. E biso­gna ridurre le imposte, tenen­do presente il vincolo euro­peo (suggerito dal buon sen­so) per cui occorre ridurre il rapporto fra il debito pubbli­co e prodotto nazionale (Pil) che è ora al livello record del 115%. In teoria, l’Unione europea vorrebbe che noi arrivassi­mo a un rapporto debito/Pil del 60% in 20 anni: il che com­porta una riduzione di esso di 2,7 punti annui (2,7 per 20 dà 54). Un compito improbo. Ma la riduzione del debito di una percentuale ragionevo­le sul Pil risulta facilitata se il Pil cresce più dello 1,2% an­nuo attuale. Ecco così che per ridurre le aliquote sul red­dito, con una politica di rigo­re di bilancio, bisogna orien­tare tali riduzioni alla cresci­ta economica. E questo ri­chiede di conciliare le esigen­ze sociali con quelle econo­miche. È bene che il governo ragio­ni di ciò con le parti sociali. Esse devono dire, coi numeri e non solo con le frasi, che co­sa vogliono in via prioritaria, nella politica di riduzioni fi­scali per le famiglie e le impre­se, e con che cosa vogliono coprire i costi di tali riduzio­ni. Sarkozy ha varato una leg­ge che alza a 62 anni per tutti l’età minima di pensione. Ciò ha scatenato una ondata di scioperi della sinistra e un susseguirsi di disordini. I più agitati sono i giovani studen­ti, che dovrebbero plaudire a una norma che è a loro favo­re, in quanto riduce le spese eccessive per i pensionati presenti, il cui onere finisce sulle spalle delle future gene­razioni. Sarkozy resiste, sfidando l’impopolarità. Momenta­nea. Cameron alza a 66 anni l’andata in pensione nel set­tore pubblico, taglia entro 5 anni mezzo milione di posti nel pubblico impiego e ridu­ce del 3,4% le spese per l’istru­zione, del 18% quelle per l’energia eco compatibile (so­le, vento eccetera), del 24% le spese pubbliche per cultura, sport, stampa e altri media, del 23% le spese sociali e del­la difesa, lasciando alla sani­tà una crescita dello 1,3 per cento soltanto nel quinquen­nio. La Merkel ha ridotto le imposte dirette, tagliando molte esenzioni e aumentan­do le indirette. Da noi le imposte dirette danno il 23% del Pil e le indi­rette il 10%. Nella media dell’ eurozona le imposte indiret­te danno 5 punti di più che da noi. E poiché la pressione fi­scale complessiva italiana, comprensiva di contributi so­ciali è sul livello medio dell’ eurozona, se ne desume che al minor peso delle imposte indirette corrisponde in Ita­lia un peso di 5 punti in più sul Pil delle imposte dirette e dei contributi sociali. La rifor­ma fiscale deve favorire il la­voro e le imprese e quindi oc­corre anche riequilibrare il rapporto tra imposte dirette e indirette. Non esistono, in economia, i miracoli.