DOMENICO QUIRICO, Angelo Scola, Lietta Tornabuoni, La Stampa 22/10/2010, pagina 31, 22 ottobre 2010
Il film miracolo dei monaci martiri (3 articoli) - Ci sono dei film che sono una virtuosa, e pericolosa, fontana della giovinezza per la Verità
Il film miracolo dei monaci martiri (3 articoli) - Ci sono dei film che sono una virtuosa, e pericolosa, fontana della giovinezza per la Verità. Risvegliano la Memoria, svelano i vuoti della Storia, scoperchiano le catacombe degli archivi. È la grazia di «Uomini di Dio» di Xavier Beauvois che esce oggi in Italia. Aureolato a Cannes, ma soprattutto da uno straordinario successo di botteghino in Francia (tre milioni di spettatori) racconta la vita quotidiana dei monaci di Notre-Dame de l’Atlas, perduto sulla montagne algerine, pescatori di uomini, che nonostante il pericolo del fanatismo islamico, rifiutarono di lasciare i loro fratelli musulmani. Che avevano scelto l’isolamento in un mondo ostile per essere più leggeri e consacrarsi ai deboli, ai poveri, alle vittime della violenza e trovare tra le pietre aride dell’Atlante un ordine ormai estraneo al mondo di oggi: la carità l’amore la giustizia il sacrificio scintillavano nei loro destini. Fratello Luc, impersonato da uno straordinario Michale Lonsdale, curava centinaia di persone ogni giorno, fratello Christian studiava il Corano e praticava il Ramadan, alcuni avevano combattuto in Algeria. Sei tra loro furono uccisi in una notte del marzo 1996 avvolta di misteri. Ebbene, da 14 anni, era un dossier sigillato con il catenaccio del «segreto difesa». La settimana scorsa, il giudice che indaga in Francia sul delitto, sospinto dall’emozione che il film ha provocato, ha chiesto la declassificazione di numerosi documenti; in particolare i rapporti del generale Rondot, il capo dei servizi segreti, che fu inviato in Algeria per indagare e che raccolse anche le «verità» del suo collega algerino. Rondot è stato interrogato a settembre e ha ripetuto con vigore che furono i fondamentalisti a sequestrare e uccidere i monaci. Una feroce Jjhad contro i «crociati» che sfidavano il loro fanatismo semplificatore. È la versione ufficiale, che l’Algeria e la Francia hanno puntellato in questi anni. La più persuasiva, in fondo: ucciso il capo del commando islamista, peraltro in ambigui rapporti con i Servizi algerini, chiuso ormai quel sanguinoso capitolo di guerra civile, tutto poteva essere consegnato al silenzio e alla disattenzione. Non abbastanza per spegnere del tutto l’altra ipotesi, che cioè i monaci furono uccisi per un terribile errore dall’esercito algerino, che li aveva scambiati per ribelli. E che avrebbe poi montato la messinscena del sequestro per incolpare gli islamisti. Non sarebbe mai arrivata alla foce dell’attualità senza il clamore di «Des hommes et des dieux». Strano destino per una pellicola così ascetica, giansenista, girata con pochi mezzi, con attori straordinari ma non certo ingallonati tra le star. Che soprattutto non concede nulla alla trama del giallo politico: tanto che non racconta neppure la conclusione di quella mirabile esperienza cristiana. E’ il secondo «miracolo» di un film che è un magnificat della santità e ha stregato un paese laicista e anticlericale che secondo lo slogan di René Viviani si vanta di aver «spento nel cielo stelle del cielo che non si riaccendono più». DOMENICO QUIRICO *** Una risposta per chi si chiede se il desiderio di Dio sia ancora presente nel nostro tempo. Se sia ragionevole per un uomo del Terzo Millennio credere in Dio, riconoscerlo come familiare. La riuscita del film sui monaci di Tibhirine, che tanta attenzione sta suscitando ovunque nel mondo, sembra a me riflettere il desiderio ardente del cuore di donne e uomini di ogni latitudine di incontrare il volto di Dio. Quindi del bisogno vivo in tutti noi di testimoni autentici, che ci aiutino a tenere alto lo sguardo. L’autentica testimonianza infatti non è riducibile al “dare il buon esempio”. Essa brilla in tutta la sua integrità come metodo di conoscenza pratica della realtà e di comunicazione della verità. È un valore primario rispetto ad ogni altra forma di conoscenza e di comunicazione: scientifica, filosofica, teologica, artistica, ecc. Un esempio luminoso di questo metodo è offerto proprio dalle parole del testamento spirituale di Padre Christian de Chergé, priore del monastero trappista di Notre-Dame de l’Atlas in Tibhirine, Algeria, da lui scritto ben tre anni prima di venir trucidato con i suoi monaci: «Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di chiedere il perdono di Dio e quello degli uomini miei fratelli, perdonando con tutto il cuore, nello stesso momento, chi mi avesse colpito… Non vedo infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse accusato del mio assassinio. Sarebbe pagare un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, "la grazia del martirio", il doverla a un Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dicesse di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam alla fin fine io sarò stato liberato dalla curiosità più lancinante che mi porto dentro: affondare il mio sguardo in quello del Padre per vedere i suoi figli dell’Islam come lui li vede: tutti illuminati della gloria di Cristo, anche loro frutto della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà di ristabilire la comunione e la somiglianza giocando con le differenze. Di questa mia vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io ringrazio Dio che sembra l’abbia voluta tutta intera proprio per questa gioia, contrariamente a tutto e malgrado tutto. E anche tu, amico dell’ultimo istante, che non saprai quello che starai facendo, sì, anche per te voglio io dire questo grazie, e questo a-Dio, nel cui volto io ti contemplo. E che ci sia dato di incontrarci di nuovo, ladroni colmati di gioia, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due». In questa che è una delle pagine più belle mai scritte nel ‘900 si coglie in pienezza come nel martirio cristiano trovi compiuta manifestazione la narrazione che Dio fa di Sé e quella che permette a noi di fare su di Lui e a Suo nome. Il martirio, grazia che Dio concede agli inermi e che nessuno può pretendere, è un gesto insuperabile di unità e di misericordia. E’ la sconfitta di ogni eclissi di Dio, è il Suo ritorno in pienezza attraverso l’offerta della vita da parte dei Suoi figli. Una consegna di sé che vince il male, perfino quello «ingiustificabile», perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide. Come Gesù prende il nostro male su di Sé perdonandoci in anticipo, così il martire, come Padre Christian, abbraccia in anticipo il suo carnefice in nome del dono di amore di Dio stesso, da tutti riconoscibile almeno come assoluto trascendente. Solo la testimonianza degna di fede com-muove la libertà dell’altro e lo invita con forza alla decisione. Come ha ricordato efficacemente Benedetto XVI, si diventa testimoni quando «attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica». I monaci di Thibirine destano e commuovono perché nella loro testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo. Angelo Scola *** La poesia della fede quotidiana - In una notte di marzo del 1996, durante il conflitto interno in Algeria, sette dei nove monaci trappisti del convento di Tibhirine furono sequestrati da uomini armati. Di loro vennero ritrovate soltanto le teste, non i corpi, andati perduti. Un processo di beatificazione s’è aperto nel 2007 per loro e per gli altri 12 religiosi uccisi in Algeria negli anni 1994-1996. La loro storia è raccontata in «Più forti dell’odio» (Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose) e in «Uomini di Dio» di Xavier Beauvois. Gran premio della giuria all’ultimo festival di Cannes e massimo successo di pubblico in Francia. I monaci avevano ottimi rapporti con gli algerini abitanti nel paese vicino al convento, ne curavano i malati, partecipavano alle feste collettive e ai commerci, consolavano, discutevano. Ma l’integralismo conquistava la politica: i monaci furono più volte consigliati ad andarsene, ma non vollero abbandonare il convento né i loro doveri verso la comunità algerina. Il film racconta soprattutto la loro vita quotidiana di lavoro manuale, preghiera e canto religioso, con grandissima efficacia, semplicità e tensione («Non dobbiamo cercare il martirio», «Chi cercherà di salvare la sua vita la perderà»). Lietta Tornabuoni