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 2010  ottobre 22 Venerdì calendario

LA RETORICA SUI CAMBI AIUTA LA SPECULAZIONE

Non è chiaro cos’abbia determinato, in tarda serata, il colpo di coda che ha portato il dollaro a recuperare le perdite accumulate nell’intera seduta. Ma è evidente che la sincrona scivolata di Wall Street, che ha chiuso sostanzialmente invariata dopo aver visto guadagni dell’1%, è da imputare unicamente alle "follie" del biglietto verde. Si può liquidare l’estremo nervosismo dei mercati finanziari, adducendo l’incertezza generata dalle dichiarazioni del ministro del Tesoro Usa Timothy Geithner e alimentata dalla convocazione a sorpresa di un G7, proprio qualche ora prima di un G20, dal quale non ci si aspetta grandi risoluzioni sulla guerra valutaria in corso. Ma quell’apparente irrazionalità di Wall Street ha come sola spiegazione la scommessa degli investitori più speculativi di affidarsi completamente alla nuova ondata di quantitative easing promessa dalla Fed.

Proprio il quantitative easing, ossia l’iniezione di forte liquidità sul mercato grazie all’acquisto di titoli di stato (e forse anche di cartolarizzazioni sui mutui casa), è all’origine della guerra delle valute scatenatasi negli ultimi due mesi. Gli economisti più maligni avanzano il sospetto che tutta la nuova liquidità, lungi dal soccorrere l’economia reale, avrà il solo effetto di drogare ulteriormente i mercati finanziari e magari creare bolle speculative. E, pur con diverse sfumature di pensiero, hanno espresso al riguardo dichiarazioni piuttosto critiche almeno cinque esponenti della Federal Reserve (Hoenig, Lacker, Fisher, Kocherlakota, Plosser). In ogni caso è a tutti manifesto che un nuovo abbondante quantitative easing ha l’effetto di spingere ancor più in basso il cambio del dollaro. È intuitivo: più moneta si crea, più la valuta s’inflaziona. Le affermazioni di Geithner su un dollaro forte, in sintonia con la retorica delle precedenti amministrazioni, non convincono nessuno. Gli Stati Uniti, alle prese con una ripresa quanto mai stentata e con un crescente deficit commerciale, hanno bisogno di una valuta il più debole possibile. Ma quanto debole? Secondo un’analisi di SocGen, se gli Usa volessero recuperare uno 0,5% di Pil, aggiustando la propria bilancia commerciale e riducendo il deficit delle partite correnti dall’attuale 3% a meno dell’1% nel 2015, avrebbero bisogno di un dollaro immediatamente svalutato del 25% rispetto alle valute dei principali partner commerciali. Sarebbe una pillola troppo amara da far ingoiare a Europa, Giappone e ovviamente a Cina e Brasile.
In linea di principio ha senso la proposta di Geithner di aggiustare i rapporti di cambio in base ai surplus delle rispettive partite correnti. Ma come accordarsi? E con quali nuove regole dei mercati valutari? E con quali tempi? Lo stesso ministro del Tesoro ha ammesso che il problema non si risolve «in due settimane: ci vorranno tre o cinque anni». Il guaio è che l’amministrazione americana avrebbe subito bisogno di una soluzione che non può non scontrarsi con le esigenze altrettanto sacrosante dei paesi emergenti e dei tradizionali partner in Europa e Giappone. Per questo il promesso quantitative easing può rappresentare una scorciatoia: in apparenza facile, ma non indolore, viste le conseguenze di un’artificiale rivalutazione delle attività obbligazionarie e azionarie.