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 2010  ottobre 22 Venerdì calendario

SUCCESSO ITALIANO IN EUROPA SUL MADE IN

[In allegato tabella fatturato e export]
Strasburgo. Tutti insieme, con passione. Gli eurodeputati italiani ieri a Strasburgo festeggiavano tutti e si complimentavano a vicenda dopo il grande successo politico di una battaglia condotta in collaborazione bipartisan, sotto la guida di Cristiana Muscardini (Pdl), per la difesa del prodotto nazionale. Il Parlamento europeo aveva appena approvato a larghissima maggioranza (525 a favore e 49 contrari) una proposta di Regolamento che prevede di imporre l’indicazione del paese extraeuropeo di fabbricazione per una ampia serie di prodotti, il cosiddetto “Made In”. Una normativa a favore dei consumatori e delle imprese che arriva dopo un altro importate voto, questo però definitivo, che imporrà in particolare alle pubbliche amministrazioni di pagare i propri fornitori entro sessanta giorni.
Un “uno-due” del Parlamento europeo che comincia a mostrare tutta la propria nuova forza che gli viene dal Trattato di Lisbona e che cerca di dare risposte alle difficoltà delle aziende, in particolare quelle medie e piccole, particolarmente colpite dalla crisi. Ieri poi, mentre si approvava il “Made In”, un gruppo di deputati di vari paesi, tra i quali Niccolò Rinaldi, dell’Italia dei valori, chiedeva alla Commissione garanzie per le imprese dopo il discusso aiuto commerciale al Pakistan alluvionato, che apre le porte delle nostre dogane a settantacinque prodotti, in gran parte tessili. Il commissario al Commercio, il belga Karel De Gucht non ha fatto concessioni ma ha cercato di tranquillizzare, dicendo che «l’impatto delle misure sarà probabilmente modesto», poiché si tratta di un aumento di import di cento milioni l’anno, «lo 0,5 per cento della produzione europea». Se però si tratta anche solo di cento milioni in meno di fatturato per le aziende europee, forse qualcuno ne risentirà.
I tre moschettieri del “Made In” sono, oltre a Muscardini, Rinaldi e Gianluca Susta del Pd come relatori ombra. Anche la Lega ha fatto il suo, come ricorda Francesco Speroni, il quale si è visto approvare un emendamento che imporrà il marchio anche ai semilavorati, così, spiega «non si correrà il rischio che i prodotti realizzati nei paesi extraeuropei, una volta giunti in Europa, per un’ultima, e insignificante, lavorazione, si fregino del marchio “Made in Italy”».
Il regolamento comprenderebbe, tra gli altri, tessili, farmaceutici, strumenti di lavoro, rubinetteria e mobili, ma non prodotti agricoli e ittici.
L’eurodeputata del Pdl è stata alla guida della battaglia perché relatrice del provvedimento, che è andato molto oltre le iniziali proposte della Commissione, e che ora dovrà passare al difficile esame del Consiglio. «La grande maggioranza che si è formata in Parlamento - spiega Muscardini - imporrà ai governi di tenere nella dovuta considerazione la nostra proposta, che ora, con Lisbona, pone un vincolo fortissimo perché in materia di commercio internazionale vige la codecisione». Gli Stati e la Commissione, cioè, non possono decidere senza il consenso dei deputati.
«Abbiamo sanato un grande deficit democratico - aggiunge la Muscardini - perché sino a oggi i cittadini statunitensi o cinesi avevano il diritto di sapere da dove vengono i prodotti offerti sul loro mercato, ma gli europei no. Attualmente è del tutto occasionale, casuale, che sia indicata la provenienza».
Muscardini, come anche Rinaldi e Susta, mette però l’accento sul dato politico italiano: «Questa vittoria dimostra che se l’Italia lavora per interessi oggettivi, veri, può ottenere risultati enormi. Se riusciremo in futuro a lavorare ancora come abbiamo fatto con Susta e Rinaldi, in squadra, potremo avere ancora successi, senza cadere in polemiche per problemi interni».
Il percorso però è ancora lungo, tra gli Stati esistono due blocchi: i paesi produttori, come l’Italia, che sostengono le nuove norme e gli importatori, come la Gran Bretagna, la Svezia o l’Olanda che sono contrari. «Però se vediamo il voto ci sono stati solo 49 contrari - sottolinea Muscardini -. Proiettando questa divisione in Consiglio vuol dire che forse troveremo un blocco di Svezia, Austria e Olanda, mentre Gran Bretagna e Germania forse non saranno così rigide. Credo - conclude - che ci sia un buon margine per un compromesso ragionevole».