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 2010  ottobre 22 Venerdì calendario

LE “CRICCHE” DELLA BORSA E LE ESCHE PER I RISPARMIATORI

Giornalisti finanziari o piazzisti? Analisti di bilancio o cantori del radioso futuro aziendale? In Borsa e dintorni, di fronte alle pressioni della pubblicità, può succedere che il ruolo dell’informatore finisca per confondersi con quello dell’imbonitore, magari ben fornito di dati e di argomenti. Ci sono i casi clamorosi di Cirio e Parmalat, due aziende che, a parte poche voci nel deserto, furono stroncate solo a dissesto conclamato. Ma non è solo questione di crac e truffatori. Ogni giorno, gruppi industriali e bancari vendono ai risparmiatori la loro merce sotto forma di azioni o di altri prodotti finanziari. Ma quando c’è in ballo un collocamento di titoli in vista dello sbarco in Borsa di un’azienda, allora il gioco si fa davvero duro, la macchina del consenso parte a tutta velocità.
ERRORI e compromessi non sono ammissibili, perchè l’azienda in questione si gioca il suo futuro e spesso anche la reputazione. Quando poi queste operazioni riguardano colossi da miliardi di euro di ricavi, allora gli sforzi per condizionare l’informazione si moltiplicano di conseguenza. Pensiamo, per esempio, alle grandi privatizzazioni degli anni Novanta, quelle di Enel ed Eni. O anche quella recentissima di Enel Green Power, tanto più importante perchè avviene in una fase di mercato a dir poco grigia, senza operazioni borsistiche di rilievo. In casi come questi il pubblico dei possibili acquirenti-sottoscrittori si conta in milioni di risparmiatori. E i budget pubblicitari si gonfiano di conseguenza.
DECINE DI MILIONI di euro vengono investiti per riversare sugli investitori, via tv e stampa, messaggi che dovrebbero convincerli a puntare i loro soldi sulle azioni che verranno messe in vendita. Per i giornalisti delle pagine economiche dei quotidiani i margini di manovra si fanno ancora più ristretti. Il rischio di offendere la sensibilità dell’inserzionista diventa più elevato che mai. La posta in gioco è rappresentata da pagine e pagine di pubblicità che pesano per decine di migliaia di euro sui bilanci degli editori.
E poi, oltre all’azienda che si presenta in Borsa va tenuto conto di tutto il contorno. Perchè il collocamento è materialmente curato e organizzato dalle banche. E anche loro, ovviamente hanno tutto l’interesse a piazzare al meglio la merce, visto che è dai risultati dell’operazione che dipende in buona parte il loro guadagno. E siccome i banchieri, oltre a gestire il rubinetto dei crediti agli editori, spesso siedono anche nei consigli di amministrazione dei giornali, è facile comprendere che il condizionamento sull’informazione è quanto mai elevato.
A questo punto per dare un quadro completo della situazione forse conviene ricordare una vicenda che risale all’anno scorso. Una vicenda di straordinario corto circuito tra finanza, informazione e politica. E’ successo che la Consob, l’organo di vigilanza sui mercati finanziari, ha riformato le norme che regolano la cosiddetta pubblicità finanziaria sui giornali. In pratica, la Commissione aveva deciso di consentire alle società quotate e ai gestori del risparmio di pubblicare anche via Internet le comunicazioni obbligatorie, ad esempio i prospetti informativi sintetici per i collocamenti in Borsa o gli annunci dei risultati annuali o semestrali.
IN QUESTO MODO veniva quindi annullato l’obbligo di affidare questi comunicati ai giornali. Tutti annunci a pagamento che anche in periodi di Borsa poco brillante valgono almeno una cinquantina di milioni di euro, in buona parte appannaggio del Sole 24 Ore, il quotidiano della Confindustria e di Milano Finanza del gruppo Class. D’altra parte le nuove norme avrebbero favorito i bilanci delle aziende quotate, che in tempi di crisi avrebbero risparmiato sui costi di comunicazione. Niente da fare. La reazione veemente, e dal loro punto di vista comprensibile, degli editori ha prodotto una clamorosa retromarcia. A giugno del 2009 l’allora presidente della Consob, Lamberto Cardia, giunge addirittura ad offrire le proprie dimissioni al governo in polemica con gli altri quattro commissari che, a maggioranza, invece sostenevano la riforma.
Nel giro di pochi giorni Camera e Senato partoriscono un progetto di decreto legislativo che azzera le nuove norme, tra l’altro adottate per recepire una direttiva europea. Una bella mancia per gli editori proprio nei giorni in cui Silvio Berlusconi invitava i giornali a non drammatizzare la crisi. A questo punto la Consob non ha potuto fare altro che rivedere il testo elaborato poche settimane prima. Ritorna l’obbligo di pubblicare la gran parte delle comunicazioni finanziarie su “uno o più giornali a diffusione nazionale”. Questi annunci costano alle aziende molto di più, a volte addirittura il doppio, di analoghe inserzioni di carattere commerciale. E allora, mentre i bilanci di giornali soffrono, chi si prende il lusso di criticare un’azienda e il suo collocamento in Borsa?