Fosca Bincker, Libero 22/10/2010, 22 ottobre 2010
MENO TASSE? CONFINDUSTRIA DICE NO
Meglio la mancia di un fisco più leggero per tutti. Il primo vero ostacolo alla riforma fiscale che il governo sta mettendo a punto con le parti sociali, è venuto a sorpresa proprio dalla Confindustria di Emma Marcegaglia. Proprio nelle riunioni dei tecnici che hanno preparato il primo incontro ufficiale di mercoledì con Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, l’associazione degli industriali si è messa di traverso alla prima ipotesi elaborata al ministero dell’Economia per ridurre la pressione fiscale delle imprese. Un’idea molto simile a quella pensata per le famiglie: basta contributi a pioggia, male erogati e male utilizzati e con quelle risorse invece subito una maxi-riduzione dell’Irap per tutte le imprese, graduale fino alla eliminazione di una tassa fra le più contestate. Il ragionamento di Tremonti era semplice: nel controllo della spesa pubblica è necessaria un’opera di semplificazione, perché ci sono troppe leggi di spesa, spesso a responsabilità concorrente con enti locali, su cui è difficile erogare il controllo. Così avviene anche con gli incentivi e i contributi alle imprese italiane. Il ministero dello Sviluppo Economico da tempo stava preparando un provvedimento di semplificazione. Quando si era ormai sul rush finale, sono arrivate le dimissioni del ministro Claudio Scajola, e il dossier è restato accantonato.
SPESA E CONTROLLI
Gran parte del lavoro tecnico però è compiuto e basterebbe rispolverarlo e portarlo a fondo. Sono infatti centinaia le leggi che riconoscono incentivi, contributi, defiscalizzazioni al sistema delle imprese. Non esiste però un organismo pubblico che sia in grado di valutarne l’utilizzo e tanto meno l’efficacia. Non si è grado di sapere nemmeno se quei soldi spesi, qualche miliardo di euro ogni anno, servono davvero alle imprese. O soprattutto siano erogati alle imprese che ne hanno davvero bisogno. Quel che pensa Tremonti è assai vicino alla verità: più centri di spesa ci sono, meno controlli esistono. E quando i controlli sono pochi, sono quasi matematici gli abusi. Lo si è visto recentemente anche a Ballarò, in una rapida inchiesta condotta dalla trasmissione di Giovanni Floris: i contributi finiscono nelle tasche di chi non avrebbe diritto a riceverli. Si finanzia l’inutile o il piccolo interesse privato e re-
stano a secco proprio le piccole e medie imprese che ne avrebbero avuto bisogno. Allora la prima opera che il governo realizzerà piaccia o meno alle imprese sarà quella di semplificare quei canali di erogazione. Ridurli e unificarli, in modo di avere un centro di spesa unico o al massimo tre-quattro centri di spesa centralizzati. E una volta realizzata la semplificazione, la proposta sul piatto è questa: usiamo tutte queste risorse o gran parte di queste per defiscalizzare l’Irap?
GIÙ LE MANI
Tutte le imprese ne avrebbero beneficio, e lo sconto sarebbe nella generalità dei casi simile a quello dei contributi ricevuti. Ma la risposta della Confindustria è stata netta: «no, i contributi non si toccano». Secondo la Marcegaglia se ci sono irregolarità nella erogazione, tocca allo Stato perseguirle, ma una riduzione della pressione fiscale non deve essere alternativa: può essere solo aggiuntiva. Di fronte all’ovvia considerazione sulla mancanza di copertura per tagliare l’Irap in queste condizioni di finanza pubblica, gli industriali hanno ribadito il loro no. Preferiscono le mance che spesso riescono a prendersi sotto banco e con qualche trucco a un fisco più basso. Non è una questione ideale, è una questione molto pratica. Lo è a dire il vero su tutti e due i fronti della contesa. Tremonti è il primo ad essere convinto che una pressione fiscale media sulle imprese superiore al 45% non consentirà mai una vera riduzione dell’area di evasione fiscale. Non c’è investimento di un imprenditore che possa dare un ritorno simile a quel 45%, ed è evidente che si cercherà ogni strada possibile per cercare di perdere un po’ meno. Secondo il ministro dell’Economia l’evasione fiscale sarà davvero recuperata il giorno che l’Italia potrà avere solo due aliquote: il 23% sui redditi medio bassi, il 33% su tutti gli altri. Ma oggi non ci sono le risorse per farlo mantenendo inalterato il quadro di finanza pubblica e il sistema di agevolazioni esistente. Per le imprese come per le famiglie: per abbassare le tasse bisognerà toccare i 143 miliardi di euro di esenzioni e agevolazioni fiscali a vario titolo su redditi e lavoro.