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 2010  ottobre 22 Venerdì calendario

CARNE, L´ABBUFFATA È FINITA COSTERÀ PIÙ DEL CAVIALE

Wall Street e la speculazione si preparano a regalare alla gastronomia mondiale una nuova specialità: la fettina d´oro. La ricetta è semplice: il mondo è a corto di bovini. I prezzi dei mangimi sono alle stelle. I consumi di braciole in Cina e India crescono in misura proporzionale ai loro esuberanti Pil. Risultato: i prezzi dei derivati sulla bistecca alla Borsa di Chicago - i live cattle futures - sono schizzati all´insù (+16% in meno di dodici mesi). E l´onda lunga degli aumenti rischia di tracimare a breve nei carrelli dei consumatori.
«Mettiamoci il cuore in pace: la carne non sarà più un prodotto di massa - è la previsione di Henning Steinfeld, responsabile allevamenti della Fao - . I rialzi di questi mesi sono qui per restare. Una costata nel 2050 costerà come il caviale oggi». Esagerazioni? Un po´ sì, ma non troppo, dice Francois Tomei, direttore generale di Assocarni, l´associazione degli imprenditori italiani di settore. «Il problema contingente è il boom del prezzo dei cereali (servono 12 kg. di derivati di frumento per ottenere un chilo di carne, ndr.) - dice - . E i rialzi non si sono ancora scaricati sui clienti finali solo perché allevatori e macellatori hanno assorbito gli aumenti». A lungo termine però «l´allarme della Fao ha un suo fondamento: su 6 miliardi di esseri umani solo poche centinaia di milioni hanno accesso alle proteine nobili della carne mentre le terre ancora disponibili per allevare le bestie sono pochissime e solo in Brasile e Russia».
La speculazione - che vede lontano - è già saltata sul carro della fettina d´oro, cavalcando la fredda logica dei numeri: negli Stati Uniti, il più grande ranch mondiale, ci sono oggi «solo» 100 milioni di bovini, il livello più basso dal 1973, causa siccità e crisi finanziaria. Il balzo dei costi di gestione delle stalle - per uno degli strani paradossi della legge domanda-offerta - ha mandato gambe all´aria decine di aziende in Europa e in Italia. E il Brasile, grande esportatore a inizio millennio, fatica ora a soddisfare la richiesta nazionale.
I capi in vendita, così, sono sempre meno. Mentre la richiesta cresce a ritmi vertiginosi: l´export Usa è salito quest´anno del 26%. «Basta che i cinesi decidano di mangiare un chilo di carne in più all´anno per travolgere gli equilibri del mercato», dice Tomei. Ipotesi non proprio fantascientifica visto che a Pechino oggi si consumano 4,7 kg. di bistecche a testa ogni dodici mesi contro i 43 degli Stati Uniti e i 24,2 dell´Italia.
Le conseguenze del boom della domanda, naturalmente, vanno ben oltre il semplice rialzo dei prezzi. L´allevamento di bestiame brucia una valanga di risorse: per produrre un chilo di grano servono mille litri d´acqua, per la stessa quantità di carne. Certo, come ricorda Tomei, molte vacche crescono al pascolo consumando solo erba. Ma è un fatto che un terzo del frumento al mondo finisca in alimentazione bovina. «Quel che è sicuro è che dobbiamo razionalizzare le risorse», annette il numero uno di Assocarni. Specie l´Italia che importa il 50% del suo fabbisogno di bistecche - 400mila tonnellate l´anno - malgrado la crisi abbia tagliato del 2% i consumi quest´anno.
Come evitare di fare della fettina il caviale del terzo millennio? «Portando tecnologie nelle stalle e difendendo con la politica comunitaria i prodotti Ue», conclude Tomei. Oppure tagliando i consumi. Fino a poche decine di anni fa, in fondo, la carne arrivava in tavola una volta alla settimana, nel giorno di festa. Si calmierebbero i rincari, si mangerebbe più sano. E, di sicuro, vitelli e mucche non avrebbero niente da ridire.