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 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

IL BELLI RITROVATO DAI BONAPARTE: 21 SONETTI SUI TEMI A LUI CARI

«Un po’ più che durava Napujone / Roma vieniva a diventà Frascati’. Così sentenzia con un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo un popolano dei sonetti di Belli. Altri trasteverini gli fanno eco nel nominare, più con esecrazione e scongiuro che con ammirazione, l’uomo che segnò i destini d’Europa.

Con il folto ramo romano dei napoleonidi Belli ebbe più di un contatto: il cardinal Luciano Bonaparte, uomo di fede convinta come parte dei suoi parenti, fu tra i pochi amici cui il poeta leggeva i suoi scottanti sonetti. E il principe Placido Gabrielli, gli chiese per conto di suo zio, il filologo Luigi Luciano Bonaparte allora a Parigi, di tradurre in romanesco il Vangelo di Matteo per aggiungerlo alla collezione di vangeli dialettali che andava promuovendo: invito ricusato, ché dopo il 1849 Giuseppe Gioachino, spaventato dalle violenze della repubblica romana e timoroso di essere strumentalizzato da mazziniani e massoni, aveva smesso di scrivere in romanesco, sconfessando (così almeno pareva) il suo capolavoro.

Ma ecco che un manoscritto appartenuto a Gabrielli spunta fra le carte della Fondazione Primoli, che prende nome da un altro napoleonide protagonista della Roma bizantina, il conte Gegé Primoli, raffinato esteta nonché amico di D’Annunzio.

Lo scova il presidente della Fondazione, Massimo Colesanti, scrittore e saggista, decano dei francesisti italiani, appassionato di Belli non meno che di Flaubert. Si tratta di una raccolta d’altra mano, ma Colesanti scopre che su quella copia apografa Belli mette la sua penna, correggendo le lezioni sbagliate, specie gli italianismi che inquinavano il suo dialetto purissimo.

Ne esce una edizione accuratissima ( Belli ritrovato ,

Edizioni di Storia e letteratura) che si presenta domani alle 17, alla Fondazione Primoli, assieme a un concerto di musiche di Vincenzo Bellini (uno dei sonetti è dedicato alla

Sonnambula). Il libro offre materia di grande interesse per gli specialisti, sia per la ricostruzione storico-culturale, sia per la cura filologica e il commento interpretativo.

Nei 21 sonetti della raccolta Gabrielli-Primoli non figurano, significativamente, sonetti in lode o biasimo di Napoleone o dei francesi, «giacubbini» o «framasoni» per antonomasia: e questo si capisce bene, anche se non tutti i Bonaparte erano di quell’idea. Ma rappresentano un ventaglio largo dei temi cari a Belli.

Ma l’acquisto più importante del nuovo libro è, per me, questo: smentisce l’opinione diffusa che Belli abbia rinnegato il suo capolavoro, come se lo spavento o un rimbecillimento senile avesse trasformato il poeta da libero pensatore in codino reazionario. Conferma l’ipotesi anche la cura con cui predispose le belle copie dei sonetti, con note esplicative per lettori ignari del romanesco, affidandole a un prelato intelligente e aperto, che le avrebbe custodite al riparo da miopi censori o da faziosi mangiapreti. Lo aveva capito un altro napoleonide, Paolo Campello Della Spina, che Belli lo aveva conosciuto bene, e che nei suoi Ricordi

scovati da Colesanti centrò esattamente il bersaglio, con buona pace di interpreti faziosi che cercarono ieri, e vorrebbero oggi, reclutare Belli sotto insegne avversate dalla sua coscienza: «Benché più volte [il poeta] si permettesse di pungere con la sua satira istituzioni e persone venerande, ... era però un figlio della Chiesa».