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 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

APOLOGIA DEL “TU”

Qualche tempo fa il commesso di un negozio stava servendo un signore di colore e nel parlare usava con il cliente, che non era un ragazzino, il «tu». Venuto il mio turno, e salutato dal commesso con un rispettoso «lei», non sono riuscito a trattenermi dal chiedergli il perché di questa differenza: il seguito della conversazione non è stato cortese. Questo episodio mi porta a qualche considerazione, non tanto sulle implicazioni «etniche» quanto sull’inarrestabile proliferazione del «tu» nei rapporti interpersonali.
Un pronome che esprime tra persone adulte confidenza e una sostanziale mancanza di «differenze» di esperienza o di situazione, ha finito per perdere queste connotazioni positive per diventare nulla più che un’insipida «forma allocutiva». Così si sono acriticamente abolite quelle formalità che sottolineano differenze nei rapporti sociali e ciò ha portato alla cancellazione dei valori che le differenze possono rappresentare: il rispetto dovuto alle differenze di età, esperienze, ruolo, o il valore da attribuire a un rapporto profondo piuttosto che a uno superficiale. Così gli studenti trattano con il «tu» gli insegnanti; così due persone, per il fatto di incontrarsi in un ambiente, sono spinte a darsi del «tu». Anche trattare con il «tu» la commessa di un negozio, per quanto giovane, è una forma di mancanza di rispetto, mentre un discorso a parte, ma sincero, meriterebbe il «tu» usato nei confronti degli extracomunitari (non degli svizzeri, però…). E non ha molto valore sostenere il «tu» generalizzato con il confronto con altre lingue: il riferimento all’inglese «you» dimostra solo scarsa conoscenza delle sfumature che una conversazione basata su questo pronome può assumere.
Non è il «lei», giudicato servile o spocchioso, a meritare un’apologia: è il «tu» che invece dovrebbe essere riportato al suo valore profondo, sottraendolo alla generale sbracatura in cui è caduto.
Gianguido Castagno
73 anni, dirig. assicurativo “ritirato dal lavoro”, Torino