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 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

I PAESI EUROPEI TAGLIANO LE SPESE MILITARI. E GLI ESERCITI SI RITROVANO A CORTO DI UOMINI E MEZZI. CON MOLTI RISCHI PER LA NOSTRA SICUREZZA

Un´Europa in disarmo. Dopo essere stata per secoli la caserma del mondo, prima potenza militare egemone e poi campo di battaglia globale, l´Europa del "soft power", ma soprattutto della crisi economica, scopre il fascino discreto dell´addio alle armi.
Taglia i bilanci della difesa, liquida reggimenti gloriosi, smantella navi e portaerei, chiude basi, manda in pensione aerei e carri armati. Rinuncia, con apparente facilità, ad un pezzo della propria storia e della propria identità.
L´allerta arriva, come sempre, dall´altra parte dell´Atlantico. Alla vigilia del vertice Nato, che a Lisbona in novembre deve varare il "nuovo concetto strategico" dell´Alleanza, gli Stati Uniti si inquietano per il fatto che gli europei spendono sempre meno nella Difesa. «La demilitarizzazione dell´Europa, che nel XX secolo era una benedizione, sta diventando un ostacolo al raggiungimento di una vera sicurezza e di una pace durevole nel XXI secolo», ha avvertito qualche mese fa il segretario americano alla Difesa, Robert Gates.
E il Wall Street Journal scrive: «Se gli alleati dell´America vogliono avere voce in capitolo quando si tratta di questioni di sicurezza, e soprattutto se vogliono essere ascoltati, non possono presumere che siano sempre gli Stati Uniti a pagare il conto per mantenere l´ordine globale».
Quella di una più equa ripartizione degli oneri è una vecchia e sempre inascoltata rivendicazione americana. Non priva di qualche ipocrisia. Washington ha sempre rimproverato agli europei di non fare abbastanza, ma non ha mai accettato di condividere veramente la leadership atlantica e ha boicottato i timidi tentativi di dare vita a una difesa europea autonoma. Ma questa volta l´allarme per il crescente disarmo europeo è condiviso anche dai responsabili della Difesa del Vecchio Continente.
«Non c´è dubbio che, mentre gli Usa mantengono un alto livello di risorse per la difesa, gli europei non riescono a raggiungere il livello di spesa che si erano prefissati al 2 per cento del Pil», dice a Repubblica l´ammiraglio Giampaolo Di Paola, presidente del Comitato militare che riunisce i capi di stato maggiore della Nato, l´uomo che deve cercare di contenere gli effetti della corsa al disarmo. «Questo trend non può continuare, perché porterebbe a un indebolimento irreversibile delle capacità di difesa europee».
Si assiste così al paradosso di un´Europa che non ha mai speso tanto poco per le proprie forze armate, proprio nel momento in cui esse sono impegnate sul campo in misura che non ha precedenti nel dopoguerra. Decine di migliaia di soldati, tra Afghanistan, Libano, Balcani, e varie missioni in Africa. E se il costo umano di queste missioni è pesante, quello economico non è da meno.
Prima la crisi finanziaria, poi quella dei debiti pubblici, hanno costretto a una serie di drastici ridimensionamenti delle spese militari. Nel 2002 tutti i membri dell´Alleanza si erano dati come obiettivo di stanziare ogni anno «almeno» il 2 per cento del Pil per la difesa. Nel 2009 solo Grecia (3,1), Albania (2,0), Francia (2,1), Gran Bretagna (2,7) e Stati Uniti (4,0) hanno mantenuto l´impegno. Italia e Germania sono a 1,4. La Spagna a 1,2. L´anno prossimo, verosimilmente, solo gli Usa resteranno al di sopra del due per cento.
Le prime misure di austerità sono arrivate all´indomani della crisi di Wall Street. Nel 2009, per esempio, la Francia ha tagliato il bilancio per la difesa del 15%, l´Italia del 38, il Belgio del 5,7, la Spagna del 4,6, la Turchia del 16,9. Ma questo ridimensionamento è trascurabile rispetto a quelli che si stanno preparando ora, dopo che gli attacchi speculativi contro l´euro hanno costretto tutti i governi a varare piani draconiani di risanamento dei conti pubblici.
Il premier britannico David Cameron ha appena annunciato un taglio al bilancio militare dell´8 per cento in quattro anni. Londra rinuncerà alla sua unica portaerei, la Ark Royal, in attesa di due che sono in costruzione; taglierà drasticamente gli ordini del nuovo caccia Jsf. Manterrà il programma nucleare dei sottomarini Trident, ma la Royal Navy sarà ridimensionata. Il settore della difesa perderà 42 mila addetti entro il 2015.
La Francia per quest´anno ha confermato gli impegni di bilancio, ma gli esperti militari si attendono che la scure calerà sulle spese per la difesa l´anno prossimo. Del resto non è un mistero che, dietro la decisione francese di reintegrare la struttura militare dell´Alleanza, c´è anche la consapevolezza di non avere più le risorse per mantenere una capacità difensiva autonoma. Francesi e britannici hanno già sul tavolo accordi per gestire in comune l´arsenale nucleare dividendo le spese. Lo stesso si preparano a fare condividendo i nuovi aerei da trasporto Airbus A400.
La Germania, che sta passando dall´esercito di leva a quello professionale, con una conseguente contrazione degli effettivi e un aumento della spesa, si prepara anch´essa a segare le spese per la Difesa. Gli esperti del ministero, interpellati dalla Merkel, hanno messo a punto una lista di tagli per 9,3 miliardi di euro.
In Olanda, il nuovo governo ha già fatto sapere che rinuncia a comprare i costosi e sofisticatissimi super-caccia Jsf. Anche in Italia si tira la cinghia. L´Aeronautica militare ha già chiuso il 5° stormo intercettori di Cervia, e nel 2012 chiuderà anche quello di Trapani. Secondo il capo di Stato maggiore dell´arma, il generale Giuseppe Bernardis, «il ridimensionamento ha finora interessato un centinaio di reparti, con l´adozione di oltre 160 provvedimenti di soppressione e riorganizzazione». L´Italia è anche uscita dal programma Nato SAC (Strategic Airlift Capabilities) che prevedeva l´acquisto e la condivisione di aerei da trasporto militare C130. E ha tagliato di 25 aerei il suo piano di ordinazioni per i caccia Eurofighter. Le riduzioni che tutti i Paesi dell´Alleanza stanno portando ai bilanci militari potrebbe anche mettere in pericolo il progetto di sorveglianza aerea AGS (Air-ground surveillance) che avrebbe dovuto essere basato a Sigonella. La ristrutturazione dei comandi Nato, che ridimensionerà anche quello di Napoli, comporterà complessivamente una riduzione del personale da 13 mila a 9 mila addetti.
Su un´unica cosa tutti gli esperti sono concordi: nonostante i tagli, finora nessun Paese ha risparmiato sulle dotazioni fornite ai soldati impegnati in missione in Afghanistan o altrove. Ma anche qui le ristrettezze di bilancio si fanno sentire. E le esitazioni con cui l´anno scorso gli europei hanno risposto alla richiesta americana di inviare a Kabul diecimila uomini in più, si spiegano non solo con perplessità di ordine politico, ma anche in molti casi con pure e semplici preoccupazioni di bilancio.
Per ora, almeno, le conseguenze di questa Europa disarmata non si sono ripercosse sul piano della sicurezza, anche se gli europei difficilmente sarebbero in grado di mettere in piedi un´altra grossa operazione militare in caso di crisi. L´idea di inviare una forza di peacekeeping in Somalia è stata scartata non solo per considerazioni politiche ma anche per la difficoltà di reperire i mezzi. E l´invio di una forza di interposizione in caso di accordo di pace in Medio Oriente non sarebbe possibile senza rimettere mano ai bilanci della Difesa.
«Il risultato delle maggiori spese per missioni è che si taglia sugli investimenti, sulla ricerca. In qualche modo si comprime il nostro futuro proprio mentre la Nato si accinge a varare il suo nuovo concetto strategico», spiega l´ammiraglio Di Paola, secondo cui è a rischio la competitività dell´industria militare ad alta tecnologia. «In altre parti del mondo ci sono grossi programmi di sviluppo degli armamenti. La nostra superiorità tecnologica può essere colmata in pochissimo tempo. La superiorità qualitativa va mantenuta a qualsiasi costo, magari sacrificando in parte l´elemento quantitativo».
I tagli, dunque, più che sulla sicurezza, si ripercuotono ancora una volta sull´economia e sulla competitività del "sistema Europa". E rischiano di costituire un pericoloso autogol proprio nel momento in cui l´Europa, nel suo insieme, stenta a far ripartire la macchina della crescita economica.