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 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

GROZNY CANCELLA LA GUERRA "QUI LA PAURA È FUORILEGGE" - GROZNY

Hanno messo una toppa d´asfalto sul sangue del kamikaze, un po´ di stucco bianco sui buchi dei proiettili.
Sparita ogni traccia di guerra, la finta pace della Cecenia continua. L´incubo resta ma non si vede. Alla fine di via Vostochnaja una giostrina colorata continua a girare. Non si è fermata neanche martedì mattina mentre urla, fumo e spari venivano fuori dal Parlamento sotto l´attacco dei ribelli. Al Bakkarat, pub-pizzeria con vista sui cancelli della morte, si preparano i tavoli per i tanti clienti di ogni sera.
Ramzan Kadyrov, presidente di fiducia di Mosca, sorride in gigantografia da ogni parete. Seguite i suoi ritratti e arriverete nel cuore della città, il grande viale della Vittoria, devotamente ribattezzato Prospettiva Putin. Rare auto della polizia, folla colorata e urlante tra le bancarelle del mercato, ragazze con stivali dai tacchi altissimi e il capo regolarmente avvolto nel foulard islamico. Vietato avere paura. Di terrorismo, giornali e tv hanno già smesso di parlare. E l´ordine è chiaro per tutti: niente deve offuscare la rinascita miracolosa di Grozny. Ai ribelli ci penseranno le truppe speciali dell´ex Kgb locale. Lo faranno discretamente come sempre. Magari facendo sparire un po´ di giovani sospetti di complicità, come denunciano organizzazioni per i diritti umani di mezzo mondo, o con operazioni militari ultra-segrete tra monti e vallate che da qui arrivano fino al confine con la Georgia.
Leggeremo i bollettini con il numero delle vittime, tra i terroristi.
La città intanto deve vivere come se niente fosse. Al gigantesco mausoleo dedicato ad Akhmad Kadyrov, il padre dell´attuale presidente saltato per aria in un attentato nel 2004, i visitatori parlano di tutto tranne che della guerriglia. Un cinquantenne con il colbacco caucasico di astrakan ci spiega che il giovane Kadyrov è l´uomo più amato della Cecenia. Che ha fatto la fortuna di quelli come lui che lavorano nelle costruzioni, ma anche degli altri cittadini. Indica le gru che si alzano da ogni lato della città che dieci fa era solo cadaveri e macerie. Un gigantesco cantiere dove si spendono in maniera spettacolare i miliardi di rubli che arrivano da Mosca.
Centri commerciali, cinema multisala, un palazzo del ghiaccio, una city di grattacieli di vetro come in una sorta di Manhattan del Caucaso. Un colpo d´occhio che sbalordisce quelli che ricordavano la piccola devastata Grozny delle due sanguinose guerre condotte, prima da Eltsin e poi da Putin. E che venne perfino riconosciuto da Anna Politkovskaja, la giornalista che denunciò le violazioni dei diritti umani del regime russo-ceceno. Denunce che per molti sono il vero movente di chi mandò un killer a ucciderla nel portone di casa.
Ma dentro il cantiere Grozny si muovono gli stessi fantasmi della guerra di dieci anni fa. Poliziotti in borghese che controllano tutto e tutti, ribelli pronti al martirio in qualsiasi luogo e in ogni momento. L´aria pesante la respiri improvvisamente entrando nell´ufficio di Memorial, l´organizzazione russa per i diritti umani che da anni cerca giustizia sui crimini di guerra, sui metodi della polizia segreta, sul silenzio imposto alla stampa. Le impiegate ti respingono guardano le pareti con fare allusivo. Ti rimandano giù in strada per avere un contatto telefonico con uno dei loro capi.
Appuntamento a un bancomat, dove però si presenta un´altra leader. È Kheda Saratova, una delle più note attiviste di Memorial. Un po´ di conversazione generica per verificare la tua buonafede. Poi si fa accompagnare a casa sua nella Grozny che sta dietro le quinte del miracolo Kadyrov. D´improvviso riappaiono case semi-diroccate, prati incolti, vecchi edifici sovietici umidi e cadenti. Nella casa al secondo piano, due tavoli e un computer. Alle pareti scarabocchi di bambini, una foto della Politkovskaja e una, ancora più grande, di Natalja Estemirova assassinata anche lei nel pieno di una campagna contro il regime, un anno fa. «La mia più grande amica. Una perdita enorme per tutti noi».
La signora Saratova ha una quarantina d´anni, un´inutilizzata laurea in filologia e anche una mezza voglia di piantare tutto e andarsene dopo anni di impegno. «La guerra non è mai finita. Siamo tutti schiacciati tra un regime violento e oppressivo e un terrorismo che continua a colpirci». Spesso, lei e i suoi sono accusati di parteggiare per i ribelli. Non lo ha mai fatto, dice, ma ammette che anche i ribelli sono cambiati dai tempi quasi romantici delle prime rivolte. «L´idea dell´indipendenza, che poteva anche avere un suo fascino, è morta. Adesso dilaga un integralismo islamico che arriva da fuori, forse addirittura da Al Qaeda. C´è il progetto di un emirato del Caucaso che unisca le maggioranze musulmane di Cecenia, Daghestan, Kabardino-Balkaria. L´amarezza è che questa guerra invisibile conviene a tutte e due le parti». Ai fanatici islamici, spiega, per imporre il loro progetto. Al regime, per avere ancora più denaro e più potere da Mosca. «In mezzo ci stiamo noi che ci sentiamo sempre più soli».
In centro intanto si accendono le luci sfolgoranti della moschea Kadyrova nuova di zecca con i suoi minareti dai tetti d´oro. Tutto attorno comincia la passeggiata della sera nella città dove la paura è fuorilegge.