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 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

OBAMA ARMA L’ARABIA CONTRO L’IRAN


Bush voleva “armare” con lo scudo missilistico la Polonia e la Repubblica Ceca per contrastare possibili attacchi dall’Iran, ma Obama ha accettato una volta eletto di bloccare l’idea e di annacquare l’accordo con i due governi ex comunisti, che avevano accettato di rafforzare le proprie difese non solo contro Teheran, ma anche implicitamente contro le mai sopite ambizioni espansioniste del Kremlino.
Oggi tocca a Obama e al Congresso a maggioranza Democratica dire di sì ad un’altra operazione di “diplomazia” e di fornitura militare, che ha sempre l’Iran sullo sfondo ma non coinvolge l’Est Europa bensì il mondo arabo. L’Arabia Saudita ed altri Stati del Golfo hanno ordinato recentemente armi americane per un totale di 123 miliardi di dollari. Di questi, la fettam aggiore sono i 60 richiesti dall’Arabia Saudita, che vuole 84 caccia nuovi di pacca e 70 riammodernati, in larga misura prodotti dalla Boeing, oltre a 70 elicotteri Apache, 72 Black Hawks e 36 Little Birds. Una bella flottiglia destinata ad un regime islamico più che autoritario, che finanzia madrase in mezzo mondo, e che non dà la patente di guida per le auto alle sue suddite in patria, anche se è il primo paese produttore di petrolio al mondo.
Dalle madrase estremiste appoggiate dai sunniti dell’Arabia Saudita, si sa, escono frotte di potenziali terroristi. Ma il regime di re Abdullah, lo stesso di fronte al quale il presidente Obama neo eletto fece la gaffe dell’inchino al loro primo meetingi nternazionale, è anche nemicissimo diTeheran. E l’Iran è unarepubblica islamica sciita radicale che è ancora peggio, di questi tempi, poiché il suo leader Ahma-dinejad vuole spazzare Israele dalla faccia della terra e farsi la bomba nucleare alla faccia dei patti che ha sottoscritto di non proliferazione e delle sanzioni dell’ONU.
È naturale chiedersi, allora: ha senso per l’America fornire una tale batteria di guerra all’Arabia Saudita, per un obiettivo legato alla stretta attualità del pericolo iraniano?Non è un’azione azzardata strategicamente? E non ha insegnato nulla l’esperienza dell’Afghanistan, dove Washington armò la resistenza islamica antirussa per ritrovarsi qualche decennio dopo ripagata dall’attacco di Al Qaeda del’11settembre? Nei rapporti internazionali la“real politik” ha sempre i suoi rischi. Per decenni, il metro di giudizio delle alleanze, per i governi americani, era stata la distanza o la vicinanza da Mosca di un certoregime.
La Guerra Fredda era una faccenda globale, e il comunismo era “il” pericolo. In questa ottica, aver aiutato gli afgani a di-sfarsi del controllo imperialista del Kremlino è stata una decisione dalle implicazioni positive per risolvere quella che allora era, per usare la classificazione di Mao, la “contraddizione principale”, l’ostacolo maggiore all’obiettivo dello sviluppo democratico del mondo. Sappiamo oggi come è andata con l’ex amico Osama Bin Laden e con i talebani, ma sul piatto della bilancia storica vanno messi i vantaggi della fine del comunismo a cui la disfatta in Afghanistan ha certo contribuito.
Dunque, per tornare ai patemi di Obama sul via libera alla commessa, noi che nonsiamo teneri con il presidente sutan-te questioni, sul sì all’Arabia Saudita pensiamo sia la cosa giusta da fare per l’America. Dividere i nemici è una tattica non male, e se i regimi islamici illiberali si guardano in cagnesco, facciano pure. Se l’Arabia pensa che Teheran sia un tale rischio per la propria sicurezza da richiedere centinaia di aerei da guerra, questo è un elemento che dovrebbe semmai rafforzare la vigilanza e le misure di contenimento contro Ahmadinejad di tutto il mondo libero, più di quanto già non si faccia. Poi c’è il fattore puramente economico. Gli Usa rifiutano l’affare? Il mercato delle armi è mondiale: la Russia, l’Europa o magari la Corea del Nordo la Cina sarebbero ben lieti di subentrare.
I dubbi sulla fornitura dei 60 miliardi di velivoli da guerra all’Arabia sono stati al centro di un dibattito presso il CFR, Council on Foreign Relations di New York qualche giorno fa. Dei quattro esperti di politica internazionale intervenuti, tre hanno detto che è una buona idea, e solo il quarto, William Hartung, ha usato un tono cauto mettendo in guarda contro il rischio di favorire così una “corsa agli armamenti” nella regione.