Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 21/10/2010, 21 ottobre 2010
GRAN BRETAGNA E FRANCIA UN FIDANZAMENTO NUCLEARE
Nella sua risposta sulla riduzione degli stanziamenti di bilancio del governo britannico a favore della difesa mi sembra manchi un tassello importante: la dichiarata intenzione di mantenere, o meglio aggiornare, il sistema missilistico Trident quale deterrente nucleare. Trattandosi di un sistema imbarcato su sommergibili nucleari, l’«upgrading» assorbirà notevoli risorse in un periodo di vacche magre. Come spiegare la decisione in un mondo dove la guerra fredda è un ricordo del passato e le velleità dei nuovi membri del club nucleare (Iran, India, Pakistan) sono ampliamente soverchiate dagli arsenali Usa/Russia? Sorge il dubbio che il motivo vada cercato nell’ambito degli equilibri europei. L’idea che l’unico deterrente nucleare rimanga monopolio del governo francese rimane indigesto alla psicosi britannica, con buona pace dell’«entente cordiale».
Cesare Da Ré
cesaredare@aol.com
Caro Da Ré, la sua lettera solleva contemporaneamente molti problemi interessanti, ma le sue considerazioni sull’aggiornamento del sistema nucleare britannico non tengono conto di un fatto nuovo emerso negli scorsi giorni: l’accordo che Gran Bretagna e Francia sarebbero sul punto di concludere per una stretta collaborazione dei due Paesi in questo settore. La Gran Bretagna ha un’arma — il missile Trident — che deve molto alla tecnologia americana, e ha trascurato per di più l’aggiornamento dei sistemi informatici che verificano l’efficacia degli or di g ni e s ostitui s c onogli esperimenti, proibiti da un trattato internazionale. La Francia, invece, ha software e computer perfettamente adatti allo scopo.
All’origine di questa disparità vi sono le diverse strade percorse dal nucleare britannico e dalla «force de frappe» francese. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, la Gran Bretagna progettò un missile terra-aria — lo Skybolt — che avrebbe completato, con i bombardieri della Royal Air Force, il sistema nucleare del Paese. Si rivolse agli Stati Uniti, come aveva fatto in altre occasioni, per ottenere assistenza tecnologica, soprattutto nel settore particolarmente delicato del sistema di lancio. Ma nell’incontro che ebbe luogo ai Caraibi nel 1962 tra il primo ministro britannico Harold Macmillan e il presidente americano John Kennedy, questi rifiutò e costrinse gli inglesi a un compromesso. Washington avrebbe fornito missili Polaris ai sottomarini della Royal Navy, ma la Gran Bretagna ne avrebbe fatto un uso conforme agli obiettivi strategici degli Stati Uniti. Gli inglesi sarebbero stati, come in passato, i più fidati alleati dell’America in Europa, ma nell’ambito di una politica che avrebbe assegnato ad essi un ruolo subalterno. Dopo l’intervento del presidente Eisenhower nel conflitto di Suez, questa è la decisione che meglio rispecchia la volontà americana di avere, nel suo rapporto con la Gran Bretagna, il bastone del comando. Da allora il nucleare britannico ha vissuto all’ombra degli Stati Uniti e ne è divenuto dipendente.
La strada francese, invece, è stata del tutto diversa. Dopo il colpo di acceleratore impresso dal generale de Gaulle, la Francia ha costruito la sua force de frappe contro la volontà degli Stati Uniti e ha dovuto sviluppare la propria tecnologia. Nel 1995, quando divenne presidente della Repubblica, Jacques Chirac autorizzò una serie di esperimenti nucleari nel Pacifico, ma dichiarò che sarebbero stati gli ultimi. Da allora la Francia, per evitare gli attacchi dell’opinione pubblica internazionale, ha messo a punto i sistemi di verifica virtuale che la Gran Bretagna non ha. Non conosciamo ancora i termini dell’accordo, ma possiamo immaginare che esso avrà qualche ripercussione sul «rapporto speciale» di Londra con Washington e, forse, sul ruolo europeo della Gran Bretagna.
Quanto alla sua ultima domanda, caro Da Ré, rispondo sommariamente che il possesso della bomba è diventato il simbolo dell’indipendenza nazionale, il fattore che maggiormente distingue le «potenze» dalle altre. Ma i Paesi che professano questa convinzione vorrebbero che le porte del club fossero chiuse e non ammettono che altri Stati (l’Iran per esempio) ragionino allo stesso modo.
Sergio Romano