Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

BALZO DELLE QUOTAZIONI E INCOGNITE NELLA NUOVA GRANDE CORSA ALL’ORO

Il prezzo dell’oro ha superato i 1.350 dollari per oncia con un incremento in un anno di quasi il 30%. Per valutare questa crescita partiamo da alcuni dati. Il primo è che il prezzo attuale, espresso in dollari «reali» depurati dall’inflazione, è più basso di circa il 30% del livello raggiunto tra gli anni 70 e 80 quando, in concomitanza di gravi crisi geo-politiche e petrolifere, si toccò il massimo storico del dopoguerra. Il secondo riguarda l’estrazione di oro. Lo stock già estratto è stimato tra le 145 e le 160 mila tonnellate. Di queste 30 mila sono riserve ufficiali di banche centrali e soggetti istituzionali; 15-20 mila sono riserve private (lingotti e monete); 100-110 sono utilizzi ornamentali e industriali. La stima è approssimata perché una parte di oro estratto è andata dispersa. L’estrazione annuale è cresciuta, pur con oscillazioni, negli ultimi decenni con punte di 2.600 tonnellate annue e mai sotto le 2.300 tonnellate. Questi dati evidenziano sia che i proprietari di oro sono molto diversificati e tali sono anche i loro obiettivi sia che l’estrazione annua è una percentuale limitata dello stock esistente.
Muovendo da qui si possono distinguere tre categorie di opinioni: quelle dei rialzisti, dei ribassisti, dei razionalisti.
I rialzisti ritengono, anche per il confronto al livello massimo postbellico, che il prezzo continuerà a crescere a causa della scarsità del metallo e della forte domanda a sua volta alimentata dal timore dell’inflazione, dello sbandamento di qualche banca centrale, della svalutazione del dollaro e per la vulnerabilità dei titoli di Stato. Inoltre rispetto ai principali indici di borsa come quella di New York (lo S&P500) e di quella londinese (Ftse), il prezzo dell’oro ha guadagnato più del 400% negli ultimi 10 anni. Essi concludono che in questo periodo l’oro è stato anche un ottimo investimento e prevedono che nei prossimi 12 mesi supererà i 1.500 dollari per oncia se non addirittura i 2.000.
I ribassisti ritengono che si tratti di una nuova bolla destinata ad esplodere mentre altri ricordano che sono stati necessari quasi 25 anni, per chi ha investito in oro nei primi Anni 80 e neppure al prezzo massimo, per riguadagnare i prezzi reali d’acquisto. L’estremo dei ribassisti, espresso in un recente articolo su un autorevole quotidiano anglosassone, afferma che il Tesoro Usa dovrebbe vendere adesso, dati gli alti prezzi, le 8134 tonnellate di riserve ufficiali per ridurre il debito pubblico.
I razionalisti rilevano che il prezzo dell’oro agli inizi del 2002 era ancora sotto i 300 dollari l’oncia e che da allora è chiara una tensione sul prezzo dal lato della domanda la cui prosecuzione dipenderà da molti fattori: precauzionali, speculativi, monetari.
I fattori precauzionali riguardano la domanda privata (di lingotti, monete, ornamenti, materie prime) che ha una stabilità di lungo periodo. Negli anni più recenti è cresciuto il ruolo di strumenti finanziari con sottostante aureo e di strumenti di «oro cartaceo» cioè di certificati senza completa copertura aurea. Sono queste ultime componenti che imprimono le variazioni (anche speculative) più marcate di prezzo e che rendono difficile fare delle previsioni sul breve-medio termine.
I fattori monetari riguardano le banche centrali e gli organismi sovranazionali. Dopo la fine, avvenuta nel 1971,della convertibilità del dollaro in oro al cambio di 35 dollari per oncia (che durava dal 1944 con gli Accordi di Bretton Woods), vi è stato un lungo periodo di oblio dell’oro quale riserva monetaria. Eppure molte banche centrali non l’hanno venduto. Oggi i grandi detentori di riserve auree ufficiali sono: Eurolandia con 1.0797,9 tonnellate (di cui 3.407 della Germania e 2452 dell’Italia, quarto detentore di oro ufficiale al mondo); gli Usa con 8.134 tonnellate; il Fmi con 3.000 tonnellate. La Cina contabilizza 1.000 tonnellate ma riteniamo che questa quantità sia notevolmente sottostimata tenendo anche conto dell’estrazione annua cinese che con circa 280 tonnellate è ormai la prima al mondo, avendo superato quella del Sud Africa e degli Usa. Nel 1999, anche in seguito a vendite di riserve auree inglesi, per evitare ribassi marcati nei prezzi del metallo giallo, fu stipulato il «Central Banks Gold Agreement» rinnovato ogni 5 anni, tra la Bce (che è stata la promotrice), le banche centrali di Eurolandia più le Banche centrali di Svizzera e Regno Unito e di altri Paesi (mentre Usa e Fmi non hanno aderito). Nello stesso si afferma che l’oro deve rimanere una componente importante delle riserve monetarie ufficiali e si limitano le vendite sui 5 anni a un quantitativo totale massimo.
Tutto questo ci porta a due conclusioni «razionali». La prima è che l’oro fisico rappresenta un investimento sicuro se comperato gradualmente ma dal ritorno certo solo nel lungo periodo. La sua scarsità è una notevole «garanzia» di aumento di prezzo specie adesso che il dollaro, la valuta in cui è misurato, viene sconsideratamente prodotto e distribuito su scala industriale.
La seconda è che Eurolandia fa bene a non vendere il suo oro ufficiale ma fa male a non usarlo almeno in parte come garanzia per emettere un mega-prestito (che attrarrebbe anche risparmio cinese e medio orientale così sensibile all’oro) per finanziare investimenti infrastrutturali necessari per rilanciare il suo sviluppo reale.
Alberto Quadrio Curzio