Sergio Rizzo, Corriere della Sera 21/10/2010, 21 ottobre 2010
POLTRONE E PROPOSTE (POCHE) DELLA PROMESSA MANCATA CNEL —
Correva l’anno 1958. Mentre lo Sputnik si disintegrava nell’atmosfera, lo scià di Persia Reza Palhevi ripudiava Soraya e il dittatore cubano Fulgencio Batista scappava dall’Avana, Raffaele Vanni varcava per la prima volta l’ingresso del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Da dove non è più uscito: giusto ieri l’ex storico segretario della Uil ha cominciato la sua nona «consiliatura», come si chiamano le «legislature» del Cnel.
Cinquantadue anni passati ininterrottamente a Villa Lubin: abbastanza, forse, per meritarsi un piccolo riconoscimento simbolico. Una targa ricordo, una medaglia... Invece niente. Pure qui, a quanto pare, è tempo di sacrifici. Non che le spese non corrano, sia chiaro. Quest’anno, per esempio, il Cnel spenderà quasi 20 milioni e mezzo, impegno a cui farà fronte con la dotazione statale più gli avanzi di amministrazione degli anni passati. Dotazione statale, per inciso, salita a 18 milioni dai 15 del 2006. Sette milioni se ne vanno per gli stipendi dei 70 dipendenti e di una manciata di dirigenti. Più 340 mila euro per gli «esperti esterni». Settecentomila euro costa soltanto il personale della segreteria del presidente Antonio Marzano. Altri cinque milioni e mezzo servono a pagare le indennità e i rimborsi spese dello stesso Marzano, dei due vicepresidenti Bernabò Bocca e Salvatore Bosco nonché dei consiglieri. Letteralmente, un esercito. Sono centoventuno e hanno diritto a 1.200 euro netti al mese per dodici mensilità. Chi sono, è presto detto. Rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, sindacalisti, esponenti delle categorie professionali. Fra di loro anche i big. Qualche nome? La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, e poi i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, il presidente della Confagricoltura Federico Vecchioni, il capo della Confcommercio Carlo Sangalli, l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni.
Ma con tutto quello che hanno da fare non si può certo pretendere da questi personaggi una frequentazione assidua. Non è un caso che l’unica assemblea senza defezioni in cinque anni di «consiliatura» sia quella inaugurale, alla quale partecipa il capo dello Stato. Tanto più considerando che il Cnel, certamente non per colpa sua, conta quel che conta. Sul sito lavoce.info gli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi non hanno avuto remore nel definirlo tre anni fa un «ente inutile». E subito dopo, come ha ricordato sul Corriere Enrico Marro, lo stesso sito internet ha ospitato un intervento di due funzionari del Consiglio, Sandro Tomaro e Larissa Venturi, dai contenuti disarmanti: «Condividiamo la vostra opinione sull’inutilità dell’attuale Cnel. Se rimane così, meglio abolirlo».
Sembra facile. Il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro è un organo costituzionale, al pari di Camera e Senato, quindi per cancellarlo ci vuole una legge costituzionale. Previsto dall’articolo 99 della carta fondamentale, è stato istituito con una legge del gennaio 1957. Il suo compito sarebbe quello di fornire altissime consulenze al parlamento e al governo, avanzando anche proposte di legge. Insomma, una specie di coscienza critica della società civile e del mondo produttivo all’interno delle istituzioni. E Dio solo sa quanto servirebbe, soprattutto adesso. Peccato che lentamente, negli anni, il più piccolo degli organi costituzionali si sia trasformato in un luogo utile soprattutto per distribuire poltrone e poltroncine. Un’attività spesso con risvolti cruenti nelle organizzazioni di categoria e sindacali, dove quegli strapuntini sono particolarmente ambiti, e alla quale il governo dà un proprio contributo fondamentale. Volete qualche assaggio?
Il suo presidente Marzano, confermato ora per la seconda volta, è un noto economista. Ma è soprattutto un politico: è arrivato qui nel 2005 per supreme esigenze del partito, Forza Italia, che aveva contribuito a fondare. All’epoca era ministro delle Attività produttive, incarico che Silvio Berlusconi voleva dirottare a Claudio Scajola. Marzano avrebbe preferito la presidenza dell’Antitrust, ma l’ipotesi era impraticabile e il professore napoletano si dovette accontentare del Cnel. Ancora: la legione dei consiglieri comprende anche una dozzina di «esperti», quattro nominati dal premier e otto dal Capo dello Stato. Ebbene, oltre all’economista e scrittore Geminello Alvi, Palazzo Chigi ha recapitato a villa Lubin il sindaco di Dinami (comune di 2.600 abitanti della provincia di Vibo Valentia) Francesco Cavallaro, segretario della Cisal, l’ex deputato di Forza Italia ed ex sottosegretario ai trasporti Paolo Uggè, capo dei padroncini dell’autotrasporto, e l’amministratore delegato della Consip Danilo Broggi.
Se il problema principale dei politici è come occupare le caselle, non c’è poi da stupirsi che qualcuno giudichi il Cnel un ente inutile e costoso. I pareri che sforna cadono pressoché regolarmente nel vuoto. Le audizioni dei suoi vertici, anche quelle istituzionalmente previste, come in occasione della legge finanziaria, vengono liquidate in poche righe (quando va bene) dai giornali. Le ricerche e gli studi finiscono a decorare le librerie dei professori. E le proposte di legge? Quelle sono una merce rara. In più di cinquantadue anni ne sono uscite dal Cnel appena undici. Una ogni cinque anni. La prima nel 1967: «Orario di lavoro e riposo settimanale ed annuale dei lavoratori dipendenti». Poi il riordino del credito agrario, i prestiti bancari ai pescatori, l’arbitrato nelle liti di lavoro, i problemi delle statistiche, l’istituzione di «agenzie di abitare sociale»... Tutto o quasi arenato in parlamento. Insieme a molte proposte di legge costituzionale presentate a più riprese da deputati e senatori, ovviamente per abolire il Cnel. Come quella che nel 2002 fece imbestialire l’allora presidente Pietro Larizza, ex segretario della Uil e futuro senatore diessino. L’aveva presentata il deputato di Forza Italia Marcello Pacini, collega di partito di Marzano.
Sergio Rizzo