Goffredo Buccini, Corriere della Sera 21/10/2010, 21 ottobre 2010
SABRINA SOGNAVA DI VIVERE CON LA CUGINA —
Sarah aveva un sogno. E glielo aveva messo in testa proprio Sabrina: «Appena fai diciott’anni, Saretta, ci prendiamo una casa e andiamo a vivere assieme». E mica in un posto qualunque: Sabrina era attaccata ad Avetrana come una cozza al suo scoglio e, più ancora, era aggrappata a via Deledda, la strada dov’era diventata ragazza, dove giocava a pallavolo con le amichette piazzando una corda tra le macchine perché in via Deledda a certe ore e in certi giorni non passava quasi nessuno, un vero paradiso. Soprattutto, Sabrina era legata a «paparino», a Miche’ e alla villetta della famiglia Misseri in fondo alla via; dunque troppo lontano non ci si poteva spingere, «dobbiamo cercarla qui, la nostra casa, proprio qui, appena se ne libera una ce la prendiamo». Sarah, nei componimenti per la scuola, nei profili su Facebook e nei diari (segreti, perché nemmeno sua madre Concetta era interessata a leggerli), vagheggiava, sì, la grande fuga da questo paesello; ma la voglia di stare con quella cugina scafata e ai suoi occhi affascinante doveva sentirla fortissima e dev’essere stato così fino alla fine, perché in fondo c’era una cosa persino migliore che farsi adottare dai Misseri, come chiedeva da quand’era tornata ad Avetrana da Milano, 9 anni fa: dividere con Sabrina, e solo con lei, tutti i momenti del giorno e della notte, come una sorella o, pure meglio, come un’amica, l’amica del cuore.
I carabinieri e gli psicologi dovranno faticare ancora parecchio per capire fino in fondo la protagonista del giallo che ha fatto impazzire l’Italia e ha trasformato Avetrana in un gigantesco set cinematografico che non spegne mai i riflettori («qui non è Hollywood» ha scritto stizzito un Pasquino del Salento su un muro vicino a casa Misseri). Perché forse Sabrina ha ammazzato Sarah, la bambina che le cresceva attaccata alle gonne, forse ha deciso di spaccare come in un capriccio la propria Barbie personale dopo averla pettinata e truccata per anni, ma di sicuro deve averle voluto un bene dell’anima, come appunto se ne vuole alla bambola prediletta: l’immagine di lei che si porta appresso la cuginetta imbranata anche quando esce coi ragazzi con cui sta assieme è l’unico tratto comune in tutti questi frammenti di identità scomposti nei ricordi di chi le è stato vicino. E del resto il mistero di Sabrina Misseri è ancora in parte da investigare e salta agli occhi appena si fanno un paio di domande in giro: questa ventiduenne che forse si piaceva pochissimo sembra almeno due persone diverse, a seconda di chi ce la racconta.
Una coetanea, Liala, cresciuta lì all’angolo con via Sanzio e sua amica da sempre, dice che «Sabrina non vedeva mai la luce in fondo al tunnel, era una pessimista inguaribile». Liala è una ragazza sveglia che studia Scienze delle comunicazioni e non sopporta gli stereotipi su Avetrana: «Quanto siete banali, voi giornalisti». Parla della sua amica d’infanzia con tenerezza e lucidità: «Non lo so cos’è successo, ma ora s’è ritrovata sui giornali anche la più piccola fettina di sé, persino il suo affetto per Ivano. Deve essere molto dura». Si racconta, Liala, con Sabrina e Ivano al Pub 102, il ritrovo della compagnia. Sabrina che sognava di fare l’estetista — e forse quel desiderio era una piccola metafora del suo inseguimento a una bellezza che non riusciva ad acciuffare per sé — aveva lavorato e poi litigato in una bottega del centro del paese. Sabrina che aveva infine messo un lettino e un paio di lampade a casa, in attesa di clienti e tempi migliori. Sabrina che non credeva però davvero nei tempi migliori «non posso farcela ad avere successo» e viveva con il naso appiccicato alla tv e soprattutto al Grande Fratello, senza tuttavia nemmeno il coraggio di immaginarsi protagonista della Casa, lei tra le maggiorate, i tatuati, tutti appesi alla sua gonna proprio come la piccola Sarah.
Questa ragazzona con scarsa fiducia in sé, «un’amica comprensiva, buona, con una parlantina inarrestabile», cambia completamente faccia se la si colloca in un altro palcoscenico. In un paese non lontano da Avetrana vive un ragazzo timido e introverso che è stato assieme a lei per cinque anni, fino a un anno fa. Il suo nome non è mai saltato fuori e noi lo terremo coperto per evitargli l’assedio di telecamere e microfoni. Vista da quel paese e da quel palcoscenico, Sabrina è una tipa «molto determinata», che «sa bene quello che vuole e sa come raggiungerlo». La Sabrina di questa pièce è una che un giorno guarda in tv un documentario sulla criminalità minorile e s’infervora, «anche se sono piccoli, certi ragazzi devono essere punti, chi sbaglia deve pagare!» strilla e vengono in mente le parole con cui mandò all’inferno «paparino» in diretta tv, dopo che Miche’ — a sentire gli inquirenti — s’era accusato per lei. E’ una Sabrina tosta, questa, che non fa sconti, fissata con la colpa e con la pena. Non ha dubbi sul futuro, «voglio un uomo che abbia un lavoro stabile, uno concreto, come mio padre». Comanda come una regina intransigente. Non beve, non fuma, il suo ragazzo fa il disk jockey e lei detesta la discoteca. Lui è una copia di Ivano con qualche anno di meno, deve esserne stato molto innamorato, ancora la difende senza esitazioni, «è innocente, sono sicuro». E ancora si vede in controluce il profilo di Sarah, Sarah c’è quasi sempre, chissà perché. Ogni tanto lui le diceva «lasciala a casa, dai» e lei scuoteva la testa, «no, mi dispiace mollarla lì da sola».
Chissà cos’è successo in quella testa. Chissà se queste distonie significano qualcosa o provano solo che ciascuno di noi è fatto di pezzi che è stupido cercare di far combaciare. Anche perché c’è almeno una terza identità che preme per entrare sul palco, l’eterna bambina di casa Misseri. A raccontarla basta la disposizione degli spazi. In quei duecento metri quadrati di via Deledda dove tutti i giornalisti italiani provano a entrare, c’è la stanza di Sabrina (un groviglio inestricabile di maglioni, pantaloni, vestiti e scarpe in un disordine permanente), c’è la stanza che era della sorella Valentina prima che si sposasse e dove adesso Sabrina ha improvvisato la sua piccola bottega da estetista, e ci sarebbe la stanza di mamma Mimina e papà Miche’: solo che, chissà da quando esattamente, Sabrina dorme nel lettone con mamma e Miche’ è finito su una sdraio come un clochard. Insomma, prima che la metà della famiglia finisse in galera, Sabrina s’era impadronita di tre posti letto su quattro. Forse la chiave non è neanche questa, forse non c’è una chiave. Forse Sabrina davvero voleva costruirsi il suo paradiso in via Deledda ed era sincera quando lo immaginava con Sarah: una nuova casa, abbastanza vicina alla sua per continuare ad essere coccolata dall’adorato paparino Miche’ e abbastanza grande da ospitare il suo giocattolo preferito, la cuginetta Barbie. Se solo Barbie non fosse cresciuta, se solo avesse continuato a dipendere da lei, se solo non si fosse avventurata nel mondo come una donna vera.
Goffredo Buccini