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 2010  ottobre 18 Lunedì calendario

Anno VII – Trecentoquarantaquattresima settimana Dall’11 al 18 ottobre 2010Sarah Le indagini sulla morte di Sarah Scazzi portano alla luce dettagli sempre più raccapriccianti

Anno VII – Trecentoquarantaquattresima settimana Dall’11 al 18 ottobre 2010

Sarah Le indagini sulla morte di Sarah Scazzi portano alla luce dettagli sempre più raccapriccianti. La cugina di Sarah, Sabrina, figlia dell’uomo che ha confessato l’omicidio, è stata tenuta per una notte sotto pressione, non ha rivelato niente, ma alla fine è stata rinchiusa lo stesso nel carcere di Taranto. Secondo gli inquirenti ha aiutato il padre ad ammazzare Sarah: lei la teneva ferma, il padre le stringeva la corda intorno al collo. Perché? Forse perché Sarah la sera prima aveva rivelato che lo zio la molestava. Forse perché Sabrina si sentiva meno bella di Sara e ne era gelosa o invidiosa. La procura di Taranto si dice sicura del fatto suo e sostiene che le indagini sono «quasi concluse». I cronisti, giunti in massa nel piccolo paese di Avetrana (provincia di Lecce), si figurano ogni tipo di soluzione, persino quella – estrema – che l’assassina sia Sabrina e che il padre si sia rassegnato a far la figura del mostro per proteggerla. Gli avvocati di Sabrina – che in cella piange, ma non confessa – si dicono certi dell’innocenza della loro cliente. «Come si fa a prestar fede a un uomo che ha cambiato versione quattro volte?». A mettere in mezzo Sabrina è stato infatti proprio il padre assassino, Michele Misseri. Secondo gli avvocati perché punta a uno sconto di pena. «Come se si potessero far sconti a uno che ha fatto quello che ha fatto».

Serbia Martedì 12 ottobre, quattrocento ultrà serbi sono venuti a Genova per la partita di calcio Italia-Serbia, valida come qualificazione agli Europei del 2012, e hanno prima fatto casino in città, buttando anche qualche petardo nel pullman della loro stessa squadra, quindi sono stati fatti accomodare allo stadio – nel settore ospiti – da una polizia come minimo imbelle. I quattrocento si sono allora messi a buttar fumogeni in campo, e così la partita non s’è potuta giocare, con la conseguenza che la Serbia – in teoria la squadra del cuore dei quattrocento – perderà quasi certamente a tavolino per 3 a 0. Come mai quest’iradiddio sportivamente controproducente? Perché i quattrocento volevano richiamare l’attenzione del mondo sul Kosovo, proclamatosi autonomo un paio d’anni fa, e che secondo loro deve invece tornare ai serbi. Si trattava dunque soprattutto di una manifestazione politica e sia pure inscenata da tifosi. Impressionanti le esibizioni in televisione di un uomo nero e mascherato, che arringava i suoi, tagliava la rete, s’arrampicava come un ragno. Arrestato poi (s’era nascosto nel bagagliaio di un pullman) è risultato chiamarsi Ivan Bogdanov, seguace, come tutti gli altri, delle Tigri di Arkan, celebri massacratori di croati e kosovari. Poiché Ivan, nelle sue evoluzioni, esibiva anche una certa, inammissibile eleganza, s’è temuto che alla ripresa del campionato qualche giovanotto nostrano volesse emularne le imprese. Invece, sabato e domenica tutto è filato liscio. Addirittura, a un certo punto, l’arbitro ha sospeso Cagliari-Inter per via dei cori razzisti contro Eto’o, comunicando che o sarebbero smessi o avrebbe sospeso la partita. In Italia non era mai accaduto.

Cile I 33 minatori sepolti da una frana a 622 metri sotto terra (miniera di rame di San José a Copiaco, deserto dell’Atacama, 830 chilometri da Santiago) sono stati salvati dopo settanta giorni dalla capsula Fenix, 422 chili, velocità in discesa di 7 metri al secondo e di 1 metro triplicabile in risalita. La capsula – in definitiva un ascensore – s’è infilata per trentatré volte consecutive in un condotto largo in media 71 centimetri. I minatori sono stati riportati su uno per uno (prima i cinque più forti, poi i cinque più deboli, poi gli altri). Dieci-venti minuti a viaggio, due notti e un giorno di su e giù. Ogni otto discese bisognava cambiare le ruote, corrose dalla roccia. Inutile dire che i 33 sono degli eroi planetari, assediati da duemila televisioni sbarcate da tutto il mondo nel deserto dell’Atacama (qualcuno ha notato: se la frana li avesse uccisi, sarebbero bastate due righe e forse neanche quelle). Intenso lo sfruttamento d’immagine del presidente Sebastian Piñera, che ha disposto l’inizio delle operazioni in modo da andare in onda sui tg della sera. Idem per il boliviano Evo Morales, che ha riportato in patria un suo concittadino a bordo dell’aereo personale. Tante storie commoventi: Jorge Galleguillos, che ha tenuto allegri i compagni suonando la chitarra; Edison Pena, che per tenersi in forma ha corso avanti e indietro nella galleria arrivando a coprire dieci chilometri; le mogli che si son fatte belle in attesa del ritorno dei loro uomini (e Antonia, compagna di Richard Villarroel, ha mostrato in tv la biancheria intima comprata per la prima notte); Carlos Barrios e Victor Zamora che hanno saputo dell’arrivo di un figlio mentre si trovavano sotto e Barrios ha gridato alla moglie: «Sicura che il padre sono io?».

Storie terribili Storie terribili sono quelle del tassista milanese Luca Massari, di 45 anni, e della rumena Maricica Hahaianu, di 32. Domenica pomeriggio, a Milano, il tassista Massari, all’angolo tra via Ghini e largo Caccia Dominioni, ha investito e ucciso, senza volerlo, un cocker nero. È stato quindi aggredito da due uomini e una donna che, a forza di calci e pugni, l’hanno ridotto in fin di vita. Al momento di raccogliere le testimonianze, la polizia s’è trovata di fronte un muro: avevano assistito al pestaggio in parecchi, ma nessuno voleva parlare. Si tratta dunque di un caso di omertà milanese, di una banda urbana che tiene prigioniero un quartiere. Solo tre alla fine si sono fatti coraggio e hanno testimoniato. A uno di questo allora uno dei tre picchiatori ha incendiato la macchina e dopo, quando ha visto un reporter che faceva le foto, ha preso a pugni anche lui. I tre responsabili del massacro sono stati arrestati, si tratta di Morris Ciavarella (preso per primo), della sua fidanzata Stefania Citterio (la prima a scagliarsi contro il tassista) e di suo fratello Piero Citterio, l’uomo che ha incendiato l’auto, pestato il fotografo e quello che più s’è accanito (per sua stessa ammissione) sul corpo del povero Massari.
La tragedia di Maricica s’è invece compiuta a Roma. Fila alla biglietteria della stazione del metro Anagnina, a quanto pare la rumena fa un po’ la furba e scavalca qualcuno, un ragazzo di vent’anni, di nome Alessio Burtone, la redarguisce: «ma al paese tuo non la fanno la fila?». Subito dopo i due si avviano ai treni e sono ripresi dalle telecamere. Si vede Maricica che insegue Alessio insultandolo e spintonandolo, a un certo punto (forse) lui le sputa addosso, lei gli mette di sicuro le mani in faccia, finisce che il ragazzo le tira un terribile cazzotto in faccia. La donna cade a terra di schianto, i passanti per un minuto si disinteressano di quel corpo steso a terra, alla fine la portano in ospedale e dopo un giorno di agonia la poveretta, madre di un figlio piccolo, muore. Polemiche sull’indifferenza attuale degli italiani, sulla crudeltà dei nostri tempi, Alemanno vorrebbe denunciare quelli che non si sono fermati a prestare soccorso, da sinistra gridano che il sindaco non conosce la città, ecc.

Mari A Carla Mari, casalinga cinquantaduenne di Busto Arsizio, sono state trapiantate entrambe le mani. Un’operazione ancora mai eseguita in Italia e portata a termine all’ospedale San Gerardo di Monza dall’équipe del professor Massimo Del Bene. La paziente sta bene e, quando s’è vista le mani nuove (aveva perso le vecchie per una setticemia), ha pianto. Perplessità di Marco Lanzetta, il primo ad aver trapiantato una mano in Italia: «L’età della paziente e quella della donatrice sono troppo avanzate».