Giornali vari, 11 ottobre 2010
Anno VII – Trecentoquarantatreesima settimana Dal 4 all’11 ottobre 2010Talebani Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi, Sebastiano Ville, Marco Pedone: sono i nomi dei quattro alpini uccisi il 9 ottobre in un agguato con sparatoria nel distretto del Gulistan, duecento chilometri a oriente di Farah
Anno VII – Trecentoquarantatreesima settimana Dal 4 all’11 ottobre 2010
Talebani Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi, Sebastiano Ville, Marco Pedone: sono i nomi dei quattro alpini uccisi il 9 ottobre in un agguato con sparatoria nel distretto del Gulistan, duecento chilometri a oriente di Farah. Il più vecchio aveva 32 anni, il più giovane 23. Stavano scortando una colonna di 70 camion civili che rientrava dall’aver trasportato materiale per la costruzione di una base operativa. I talebani, che hanno poi rivendicato l’assalto con un comunicato sul sito di al Qaeda, dopo aver provocato l’esplosione con uno ied (un ordigno fatto in casa), hanno poi attaccato la colonna, venendo respinti dagli stessi italiani. Il contingente italiano in Afghanistan ammonta adesso a 3.500 unità che diventeranno poco meno di 4.000 entro la fine dell’anno. L’Italia conta, con questo, trentaquattro morti dall’inizio della guerra, con un trend che al momento pare ascendente: le vittime del nostro Paese furono nove l’anno scorso, sono già dodici a questo punto dell’anno. Nell’azione di sabato sono rimasti feriti altri due uomini, gli alpini Luca Cornacchia (31 anni) e Michele Miccoli (28).
Afghanistan I morti del Gulistan hanno riacceso la polemica sul senso della guerra afghana in generale e della nostra presenza laggiù in particolare. Sul versante della politica italiana non ci sono novità: le forze di maggioranza e quelle sensibili alle esigenze americane sostengono che il terreno non può essere abbandonato: ci sono impegni internazionali, c’è comunque, in quel sito, l’origine prima del terrorismo islamico. Gli oppositori dicono che nessuno è mai uscito vincitore da quelle montagne e che non si vede come Stati Uniti e Nato possano venire a capo di una popolazione frammentata, dominata da criminalità, capi-tribù, sceicchi e ras del terrorismo mondiale. In ogni caso, Obama – alle cui esitazione un certo numero di commentatori attribusice la maggiore responsabilità di queste tragedie – ha detto e confermato in più occasioni che nel luglio dell’anno prossimo comincerà a ritirarsi. Noi, intanto, ci accingiamo a mandare altri mille militari entro la fine dell’anno. Molti di questi avranno il compito di addestrare soldati e poliziotti afgani perché, una volta spariti gli occidentali, siano capaci di far da sé. In realtà il ritiro non sarà totale: le basi Usa del Nord resteranno in piedi, l’aviazione statunitense appoggerà l’esercito afgano, un presidio occidentale terrà comunque a bada il lato del Paese che confina con l’Iran. La situazione è resa ancora più complicata dall’interesse delle mafie mondiali, a cui giova una condizione di instabilità perenne. Solo se le potenze continueranno a dar battaglia, tentando di venire a capo di un rebus all’apparenza insolubile, la multinazionale dell’eroina e dell’oppio potrà continuare indisturbata la coltivazione del papavero, il fiore che dà in questo momento da mangiare a una gran parte di quel popolo.
Sarah L’enigma di Sarah Scazzi, la quindicenne di Avetrana (Lecce) scomparsa lo scorso 26 agosto, si è risolto nel modo più tragico: l’ha uccisa lo zio che, dopo averla strangolata, ne ha violentato il cadavere. Sarah era uscita di casa intorno alle 14.30 per andare al mare. La aspettava la cugina Sabrina. Ma giunta in strada ha visto il garage di casa aperto, s’è sentita chiamare da questo zio, è entrata, è stata molestata e, avendo resistito, s’è trovata con una corda al collo che in pochi minuti l’ha soffocata. L’uomo – di nome Michele Misseri, 57 anni, braccia forti e mani a badile tipiche dei contadini, lacrima facile e in testa un cappellino da pescatore che gli copre la calvizie – ha fatto appena in tempo a coprire il corpo con una coperta, che è apparsa la figlia Sabrina in cerca di Sarah. Più tardi, verso le cinque del pomeriggio, Misseri ha buttato il corpo nel portabagli della macchina e l’ha portato in un podere di proprietà tra Avetrana e San Pancrazio Salentino, al confine con la provincia di Lecce. Qui ha denudato il corpo e abusato della salma. Poi l’ha infilato in un pozzetto di raccolta dell’acqua piovana, spingendolo in un’apertura di poche decine di centimetri. Gli inquirenti, che hanno trovato Sarah in «stato deliquativo», hanno dovuto sbancare il terreno circostante per tirarla fuori. In margine a questa tragedia, ci sono state molte polemiche, non si sa quanto sensate, intorno al comportamento dei programmi tv, in particolare della trasmissione Chi l’ha visto? La Sciarelli, ancora ignara della verità, aveva fatto andare la madre di Sarah in casa dell’assassino e qui la stava intervistanto mentre arrivavano le notizie della confessione. Secondo i critici, la giornalista avrebbe indugiato troppo ad avvertire la mamma di quello che stava accadendo e a liberarla dall’assedio mediatico.
Nobel La giuria dei Nobel di Stoccolma e quella di Oslo che assegna il premio per la Pace hanno distribuito premi assai contestati. Quello per la Medicina è andato allo scienziato inglese Geoffrey Edward, 85 anni, l’inventore della fecondazione in vitro. La Chiesa ha definito la scelta «completamente fuori luogo» ricordando che senza Edwards non ci esisterebbe il commercio degli ovociti, il mondo non sarebbe pieno di congelatori colmi di embrioni destinati quasi sicuramente a morire e nella società occidentale non circolerebbero quelle figure che vanno sotto il nome di nonne o mamme in affitto. Le polemiche sulla Medicina non s’erano ancora placate, quando da Oslo è arrivata la notizia che il Nobel per la Pace era stato assegnato allo scrittore cinese Liu Xiaobo, in carcere dal 2008 e condannato a 11 anni di reclusione per la sua attività di dissidente in un processo durato in tutto tre ore e in cui alla difesa era stata concessa un’arringa di una ventina di minuti. Qui si è indignata Pechino, che ha definito la scelta «un’oscenità che viola i principi stessi del Nobel. Xiaobo è un criminale condannato dalla giustizia». L’ambasciatore norvegese a Pechino, convocato dal governo, ha subito una dura reprimenda.
Marcegaglia La Procura di Napoli, nella persona del noto John Woodcock e del pm Vincenzo Piscitelli, indaga su Vittorio Feltri, Alessandro Sallustri e Nicola Porro (cioè il vertice del Giornale di Paolo Berlusconi) ipotizzando il reato di violenza privata nei confronti del presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Alla base di tutto un sms di Porro a Rinaldo Arpisella, portavoce della Marcegaglia: «Ciao Rinaldo, domani super pezzo giudiziario sugli affaire della family Marcegaglia» seguito, dopo quaranta minuti, da un «Adesso ci divertiamo, per venti giorni romperemo il cazzo alla Marcegaglia come pochi al mondo... Abbiamo spostato i segugi da Montecarlo a Mantova». Porro dice di conoscere Arpisella da anni e che i due messaggini erano uno scherzo («cazzeggio»). Arpisella invece ci ha creduto, ha avvertito la Marcegaglia, questa ha chiamato Fedele Confalonieri e Confalonieri ha telefonato a Feltri, il quale ha negato l’esistenza di qualunque inchiesta o dossier. I magistrati napoletani sono venuti a conoscenza del fatto attraverso un’intercettazione che si riferiva a tutt’altro caso. E hanno proceduto ipotizzando che i tre giornalisti del Giornale siano più o meno dei ricattatori. Scandalo sproporzionato che ha visto diviso il campo della polemica al solito modo: i nemici di Berlusconi a sostenere Woodcock e la Marcegaglia (nel frattempo calmata: una sua intervista al Corriere è piena di lodi per Feltri), gli a difendere a spada tratta (stavolta) la libertà di pensiero, d’inchiesta ed eventualmente di dossier.