ANDREA MALAGUTI, La Stampa 21/10/2010, pagina 24, 21 ottobre 2010
“A Trafalgar ho vinto così”. Firmato il marinaio Hope - Appartiene a Robert Hope, 28 anni, marinaio esperto di vele, la lettera resa pubblica: fu spedita al fratello John, una volta sceso al porto di Portsmouth
“A Trafalgar ho vinto così”. Firmato il marinaio Hope - Appartiene a Robert Hope, 28 anni, marinaio esperto di vele, la lettera resa pubblica: fu spedita al fratello John, una volta sceso al porto di Portsmouth. Il documento è stato venduto dopo lunghe trattative dalla famiglia al «National Maritime Museum» di Greenwich, che ieri ne ha rivelato il contenuto. Si tratta di una rarissima testimonianza della battaglia che non sia di un alto ufficiale. «La valorosa Temeraire» è stato realizzato da William Turner tra il 1838 e il 1839. Il quadro è dedicato al vascello su cui Robert Hope partecipò alla battaglia di Trafalgar. Secondo un sondaggio, si tratta del dipinto più apprezzato e amato tra i britannici. Il quadro è esposto alla National Gallery. Alta cinquanta metri, la colonna dedicata all’ammiraglio Nelson domina Trafalgar Square. Sarebbe stata dieci metri più alta, se i tagli ai bilanci dello Stato non avessero costretto i costruttori a limitarne le dimensioni. Cosa che fece infuriare l’architetto William Railton che non prese parte all’ inaugurazione. Il fumo è altissimo, denso, brucia gli occhi. Si soffoca dal caldo e dalla puzza. C’è fuoco dappertutto. I cannoni sparano senza tregua e nell’aria volano travi di legno lunghe due metri capaci di sventrare un uomo. E’ il 21 ottobre 1805 - 205 anni fa - e la battaglia al largo di Capo Trafalgar, vicino a Cadice, è cominciata alle undici e mezzo del mattino. La «Victory» dell’ammiraglio Orazio Nelson ha spezzato a metà la linea delle navi francesi e spagnole e ingaggia un duello con la Redoubtable comandata da Pierre Charles Silvestre de Villeneuve. La «Hms Temerarie» invece ha puntato la fregata Santissima Trinità. La mischia è feroce. E’ in mezzo a questo inferno che il marinaio ordinario Robert Hope, 28 anni, esperto di vele, armato di una pistola e pronto all’assalto, vive l’ora e mezzo più lunga della sua vita. E’ uno dei diciassettemila uomini al servizio di Sua Maestà decisi a impedire a Napoleone di invadere l’Inghilterra e racconterà la sua storia in una missiva inviata al fratello John una volta sceso al porto di Portsmouth. La lettera, venduta dopo lunghe trattative dalla famiglia al National Maritime Museum di Greenwich che ieri l’ha resa pubblica, è una delle poche testimonianze dello scontro che non arrivano da un alto ufficiale. Per questo è considerata particolarmente significativa. «Cosa pensi di noi ragazzi del mare adesso: credo che non manderanno altre flotte contro di noi tanto in fretta», scrive orgogliosamente Hope dopo aver chiesto al fratello di rassicurare il padre sulle proprie condizioni di salute. «Non lo vedo da troppo tempo ormai», si lamenta teneramente. Dall’accoglienza al porto ha capito di essere diventato un eroe, ma è certo che non sarà il suo nome a rimanere nella storia. Non gli importa. «Siamo stati circondati da cinque navi nemiche, ci attaccavano da ogni lato. Ne abbiamo colpite tre, due sembravano averne avute abbastanza, una terza non siamo riusciti ad abbordarla perché le altre due hanno cominciato a spararci addosso. Il fumo era alto, l’aria riscaldata dalle fiammate dei loro cannoni. Li abbiamo raffreddati in fretta, poi i nostri uomini del ponte superiore le hanno occupate». L’acqua è rossa, il mare pieno di cadaveri mutilati. Nella sfida di Trafalgar Nelson ha sei navi, 9000 uomini e 300 cannoni in meno di francesi e spagnoli, ma ha più esperienza e più qualità nei marinai e negli ufficiali. Rovesciando le regole del combattimento attacca i nemici perpendicolarmente e non parallelamente come avviene di solito. Riesce così a tagliare fuori i vascelli francesi schierati in punta, troppo lontani per girarsi e partecipare allo scontro. Diciotto navi vengono catturate, una affondata, le imbaracazioni inglesi non subiscono perdite. I morti tra i nemici sono 5000, 459 quelli di Sua Maestà. Uno è Nelson, colpito da un cecchino della Redoubtable, ma rimasto in vita fino alla certezza della vittoria, poco dopo le quattro del pomeriggio quando uno dei suoi ufficiali è costretto ad annotare che l’ammiraglio, il cui vessillo non è stato ammainato per non demoralizzare l’equipaggio, dormirà per sempre senza più sognare. «L’Inghilterra aspetta che ogni uomo faccia il suo dovere», aveva detto Nelson ai suoi uomini prima dello scontro. Lui lo aveva fatto. Così come Robert Hope. Quintin Colville, curatore del museo di storia navale, spiega che la lettera appena resa pubblica smentisce clamorosamente l’idea che i marinai fossero tutti dei villani analfabeti. «E’ scritta con cura, certamente da un uomo preparato e di cultura. Un uomo fortunato, riuscito a tornare a casa con entrambe le gambe e le braccia. Non parla della morte di Nelson, è vero, perché ogni singola nave era una comunità a sé. Il mondo di Hope era fatto degli uomini che aveva attorno, di quelli che avevano combattuto con lui. E’ della loro vita che si preoccupa». William Turner, pittore ottocentesco, a «La valorosa Temeraire», il vascello di Hope, dedica il quadro più amato d’Inghilterra. E’ il 1838. Un rimorchio traina la Temeraire, destinata alla rottamazione dopo essere stata usata come prigione, lungo il Tamigi. E’ sera, ma il tramonto resta sospeso, immobile, fermando il tempo forse per sempre. «Cosa pensi di noi ragazzi del mare, adesso».