SARA BOVIO, La Stampa 20/10/2010, pagina 31, 20 ottobre 2010
Ecco la madre dell’umanità. E’ nata “solo” 200 mila anni fa - L’origine dell’uomo è un mistero complicato, non a caso legato a una donna
Ecco la madre dell’umanità. E’ nata “solo” 200 mila anni fa - L’origine dell’uomo è un mistero complicato, non a caso legato a una donna. Da tempo i ricercatori indagano sull’esistenza di una comune antenata di tutti gli uomini viventi che chiamano Eva mitocondriale. Questa Eva, a differenza di quella biblica, non è stata la prima donna e nemmeno l’unica, ma la sola che avrebbe prodotto una linea ininterrotta di figlie ancora esistente. Per confermarne l’esistenza e scoprire quando è vissuta, Krzysztof Cyran del Politecnico della Slesia a Gliwice, in Polonia, e Marek Kimmel della Rice University negli Usa hanno confrontato 10 modelli genetici e sono arrivati a calcolarne l’età presunta: circa 200 mila anni fa. Lo studio è partito dall’analisi del materiale genetico contenuto nei mitocondri del sangue di donatori casuali: sono organuli addetti alla produzione di energia presenti in ogni cellula e dotati di un proprio Dna. A differenza del patrimonio genetico contenuto nel nucleo, che è ereditato da entrambi i genitori, il Dna racchiuso nei mitocondri è ereditato solo per via materna. In assenza di mutazioni, il Dna mitocondriale - mtDna - della madre è quindi identico a quello dei figli, e così per le generazioni successive, per tutti i discendenti di linea materna. Per valutare i legami di parentela tra gli individui i ricercatori utilizzano in genere proprio il genoma mitocondriale invece di quello nucleare, perché questa scelta consente di semplificare la ricerca degli antenati: il mtDna contiene solo 37 geni che cambiano raramente, il Dna nucleare ne ha oltre 20 mila. I profili genetici dei donatori sono stati confrontati basandosi sulla somiglianza e la differenza di particolari geni e gli scienziati hanno assegnato un numero corrispondente al grado di parentela in ogni coppia di donatori. «Il segreto per risalire all’età dell’Eva mitocondriale - spiega Cyran - consiste nel tradurre questo numero in una misura di tempo. Il tempo trascorso dall’esistenza dell’Eva mitocondriale è dell’ordine di 200 mila anni, o 10 mila generazioni, un periodo molto breve dal punto di vista evolutivo nel quale, per via della bassa probabilità di mutazione, i geni non accumulano differenze significative tra gli individui. Nel mtDna, tuttavia, esiste una regione ipervariabile, dove la probabilità di mutazione per anno dei geni è più alta e tale da determinare differenze maggiori tra i diversi individui in un tempo confrontabile con l’età dell’umanità moderna». Secondo Cyran, il modo in cui le differenze tra le sequenze genetiche degli individui si sono evolute nel tempo dipende dal modello di evoluzione che si considera. Quest’ultimo può variare in base ad alcuni parametri che si possono ritenere o no costanti, come il fattore di mutazione genetica o la perdita casuale di varianti genetiche. «Nel nostro studio - commenta Kimmel - abbiamo confrontato 10 modelli genetici che prendono in considerazione la natura casuale di alcuni processi riguardanti la dinamica di popolazione come la crescita e l’estinzione. Tutti hanno prodotto stime simili, intorno a 200 mila anni fa. I modelli classici, invece, compresi molti di quelli usati in passato per calcolare l’età dell’Eva mitocondriale, non tengono pienamente conto della casualità di alcuni processi e si discostano da questo valore, fornendo stime più alte». Identificare l’età corretta del nostro antenato materno è una sfida che avvicina gli scienziati al nostro passato genetico, fornendo nuovi dati su processi evolutivi come le mutazioni, la selezione e la proliferazione che hanno un ruolo chiave in alcune patologie. «Siamo interessati ai modelli di variabilità genetica tra individui, perché sono importanti per la medicina - sottolinea Kimmel -. Con un metodo simile a quello utilizzato per risalire ad Eva è possibile datare il “fondatore” di qualunque clone che possiede una certa mutazione, per esempio una cancerogena. Questo ci dà un’idea della frequenza con cui compaiono le mutazioni e ci aiuta a identificare i geni coinvolti». Protagonista delle ricerche, quindi, è anche il cancro. «E’ un processo evolutivo - aggiunge Cyran - che riguarda le cellule del microambiente prodotto dai tessuti degli organismi pluricellulari. Nel loro Dna avvengono alcune mutazioni su cui agisce la selezione naturale: la capacità delle cellule tumorali di acquisire, per esempio, la possibilità di dividersi in modo illimitato fa sì che tali cellule siano selezionate positivamente e quindi proliferino. Non è un caso - conclude - che metodi simili a quelli della nostra ricerca vengano applicati allo studio delle cellule cancerogene». Così il mistero di Eva spalancherà nuove prospettive terapeutiche.