Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 20 Mercoledì calendario

Schiaparelli, è lui il marziano - In una notte serena del tardo autunno 1839, mio padre ritornava a casa; io avevo ottenuto di poterlo accompagnare in quella passeggiata notturna

Schiaparelli, è lui il marziano - In una notte serena del tardo autunno 1839, mio padre ritornava a casa; io avevo ottenuto di poterlo accompagnare in quella passeggiata notturna. Allora, per tenermi desto, cominciò a spiegarmi le costellazioni. D’un tratto si spiccò una stella cadente; poi un’altra; poi un’altra. Alla mia domanda che cosa fossero, egli rispose che queste cose le sapeva soltanto Domineddio. Io tacqui e un confuso sentimento di cose immense e di cose adorabili si impadronì di me. Già allora, come più tardi, la mia immaginazione era fortemente colpita da ciò che è grande, così nello spazio come nel tempo». Così Giovanni Virginio Schiaparelli racconta il nascere della vocazione per l’astronomia. Da Savigliano, dov’era nato nel 1935, e da Torino, dove si laureò ingegnere a 19 anni, spiccò il volo per diventare uno dei maggiori astronomi del suo tempo. Rifiutato da Giovanni Plana, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Torino, affrontò da autodidatta gli studi di astronomia. Fu presto in grado di eseguire complessi calcoli di meccanica celeste, derivò l’orbita e la data del ritorno di una cometa apparsa l’ultima volta nel 1556 e mandò i risultati a un suo professore della facoltà di ingegneria. Questi, impressionato dalla genialità dello studio, interessò il senatore Carlo Ignazio Giulio, che convinse Luigi Menabrea, Quintino Sella e il ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Lanza a concedere all’aspirante astronomo una borsa di studio per perfezionarsi in Germania. Nel febbraio 1857 Schiaparelli arrivò a Berlino e, con due anni di duro lavoro, si mise al passo con la più avanzata ricerca astronomica del tempo, allargando la propria curiosità a varie discipline, come l’ottica, il magnetismo, la meteorologia, ma soprattutto acquisì la metodologia moderna. A giugno 1859 partì per Pietroburgo e lavorò all’osservatorio di Pulkovo, allora centro di ricerca tra i più avanzati. Ritornato in Italia, Schiaparelli diventò secondo astronomo dell’Osservatorio di Brera a Milano, alle dipendenze di Carlini, e nel 1862 gli succedette alla direzione. Era un lavoratore eccezionale e il settore in cui portò il suo più importante contributo fu quello delle meteore, le «stelle cadenti»: proprio quel fenomeno che l’aveva attratto da bambino. Cominciò a raccogliere dati su direzione e velocità di un gran numero di meteore, in parte osservate da lui direttamente, in parte da altri. Ne calcolò le orbite e scoprì che la traiettoria era per lo più un’ellisse allungata. Inoltre gli sciami meteorici, come quello delle Perseidi che si osserva intorno al 10 agosto, seguivano un’orbita comune. L’attenzione di Schiaparelli fu quindi richiamata dalla somiglianza tra le orbite delle meteore e quelle delle comete: scoprì così che molti sciami corrispondono al percorso di comete «attive» o estinte. Propose che gli sciami fossero il risultato di una frammentazione di quelle comete, di cui continuano a seguire la traiettoria che viene intersecata dall’orbita terrestre. Schiaparelli dimostrò l’associazione dello sciame delle Perseidi con quello della cometa di Tuttle e di quello delle Leonidi con la cometa di Tempel. Il caso della cometa di Biela, spezzatasi e scomparsa dopo il 1852, gli servì per dare una dimostrazione inequivocabile della propria teoria. In quegli anni ottenne un finanziamento per la costruzione di un telescopio rifrattore sufficiente per compiere ricerche originali. L’obiettivo, da 22 cm, fu ordinato nel 1862 alle officine Merz di Monaco e il telescopio fu installato a Brera nel 1874. Con questo strumento iniziò osservazioni di stelle doppie e fu in grado di compiere le osservazioni di Marte che lo portarono alla fama internazionale, non solo nel mondo scientifico, ma presso l’opinione pubblica. Nel 1877 Marte venne a trovarsi in una delle opposizioni favorevoli. La buona visibilità e la perfezione del telescopio consentirono di compiere progressi nella conoscenza di alcuni dati fondamentali e di gettare le basi della cartografia del pianeta: «Abbiamo attribuito alle macchie di Marte la parte di mari e quella di continenti alle aree rosseggianti. Un terzo della superficie di Marte è occupato dal gran Mare Australe... Tutto il resto del pianeta fino al polo Nord è occupato dalle masse dei continenti». Ma la scoperta destinata a far più rumore, compiuta da Schiaparelli nel 1877 fu quella dei canali. «La vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso da una rete di numerose linee o strisce sottili di colore scuro più o meno pronunziato, delle quali l’aspetto è molto variabile. Che siano veramente grandi solchi o depressioni della superficie del pianeta destinate al passaggio di masse liquide, e costituiscano su di esso un vero sistema idrografico, è dimostrato dai fenomeni che in quelli si osservano durante lo struggersi delle nevi boreali». Il 6 giugno 1886 poté annunciare un nuovo straordinario fenomeno: «Le vaste estensioni dette Oceano e Golfo Alcionico, che nel 1879 apparivano come sfumature indeterminate e sembrava dovessero appartenere alle aree dette mari, si risolvettero in viluppi complicatissimi di pure linee. Allora si venne a poco a poco svelando il fatto curioso e impreveduto della geminazione dei cosiddetti canali». Lo sdoppiamento dei canali, verificato da altri osservatori, suggerì l’ipotesi che quelle formazioni non fossero naturali. L’astronomo e divulgatore Camille Flammarion si entusiasmò: «Se quei canali sono autentici, non sembrano naturali, e pare piuttosto che siano dovuti alle combinazioni di un ragionamento». Questa opinione conquistò un americano, Percival Lowell, anche a causa di un equivoco linguistico. Il termine canali che compariva negli scritti di Schiaparelli venne tradotto in inglese «canals», che indicano costruzioni artificiali, anziché in «channels», che indicano formazioni naturali. Lowell, che si era costruito a Flagstaff, in Arizona, un osservatorio, concluse che la geminazione era dovuta all’apertura di chiuse per regolare il regime idrico di un pianeta assetato. In quegli stessi anni Jules Verne scriveva romanzi di fantascienza e l’esistenza di vita su Marte affascinò molti. Schiaparelli, però, fu sempre scettico: «La rete formata dai canali probabilmente fu determinata dallo stato geologico del pianeta, e si è venuta elaborando nel corso dei secoli. Non occorre suppor qui l’opera di esseri intelligenti: per ora incliniamo a credere che essi siano prodotti dall’evoluzione del pianeta». Il chiarimento venne dall’impiego di telescopi più potenti. Eugène Antoniadi fornì le prove definitive, osservando al telescopio di 83 cm di Meudon. «I canali più o meno rettilinei, semplici o doppi, non esistono né come canali, né come tracciati geometrici». Risultato confermato dalle sonde Mariner e Viking e dai rovers. D’altra parte le strutture marziane esistono veramente, anche se provengono dall’evoluzione geologica di un pianeta freddo e arido. Schiaparelli non avrebbe mai potuto immaginare che ad appena 70 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1910, avremmo esplorato quel pianeta che lui scrutava con fatica e che 100 anni dopo stiamo studiando come farvi atterrare l’uomo. Ma, se oggi avesse l’opportunità di vedere le immagini delle sonde, sarebbe soddisfatto nel constatare che le strutture marziane somigliano molto ai suoi disegni dei canali.