Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 20 Mercoledì calendario

La zattera rossa di Fogar e Mancini arriva in porto - Ha continuato a navigare per più di trent’anni, virtualmente alla deriva sul mare dei ricordi, degli affetti e anche delle polemiche

La zattera rossa di Fogar e Mancini arriva in porto - Ha continuato a navigare per più di trent’anni, virtualmente alla deriva sul mare dei ricordi, degli affetti e anche delle polemiche. Sopravvivendo a coloro, Ambrogio Fogar e il giornalista Mauro Mancini, che s’erano aggrappati ad essa per 74 giorni, affidando alla sua anima di plastica la loro speranza. Ma ora, la zattera rossa del «Surprise», ha finalmente trovato un porto. Dove ormeggiarsi per sempre. Il battello di salvataggio pneumatico, tipo Avon4, tutto ciò che rimane del tragico naufragio del «Surprise» nell’Atlantico del Sud, avvenuto nel gennaio 1978 a duecento miglia a nord delle isole Falkland, sarà accolto ed esposto permanentemente dal Galata Museo del Mare di Genova. Qui, sarà allestito uno spazio per ricordare quella avventura, una delle più terribili della storia della vela e della navigazione. A donare la zattera sono le eredi di Ambrogio, la moglie Maria Teresa Panizzoli Fogar e le figlie Francesca e Rachele. Lo faranno domani. Sarà un passaggio di consegne, ma anche una sorta di riconoscimento postumo per Fogar, soprattutto all’indirizzo di chi - quando tornò in Italia dal quel viaggio sfortunato - lo mise sotto processo. Chi parlò di errori, negligenze e anche d’incoscienza, perché aveva coinvolto nell’impresa un’altra vita, poi andata perduta. «Per molti sono rimasto uno che nasconde verità opache», confidava con rammarico Ambrogio nei suoi ultimi giorni, costretto a sopravvivere paralizzato dopo l’incidente occorsogli nel 1992 durante il raid Pechino-Mosca-Parigi (muore nel 2005, a 64 anni). Chi lo accusò di essere sopravvissuto, dimenticando che Mancini era andato con Ambrogio per esplorare l’uomo-Fogar e per testimoniare, forse, che non barava. Ciò non significa che lo stesso Fogar non avesse compiuto, nella sua straordinaria carriera di uomo-avventura, «bischerate» (le accuse di plagio letterario col libro sul giro del mondo; di bluff con il cane Armaduk che non lo aveva portato al Polo Nord via terra ma via aria), come avrebbe detto Mancini, toscano, inventore dei portolani «Navigare lungocosta», giornalista della Nazione. «Mancini s’era imbarcato sul Surprise a Mar del Plata e sarebbe dovuto sbarcare a Ushuaia. Fogar avrebbe poi dovuto proseguire verso l’Antartide. Il suo progetto era quello di raggiungere il Mare di Ross, lasciare la barca in una base scientifica americana per poi andare a riprenderla durante l’estate australe e tentare la circumnavigazione del continente bianco» rivela Eolo Attilio Pratella, portavoce della famiglia Fogar, giornalista, il radioamatore che aveva curato i collegamenti radio con il «Surprise». Si sa come è andata. Lo racconta nella sua ultima lettera alla moglie Roberta Vigna (pubblicata nell’agosto scorso dal Corriere della Sera) lo stesso Mancini. I due stavano tornando indietro, perché lo scafo aveva avuto alcune avarie. Erano a quattro giorni di vela da Mar del Plata, quando un branco di orche o balene li ha attaccati, affondando il «Surprise» in 4 minuti. Da questo momento inizia la loro odissea: 74 giorni alla deriva sulla zattera rossa, larga appena un metro e 70, con pochi viveri, per poi essere salvati dal cargo greco «Mastro Stefanos». Erano due scheletri umani, avevano perso 66 chili in due. Fogar, più giovane, sopravvive. Mancini resiste ancora due giorni e muore. «Ambrogio Fogar è un uomo coraggioso, equilibrato, buono. Ci siamo fatti compagnia con grande fermezza d’animo e questo è già qualcosa» scrive Mancini nella sua lettera-testamento. «Pochi hanno capito che un pezzo della mia vita se ne è andato con Mancini» dirà Fogar. La zattera è recuperata dal cargo e da quel momento vive di storia propria. «Ambrogio guardava sempre avanti, non al passato» ricorda Pratella. Uomo, quest’ultimo, che più di altri ha combattuto perché il battello non rischiasse di nuovo di scomparire. «Non volevo che si ripetesse la sorte dello Spirit of Surprise, il piccolo catamarano con il quale Fogar aveva successivamente tentato di fare per la seconda volta la regata transatlantica Ostar: lo custodiva il Comune di Rimini, sono arrivato poco dopo che la Nettezza Urbana la bruciasse». L’atollo rosso della salvezza finisce nel garage di un radioamatore di Fucecchio, Benito Bartolucci, e poi, alla morte di questi, riparte alla deriva. Pratella riesce a farlo esporre al Teatro Binario 7 di Monza, al Castello di Vigevano, all’Acquario di Milano. «Proviamo anche a donarlo al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, inutilmente». Nel frattempo, la zattera è restaurata a spese della famiglia Fogar. E ora, finalmente, il suo viaggio è al termine: Genova, l’ultimo ormeggio. Per ricordare l’incredibile odissea di due coraggiosi e mettere fine a un naufragio durato più di trent’anni. Ambrogio Fogar e il giornalista Mauro Mancini, il 19 gennaio 1978, navigano sul «Surprise» al largo delle Falkland. Lo scafo è colpito da una balena o un’orca e affonda. I due si affidano alla zattera di salvataggio. Vanno alla deriva per 74 giorni. Le ricerche sono difficoltose, si parla di ritardi, forse di errori. Solo il 2 aprile sono recuperati da un cargo greco. Mancini muore dopo due giorni, Fogar sopravvive.