Mario Deaglio, La Stampa 20/10/2010, pagina 1, 20 ottobre 2010
All’Europa mancano i governi - Un’Europa virtuosa, con i bilanci pubblici a posto e l’inflazione sotto controllo, un’Europa solida, dalle tecnologie avanzatissime e dalla moneta immacolata, ben presente negli scambi mondiali e bene ordinata al suo interno
All’Europa mancano i governi - Un’Europa virtuosa, con i bilanci pubblici a posto e l’inflazione sotto controllo, un’Europa solida, dalle tecnologie avanzatissime e dalla moneta immacolata, ben presente negli scambi mondiali e bene ordinata al suo interno. È questo il progetto sommariamente delineato, due giorni fa, a Strasburgo durante una riunione, tesa e lunghissima, dei ministri economici e finanziari. Per la verità, tedeschi e «nordici», che sono i principali fautori di questo progetto, hanno fatto qualche concessione ai Paesi un po’ «vivaci» e un po’ caotici, come l’Italia, perennemente disordinati, con i conti pubblici non in ordine ma con famiglie che possono vantare un risparmio di entità superiore a quello delle famiglie tedesche. Purché anche questi italiani sbarazzini si adeguino al modello dominante. Il giorno dopo quest’accordo, ossia ieri, si è svolto in Francia il sesto sciopero generale che può essere considerato - anche se non intenzionalmente - come il rigetto di questa visione dell’Europa. È infatti parte di un’imponente azione contro la riforma delle pensioni, premessa indispensabile perché i conti pubblici francesi possano avere qualche speranza di sostenibilità nel lungo periodo. Tre milioni e mezzo di persone secondo i sindacati, poco più di un milione secondo la polizia, hanno partecipato a cortei e manifestazioni con numerosi incidenti, mentre i Tir a passo di lumaca, gli scioperi delle raffinerie e la conseguente penuria di carburante non solo stanno mettendo a rischio la normale operatività del Paese ma stanno anche ponendo interrogativi importanti sul futuro, non certo solo francese, ma dell’intera Europa. Non a caso, l’euro, che avrebbe dovuto rafforzarsi alla notizia del nuovo patto - per nulla scontato alla vigilia - ha invece subito una netta battuta d’arresto per la paura di un nuovo «mal francese». Di fronte all’accordo di Strasburgo non è quindi sufficiente che gli italiani si chiedano che cosa ci «guadagna» e che cosa ci «perde» l’Italia in termini di politica fiscale, ossia quanto spazio può restare per aumentare (o non ridurre) la spesa pubblica nei prossimi anni. E neppure porta molto lontano l’invito del governatore della Banca Centrale Europea - in un’intervista a La Stampa del 17 ottobre - alla sobrietà finanziaria e alla rapida riduzione del debito pubblico. Non si tratta di una partita tra l’Italia e il resto d’Europa, occorre inserire l’accordo finanziario in un più ampio quadro europeo. Accanto alla sostenibilità finanziaria esiste, infatti, la sostenibilità sociale. Sulla sostenibilità finanziaria si sono fatti moltissimi studi; della sostenibilità sociale si conosce assai poco in un contesto in cui gli stili di vita, i rapporti e le aggregazioni delle persone sono profondamente cambiati. Gli eventi francesi di questi giorni mostrano che senza accettazione sociale, le misure necessarie alla sostenibilità finanziaria possono essere clamorosamente rigettate dalla «piazza» o forse pericolosamente annacquate. Occorre ricordare che proprio il popolo francese, con il suo «no» al referendum aveva, già nel 2005, affossato la nuova costituzione europea; e, tra i motivi di quel «no», indicati dai votanti in un sondaggio, al primo posto (46 per cento delle risposte) c’era la paura che, con la nuova legge fondamentale, la disoccupazione sarebbe peggiorata. Va ugualmente ricordato che l’Italia ha accettato un elevato (e giustificato) prezzo per entrare nell’euro. Le regole finanziarie hanno radicalmente ridotto la crescita economica e reso problematica la nuova occupazione. Si sono così create tensioni che, in una società con una fortissima, forse eccessiva, capacità di adattamento, come quella italiana, non hanno provocato - almeno finora - esplosioni di malcontento dell’entità e della gravità di quelle francesi. Nel pasticciato stile italiano, in maniera complessivamente bipartisan e con un processo di quasi vent’anni gli italiani hanno «digerito» quelle riforme indispensabili che i francesi si apprestano a varare con moltissima difficoltà. In definitiva, non basta certo la «purezza finanziaria» dei tedeschi di oggi - che pure nasconde alcuni punti di debolezza - così come non è certo demoniaco il rifiuto di moltissimi francesi a una radicale riforma pensionistica. Entrambi, portati all’estremo, hanno il potere di indebolire un’Europa che ha finora compiuto abbastanza bene la traversata della grande crisi della globalizzazione. L’Europa, e ciascuno dei Paesi che la compongono, ha bisogno di nuove politiche e di nuovi uomini politici che sappiamo spiegare le esigenze dei bilanci pubblici alla gente e le esigenze della gente al mondo della finanza. Purtroppo, in un continente di governi con maggioranze risicate o sfilacciate, di queste politiche e di questi politici per il momento non si vede neppure l’ombra.