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 2010  ottobre 20 Mercoledì calendario

L’AVVOCATO DI IMI-SIR DIETRO IL GRAND HOTEL —

Il giro del mondo? Senza bisogno di mongolfiere, lo si può fare stando comodamente nel centro di Roma: basta azzardarsi a cercare di capire chi sia il padrone vero del lussuoso e storico «Grand Hotel Via Veneto» a Roma, uno dei clienti della Banca Arner al pari della «Flat Point» delle ville di Berlusconi ad Antigua. La risposta è un segreto off shore più custodito di quelli di Fatima, schermato dall’utilizzo di 30 società estere e 15 italiane, che attraverso 5 fusioni e 10 trasferimenti hanno mutato in 12 anni complessivamente 70 ragioni sociali in 50 diverse sedi di 6 Paesi.
E ora che i magistrati di Milano cercano di recuperare la strada di via Veneto seguendo i sassolini disseminati tra British Virgin Islands, Bahamas, Lussemburgo, Svizzera, Canada e Italia, l’ultima faccia che si ritrovano davanti, sotto forma di amministratore di entità lussemburghesi emanazioni di catene caraibiche, è quella di una loro vecchia conoscenza: l’avvocato Giovanni Acampora, il genio dell’ingegneristica societaria condannato definitivamente insieme a Cesare Previti per corruzione di giudici sia nel processo «Imi-Sir» (tre anni e 8 mesi nel 2006) sia nel processo «Lodo Mondadori» (un anno e mezzo nel 2007).
Ma proprio il labirinto off shore si dimostra, almeno oggi, ancora a prova di indagini. Al sostituto procuratore generale milanese Antonio Lamanna che chiedeva il sequestro preventivo dello storico «Grand Hotel» romano, la terza Corte d’appello ha risposto picche: anche se è certo che si sia fatto di tutto per rendere impenetrabile l’identità reale dei titolari dell’albergo, anche se è certo che Acampora sappi a chi c’è dietro la società lussemburghese che sembra da ultimo controllare la società italiana e di cui suo figlio Carlo parrebbe amministratore, ed anche se è molto probabile che Acampora abbia fatto da fiduciario di società off shore per propiziare finanziamenti da Banca Arner, per i giudici d’Appello Silocchi-D’Antona-Merola ciò non basta a provare che Acampora sia il proprietario di fatto del «Grand Hotel». Immobile che, se non può dunque essere sequestrato in via preventiva, si continua a non sapere di chi sia. Proprio come la società delle ville di Berlusconi ad Antigua.
Anche questa storia comincia nel 2008 quando la Procura di Milano indaga sulla precedente gestione della filiale italiana della svizzera Banca Arner per verificare se abbia violato la normativa antiriciclaggio nei rapporti con i suoi clienti. Tra essi c’è anche la spa del «Grand Hotel». La prima parte dell’ispezione di Bankitalia sulla banca non riesce a farsi dire chi sia il reale titolare dell’immobile: il massimo che si afferra è che un avvocato delle Bahamas rappresenta ai Caraibi una società anonima, che è la mandataria di un trust, il quale possiede le quote di un fondo di diritto estero, che dispone di una società lussemburghese, la quale controlla la società italiana del «Grand Hotel» in via Veneto. Ubriacante. Come l’espressione «di pur indiretto controllo»: coniata quando il commissario straordinario della Banca Arner ripropone il quesito sulla reale titolarità dell’immobile all’amministratore delegato della società lussemburghese che amministra la spa del «Grand Hotel», e costui, cioè Carlo Acampora, si autodefinisce appunto «soggetto di pur indiretto controllo», senza però indicazioni sul vero padrone.
Nel frattempo attorno al «Grand Hotel» ruotano ipoteche e controipoteche, turbinose trattative con l’immobiliarista Danilo Coppola anch’egli controparte di infelici rapporti con Banca Arner, e soldi che piovono sul «Grand Hotel» da non si sa dove: 20 milioni da soggetti sconosciuti, 40 milioni dai soci dell’albergo che però sono appunto misteriose off shore.
La Procura generale milanese, attivata dalle indagini su Arner dei pm Roberto Pellicano e Mauro Clerici, prova allora a usare la poco nota leva dell’articolo 12 sexies L. 306/92 che consente il sequestro preventivo a fini di confisca di un bene a due condizioni: che la persona in questione sia stata condannata per uno dei reati elencati (e tra essi c’è la corruzione per cui fu condannato A campor a ) ; e che nella titolarità o disponibilità del condannato, anche per interposta persona, ci siano beni di valore sproporzionato al suo reddito e di cui non possa giustificare la provenienza (il caso ipotizzato per Acampora, al quale non sono mai stati trovati neanche i soldi che avrebbe percepito per il suo ruolo nelle corruzioni di giudici sul Lodo Mondadori, 1 miliardo e mezzo di lire, e in Imi-Sir, 12 milioni di franchi svizzeri).
Ma la Corte d’appello neanche arriva a soppesare questi presupposti perché si arresta già di fronte al valore dei sospetti sulla proprietà reale dell’immobile: fortissimi, ma ritenuti non tali da sfondare l’impenetrabile cortina off shore. Il sequestro preventivo del «Grand Hotel» è rigettato.
Luigi Ferrarella