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 2010  ottobre 20 Mercoledì calendario

COOP ROSSE E BIANCHE ALLE NOZZE (D’AFFARI)

Un altro pezzo di Novecento sta per andare in soffitta. Quelle che siamo abituati a chiamare, ricorrendo a uno stereotipo ormai ingiallito, cooperative rosse e cooperative bianche hanno deciso di marciare verso l’unità. Cum grano salis, per carità, però ormai il dado è tratto e solo un grande imprevisto può costringerle a cambiare rotta, a desistere. I primi risultati si vedranno già entro la fine del 2010, con un annuncio formale e forse anche qualcosa di più, ma c’è un patto tra i presidenti delle tre grandi centrali per andare il più possibile avanti. Se lo schema è quello inaugurato dall’operazione Capranica che ha portato nella primavera di quest’anno cinque organizzazioni delle Pmi (Confartigianato, Cna, Confcommercio, Confesercenti e Casartigiani) a far nascere Rete Imprese Italia, le «Coop tricolori» - forse dovremmo abituarci a chiamarle così - hanno un progetto ancora più ambizioso. Legare l’unità della rappresentanza politico-sindacale delle tre maggiori centrali (Lega Coop, Confcooperative e Agci) a un programma di crescita dimensionale delle imprese tramite fusioni, acquisizioni, reti e consorzi. «Abbiamo maturato una comune convinzione su cosa sia necessario fare per favorire lo sviluppo delle imprese in Italia» si sente dire.
Creare dunque massa critica sia per costituire una grande lobby della cooperazione sia per affermare nuovi e più robusti soggetti di business in grado di reggere l ’ urto della Grande Crisi. Solo en passant per chi non avesse chiare le potenzialità di questa nuova aggregazione, vale la pena ricordare che già oggi a bocce ferme le cooperative vantano un colosso della grande distribuzione, un sistema bancario in salute e in espansione come quello rappresentato dalle Bcc e circa il 50% delle aziende della filiera agro-alimentare italiana. Se dalle eccellenze passiamo a ragionare sulle 42 mila cooperative coinvolte nell’alleanza i numeri ci parlano di 12 milioni di soci e 1,1 milioni di occupati per un fatturato che si aggira attorno a 130 miliardi di euro. Oltre le tre grandi centrali esistono altre realtà associative come Unci e Unicoop che però, almeno per ora, restano fuori dall’operazione dell’unità a tre (che rappresentano sommati più del 90% del movimento).
A dare una spinta al processo di coordinamento sono stati i presidenti delle tre grandi centrali: Rosario Altieri (Agci di tradizione laica), Luigi Marino (la Confcooperative di tradizione cattolica) e Giuliano Poletti (Lega Coop di ascendenza socialcomunista). Gli ultimi due sono entrambi emiliani e questo ha facilitato i rapporti personali e le consultazioni anche durante il weekend. Del resto l’unità cooperativa non viene dal nulla, ci sono progetti e prassi in comune nel campo dell’export, della formazione, del fondo pensioni, dei contratti di lavoro e dei consorzi fidi. Ci sono addirittura delle cooperative, come la Granarolo, che essendo il frutto di fusioni tra soggetti aderenti alla Confcooperative o alla Lega Coop per non scontentare nessuno sono iscritte a entrambe le centrali. Esiste poi il riferimento tutt’altro che secondario di un’unica grande associazione cooperativa europea.
Accanto ai tratti omogenei della quotidianità aziendale esistono anche diversità di cultura della cooperazione. C’è una tradizione «verticale» più attenta all’efficienza delle singole imprese medio-grandi (Lega Coop) e l’altra «orizzontale» con una base di aziende grandi e piccole legate maggiormente ai valori di sussidiarietà e mutualità (Confcooperative). Guardando i numeri alcune differenze balzano agli occhi: la confederazione di Marino ha più cooperative (20.500 contro 14.500 della Lega e 6.800 dell’Agci), più occupati e più fatturato, ma i soci di casa Poletti sono 8,5 milioni contro 3 milioni della Confcooperative grazie ai supermercati di Coop Italia. L’elemento politico-culturale più significativo, e forse sorprendente, è che i big delle centrali cooperative sembrano aver maturato una visione omogenea della modernità. Parlano di ricerca, innovazione e patrimonializzazione delle imprese come una «sfida entusiasmante» da condividere. In sostanza per come parte l’operazione Coop tricolori è tutt’altro che difensiva, vuol giocare all’attacco.
Esiste ovviamente il problema di un insediamento storico della Lega Coop nelle regioni rosse con anche una forte presa sulle vicende politiche locali e molti episodi di collateralismo. Ma in questa fase di fidanzamento, come avviene di norma nella vita comune, la pluralità di approcci è considerata una ricchezza e non un impedimento. E la formula che si sente ripetere dal Gotha della cooperazione italiana è salomonica e rassicurante: non esiste un modello cooperativo migliore in assoluto.
Riprendendo l’esempio del Capranica, il terzetto delle coop tricolori, Altieri, Marino e Poletti come primo step del cammino unitario metteranno in comune la rappresentanza degli interessi su Roma e su Bruxelles. Di conseguenza anche la presenza negli organismi sovranazionali sarà coordinata. Per quanto riguarda l’unità nei territori si è scelto di non operare forzature ma di far crescere la collaborazione intercooperativa dal basso e con grande attenzione al business. Già oggi la media di addetti di una coop italiana è all’incirca di 20 contro i 4 delle piccole imprese del commercio e dell’artigianato, ora l’obiettivo è quello di far crescere le cooperative, magari con il sogno neppure tanto nascosto di creare qualche multinazionale tascabile. Sognare non costa, ma di sicuro almeno nel campo agro-alimentare le attività delle tre centrali cooperative si presentano estremamente integrate tra produzione agricola, industria di trasformazione e grande distribuzione. Un pezzo importante del made in Italy passa, dunque, di qui.
Infine ogni processo unitario ha il suo punto dolente nella predisposizione degli organigrammi. Mettiamo in comune le case ma chi comanda? Rete Imprese Italia ha scelto la formula del portavoce a rotazione ogni sei mesi (Carlo Sangalli sta ultimando il suo turno) e della creazione di una fondazione, le «Coop tricolori» ancora devono fare una scelta definitiva. E’ assai probabile che si opti, almeno in una prima fase, per lo schema che prevede il portavoce unico. Poi ci sarà il tempo di fare un primo bilancio dell’esperienza e migliorarla.
Come reagirà la politica al nuovo processo di unificazione della rappresentanza sociale? I diretti interessati assicurano che, come per l’operazione Capranica, la politica non solo non metterà i bastoni fra le ruote ma applaudirà e favorirà il processo. La semplificazione fa guadagnare tempo e risorse a tutti e non lascia spazio a gelosie e scavalcamenti. Certo è che l’impatto determinato dalla definitiva secolarizzazione delle Coop rosse a sinistra si farà sentire. Cna e Confesercenti hanno già passato coraggiosamente il Rubicone e scegliendo l’unità associativa hanno deciso che per loro esisteranno solo governi regolarmente in carico e non più un governo amico o nemico. Poletti e i suoi sono pronti a fare lo stesso itinerario ma qualche contraccolpo sul piano dei rapporti con le amministrazioni delle regioni rosse una dirigenza avvertita li dovrà mettere in conto.
Dario Di Vico