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 2010  ottobre 20 Mercoledì calendario

I FURTI AL SUPERMERCATO COSTANO 163 EURO A FAMIGLIA


L’ Italia che ruba nei supermercati ha il volto di Alessio, teen ager che si sceglie il nuovo Ipod sugli scaf­fali in bella vista di una grande marca del­la distribuzione italiana. Oppure le facce di una delle bande organizzate che addi­rittura si spostano sul territorio, veri e pro­pri pendolari della rapina alla ricerca dei punti vendita meno controllati e protetti. Quando arrivano, prendono di tutto, dai vestiti agli alcolici. Sono piccoli e grandi malviventi, figli di un’illegalità purtroppo da sempre diffusa, non solo nel nostro Pae­se. Eppure, da qualche tempo, esiste anche un’altra Italia: quella di Lina, novella ladra occasionale. Da qualche tempo, di nasco­sto, riesce a trafugare generi alimentari e paste adesive per la dentiera. Per neces­sità, per bisogno, sempre più spesso per fame. È il peso insostenibile della crisi, che spinge a gesti fino a ieri impensabili.

L’inventario dei costi

Che si tratti di furti o furtarelli, comunque, l’Italia che ruba fa male innanzitutto a se stessa: secondo i dati diffusi ieri dal Barome­tro mondiale dei furti nel settore retail 2010, il danno economico per le famiglie italiane è quantificabile in media in 163 euro. Un costo invisibile, più alto ri­spetto al resto del mon­do (dove è fermo a 152 euro) e anche rispetto alle medie europee (140,65). Ma quanto ci costa complessiva­mente l’industria del crimine? In gioco ci sono circa 3,2 miliardi, frutto della somma delle perdite causate alle aziende dai fur­ti dei clienti (1,6 miliardi) da quelli degli stessi dipendenti (800 milioni) da quelli dei fornitori e dei produttori (230 milioni) e dalle spese per la sicurezza messe in can­tiere da imprese e negozi, che ammonta­no ormai a 900 milioni. E se la prevenzio­ne è indicata dagli addetti ai lavori come un imperativo per chi lavora nel settore della piccola e grande distribuzione, va detto che neppure l’allarme sicurezza (e le conseguenti politiche securitarie) han­no sortito effetti significativi, se oltre il 35% dei soggetti intervistati in Italia (32 azien­de per 4.718 punti vendita) continua a re­gistrare un incremento dei tentativi di fur­to o dei furti effettivi. Eppure le notizie po­sitive non mancano. Secondo Salvador Cañones, responsabile per il nostro Paese di Checkpoint Systems, il colosso mon­diale che ha patrocinato la ricerca con­dotta dal Centre for Retail Research, «do­po Turchia e Grecia, l’Italia è la nazione che ha maggiormente ridotto le differen­ze inventariali», il divario cioé tra la mer­ce potenziale e quella reale (la cui dimi­nuzione è dovuta, appunto, ai furti). Un giro di vite anti-taccheggi da parte delle imprese c’è stato, ma non è bastato, poi­ché gli spacci alimentari, insieme ai su­permercati e ai negozi di abbigliamento, restano tra i punti vendita più colpiti dai rapinatori. «L’impatto della recessione c’è stato – ha osservato Cañones – e si inizia a mitigare solo ora, grazie soprattutto agli interventi sulla sicurezza».

Cambia l’ordine delle priorità

Questa Italia dei furti che commette reati per scelta, disperazione o adrenalina (un po’ a tutte le età) provoca in realtà assai meno ombre e paure nell’opinione pub­blica. L’ha svelato recentemente il terzo rapporto sulla sicurezza in Italia, realizza­to da Demos per la Fondazione Unipolis, in collaborazione con l’Osservatorio di Pa­via. Nell’immaginario collettivo, per fortuna, la sindrome di una società assediata dal crimine non c’è più. È sceso in­fatti dall’88% del 2007 al 77% del 2009 il numero di persone che crede che la criminalità sia cresciu­ta e si è abbassato il ti­more di furti (dal 23% al 16%), aggressioni (dal 19% al 13%) o scippi (dal 21% al 14%). Re­sta invece sentita la richiesta di più poli­zia nelle strade, sostenuta ormai da otto i­taliani su dieci. Come si concilia questa I­talia che ha meno paura, almeno dentro il proprio cortile di casa, con l’Italia che ru­ba nei supermercati? Il collante è ancora una volta la crisi economica, che ha ribal­tato l’ordine delle priorità (prima viene il lavoro, poi le preoccupazioni legate alla si­curezza) provocando però reazioni socia­li inattese da parte di fasce della popola­zione da sempre garantite, come gli ap­partenenti alla terza età. Per evitare che l’uscita dalla recessione provochi in que­sto senso altri colpi di coda, dunque, le po­litiche per la sicurezza andranno accom­pagnate anche da una rinnovata attenzio­ne ai nuovi soggetti deboli, che altrimen­ti rischiano l’isolamento.