Rachel Cooke, il Fatto Quotidiano 20/10/2010, 20 ottobre 2010
MIO MARITO SAUL BELLOW, UNO DA ABBRACCI - P
er Janis Bellow, vedova del grande Saul, la pubblicazione delle lettere del marito è “una gioia immensa”. Ma anche, per certi versi, una sorpresa: “Mi è capitato spesso di chiedermi, leggendo le sue lettere, ‘ma come potevo non sapere questa cosa?’ D’altro canto quella di Saul è stata una vita lunghissima che io ne ho fatto parte solo per un breve tratto. Sono stata la sua quinta e ultima moglie”. Ma Janis è una donna tranquilla e non sembra nemmeno dolersi del fatto che in un libro di 550 pagine, il suo nome compare per la prima volta a pagina 441. È bello poter parlare di Saul a cinque anni dalla sua morte, dice e a 21 anni dal loro matrimonio civile nel Vermont – Saul con la cravatta a farfalla e Janis con un abitino che lui le aveva comprato. Mi basta guardarla per capire che ne è ancora innamorata. Non aveva paura di un uomo molto più anziano di lei già divorziato quattro volte? “A dispetto delle apparenze era una persona perbene, una specie di “marito seriale”, forse perché nel suo intimo desiderava che l’amore fosse sempre al centro della sua vita. Era coraggioso. Ci voleva un bel coraggio per ricominciare ogni volta daccapo!”.
Come Saul – trasferitosi a Chicago da Montreal con i genitori provenienti dalla Russia quando aveva nove anni – anche Janis è nata in Canada ed è arrivata a Chicago per prendere il PhD nel 1979. Inutile dire che Saul Bellow era uno dei suoi professori. “Dopo il dottorato lavorai come sua assistente per qualche anno. La nostra storia cominciò molto dopo, praticamente all’improvviso”.
Il primo giorno di lezione Janis notò le sue mani bellissime. “A giudicare dalle sue mani era ovviamente un uomo straordinario, Nobel a parte”. Cos’altro notò? “Non avevo mai sentito nessuno parlare come lui. Non leggeva, le parole gli uscivano armoniosamente di bocca come una cascata. Parlava di tutto, non perdeva mai il filo. Era meraviglioso”. Fuori dell’aula era un’altra persona. “Era cortese e spiritoso ma appariva annoiato, oppresso”. Come rivelano le sue lettere, Saul Bellow era oberato dalle richieste di reading, di conferenze, di interventi, di interviste. E, avendo uno spiccato senso del dovere, non veniva meno agli obblighi che gli derivavano dall’essere considerato il decano della letteratura americana. Quando nel 1985, la quarta moglie Alexandra, nota matematica, gli chiese il divorzio e Saul andò a vivere in un piccolo appartamento nei pressi dell’università, i suoi assistenti lo aiutarono ad arredarlo. “Era depresso e malato. Cominciai a prendermi cura di lui, ma tra noi non c’era nulla. Era come prendersi cura di un anziano parente. Poi, come un fulmine a ciel sereno, una sera mi invitò a cena e da allora non ci separammo mai più”. “Esplorammo Chicago. Mi fece vedere dove era cresciuto. Nacque tra noi una intimità profonda, anche fisicamente. Andavamo spesso allo zoo. Era tutto molto romantico. Aveva la straordinaria capacità di essere amato e di amare. E si sentiva sempre in lui il ragazzo di 17 anni che era stato e continuava ad essere”.
Io, il melodramma
e gli spinaci
LE SUE LETTERE ti conducono lungo i sentieri della sua “ricchissima” vita. La più vecchia risale a quando aveva 17 anni. Si vedeva già il futuro romanziere. Aveva rotto con la sua ragazza e, dopo una pagina di poetiche, giovanili pene d’amore concludeva bruscamente: “C’è solo una cosa che odio più del melodramma e degli spinaci: me stesso”. Dalla madre, morta quando era giovanissimo, aveva appreso l’amore per la Bibbia, da suo padre, importatore di cipolle, di carbone e, talvolta, contrabbandieredialcol,ilcoraggio.Sottole armi scrisse il suo primo romanzo L’uomo in bilico (Ndt, “Dangling Man”) e nel 1953, ben accolto dalla critica, pubblicò Le avventure di Augie March, dove racconta con lo stile del romanzo picaresco, la sua avventurosa infanzia e adolescenza nelle strade di Chicago. Nel 1964 con la pubblicazione di “Herzog”, divenuto immediatamente un best-seller, si fece conoscere dal grande pubblico.Finoadalloraisuoiduefratelli–entrambiuominid’affaridi successo – lo avevano considerato “un coglioncello con la penna in mano”. Ma Saul Bellow non era il tipo da avere dubbi sul suo talento. Lo testimoniano, tra l’altro, un paio di lettere scritte nel 1951 all’editore inglese John Lehman: “Se dopo aver letto Augie March non sapete dire altro che avete di me la massima stima, vuol dire che non siete degno di pubblicare il mio libro”. Un interrogativo irrisolto quello delle donne. “Mangiano insalata ebevonosangueumano”,fadire a Moses Herzog. Uno dei suoi biografi, James Atlas, scrisse che “non riusciva ad avere rapporti duraturi con le donne perché si sentiva ancora l’adolescente abbandonato dalla madre che aveva osato morire senza chiedergli il permesso”. Ma è proprio così? Era un misogino? Difficile dare una risposta leggendo le lettere. Certo ci sono alcune missive alquanto sgradevoli indirizzate alle sue ex mogli e bigliettini inviatiagliamicineiqualisilamentadi quanto gli costavano gli alimenti.Inoltremaiunaparolapositiva sul femminismo. Ma quando è innamorato, allora la musica cambia: diventa un micetto, inventa nomignoli, si sente che non può stare lontano dall’oggetto dei suoi desideri. Tuttavia la maggior parte delle lettere riguardano la sua vita letteraria, non quella privata, e sono le più affascinanti. Scrive a William Faulkner, a Edmund Wilson, a John Berryman, a John Cheever, a Cynthia Ozick e a Martin Amis. Se la prende con Hannah Arendt e Mary McCarthy (definendo la prima una “scocciatrice” e la seconda una “stupida”) e a Joseph Roth scrive che il suo romanzo Ho sposato un comunista non lo convince.Inunaletteradescrive le sue emozioni alla notizia del Nobel, nel 1976: “Un misto di gloria e orrore”, quasi a voler negare che in realtà era estremamente compiaciuto.
Uno scrittore
non un marito
JANISBELLOWnonsièoccupata personalmente dell’editing delle lettere e della loro pubblicazione ed è stata una scelta giusta. “Era il suo libro, non il mio”. Ma a Janis evidentemente piace il basso profilo. In realtà è stata accanto a Saul Bellow per venti anni, più a lungo di chiunque altro. “È vero. C’era chi mi diceva: ‘Sei fortunata. Non ha scritto libri cattivi su di te’. Non lo nego. Sono stata fortunata. L’ho incontratoalmomentogiusto.L’avessi conosciuto prima non credo che avrei potuto sopportare le sue infedeltà”. Divenne nuovamente padre nel 2000 all’età di 85 anni. “Non era mai stato un buon padre”, dice Janis senza un filo di asprezza nella sua voce. “Saul era uno scrittore, non un marito o un padre e aveva bisogni enormi. Eppure alla fine lui e Rosie guardavano i cartoni animati insieme per ore ed ore”. A un amico che era andato a fargli visitaquandoeraormaiallafinee si era permesso di suggerire che forse era meglio allontanare la bambina che stava cantando e ballando, Saul Bellow rispose a bruttomuso:“LasciastareRosie. Sta mettendo in scena le mie fantasie”. “Aveva una pelle bellissima; giovanile anche quando stava per morire. Era il tipo di persona che sei contento di abbracciare a letto alla fine della giornata. Era naturale desiderare di stareaccantoaunessereumanocome lui”. E così dicendo Janis raccoglie le mani sul petto e chiude per un attimo gli occhi.