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 2010  ottobre 19 Martedì calendario

IO RIVENDICO IL MIO DIRITTO A CAMBIARE OPINIONE. ME NE ASSUMO LA RESPONSABILITA’

Caro direttore, l’ editoriale di ieri di Ernesto Galli della Loggia affronta direttamente, senza ipocrisie e titubanze, la situazione in cui si trova il centrodestra italiano. Accanto alla riflessione molto critica nei confronti del Pdl, viene affrontata anche la questione della futura leadership della destra italiana ed essendo stato direttamente chiamato in causa non posso esimermi dal rispondere. Galli della Loggia illustra con nettezza il problema che ormai da molto tempo viene denunciato da studiosi e osservatori che si riconoscono nell’ area cosiddetta finiana, e che io stesso ho ripetutamente posto, ovvero che la leadership berlusconiana non ha consentito, e forse nemmeno voluto, la creazione di un vero partito «organizzato e strutturato come tale, portatore di esigenze, centro di relazioni con ambienti e personalità diverse, elaboratore di proposte, collettore di idee», nonché, «centro effettivo di decisioni vincolanti per tutti, anche per i suoi capi». Forse proprio la mia lunga esperienza alla guida di un partito vero, dove l’ esercizio della leadership e la gerarchia hanno sempre fatto i conti con il pluralismo e la competizione interni, mi ha reso più refrattario ad accettare il partito non-partito che è diventato il Popolo della libertà. Ma questa esperienza mi viene rinfacciata da Galli della Loggia, che sbrigativamente mi liquida come «l’ ultimo segretario del partito neo-fascista». Io non nego ciò che sono stato, non nego il mio passato. Di quel passato conservo la ferma convinzione che la politica sia innanzitutto uno strumento al servizio della comunità nazionale e dei suoi cittadini e in una prospettiva più ampia, uno strumento che può aiutare a costruire un futuro migliore, più sicuro e più prospero, per tutti. Tuttavia, rivendico il diritto di cambiare opinione, assumendone tutta la responsabilità. Accade di cambiare opinione, quando ci si pone con umiltà e senza pregiudizi di fronte alle cose della vita, alla storia, ai mutamenti che investono la società nella quale si vive. E in questo mio percorso, politico ma anche esistenziale, ho guidato il mio partito verso il cambiamento. Credo in buona fede di avere raggiunto dei risultati: non sono stato solo l’ ultimo segretario del Movimento sociale, sono stato anche il primo di Alleanza nazionale, l’ artefice di Fiuggi e della faticosa strada che ne è seguita. Quando mi sono recato in Israele è stato anche attraverso la piena e profonda comprensione della tragedia della shoah e delle responsabilità del fascismo che ho cominciato ad osservare con nuovi occhi il passato, il presente e il futuro. E così ha fatto chi da destra mi ha seguito in questo lungo e importante percorso. In questa avventura personale e politica ho incontrato anche nuovi compagni di strada, che mi sono oggi vicini e, pur con altre storie politiche alle spalle, oggi con me condividono la speranza di una Italia diversa. Galli della Loggia mi imputa anche di essere «ancora e sempre immerso per intero nel vecchio scenario della morente prima Repubblica». Non mi sento immerso in quello scenario; sento di essere parte di una piccola storia, la storia del nostro Paese, la storia di un Paese che è transitato da una situazione politica e culturale condizionata dal passato autoritario, dalla Guerra fredda e dai grandi «partiti Chiesa» ad una fase dove la modernizzazione della politica e della società e le resistenze a quella modernizzazione hanno convissuto per più di un quindicennio e continuano a convivere. Mi sento figlio del mio tempo, di questo tempo convulso, mi faccio carico della mia storia, ma guardo avanti. Considero quello della prima Repubblica un ciclo che si è chiuso e la sfida è proprio quella di essere capaci di operare nel proprio tempo e di farsi carico delle trasformazioni epocali che dobbiamo governare e di trasformarle in opportunità, per non esserne travolti. L’ Italia se lo merita e la classe politica non può annegare nel presentismo o peggio continuare a rinfacciarsi il passato. La scommessa che abbiamo fatto con Futuro e Libertà è difficile da vincere, ma non impossibile. Dobbiamo muoverci tra resistenze passatiste, rappresentate da interessi corporativi ancora potentissimi e tendenze culturali alla conservazione di un vecchio modo - consensuale e consociativo - di fare politica, e una modernizzazione non compiuta e «viziata» da una antipolitica che ha emarginato ogni serio discorso sulle regole, sulla loro innovazione e sugli strumenti per fare politica, a partire da partiti, nuovi ma solidi e radicati. Forse, muovendoci in questo angusto spazio, abbiamo dato l’ impressione di scivolare nelle «polverose regole della democrazia italiana, dei suoi tic, dei suoi tabù». Forse abbiamo commesso errori di comunicazione, perché non sono certo quelle regole, quei tic e quei tabù che vogliamo preservare. Se oggi insistiamo sul tema della legalità, è perché in Italia il rispetto delle regole è sempre più considerato una opzione, non un dovere, nella società così come in parte della classe politica, e la incidenza del malaffare e della corruzione è ormai divenuto il principale problema per lo sviluppo e la ripresa della nostra società e della nostra economia. Tuttavia, siamo ben consapevoli che questo non deve e non può tradursi in mera conservazione e richiede un profondo ripensamento anche del funzionamento del nostro sistema giudiziario, che non deve apparire punitivo per chi opera al suo interno, ma nemmeno essere oggetto di veti corporativi. Noi siamo interessati a un nuovo modo di fare politica, dove sia la competizione tra leader e progetti e non la consociazione tra oligarchi a informare di sé il sistema politico. Per questo non guardiamo alla seconda parte della Costituzione come a una totem intoccabile e siamo favorevoli a cambiamenti istituzionali che portino a compimento la parziale trasformazione in senso maggioritario del nostro Paese. E riconosciamo, di conseguenza, il grande contributo che la discesa in campo di Silvio Berlusconi diede a suo tempo alla bipolarizzazione del sistema, anche se non possiamo non sentirci delusi dalle promesse mancate di quella che nel 1994 appariva come una vera e propria rivoluzione liberale e modernizzatrice di cui purtroppo non si è visto fino ad oggi alcuna traccia duratura. Al tempo stesso, riteniamo che sia importante interrogarsi su quale possa essere un efficace equilibrio tra poteri e non pensiamo che richiamare la necessità di un Parlamento efficace e ben funzionante (in cui si fronteggiano a viso aperto e senza confusione di ruoli una maggioranza che governa e una opposizione che si prepara a farlo in futuro) sia in contraddizione con l’ esigenza di governi forti e capaci; ad ognuno va garantito il suo ruolo, nel rispetto reciproco. Galli della Loggia conclude rassegnato che quella di Berlusconi sarebbe l’ unica novità politica, benché «fangosa», toccata in sorte all’ Italia. Non so se sia vero, ma quello che è certo è che non possiamo rimanere dove siamo ancora, dopo 16 anni dal ’ 94, nel pieno della transizione. Noi vogliamo guardare avanti, con tutti quelli che ci staranno. E, proprio perché crediamo nell’ importanza cruciale delle regole, delle istituzioni, dei partiti, vorremmo che l’ esistenza di una destra di stampo europeo, non populista né plebiscitaria, ma anche di una sinistra realmente riformista, non debbano dipendere solo dagli uomini e dalla loro sorte. Né dai Berlusconi, né, sia chiaro, dai Fini. I leader sono importanti, importantissimi nella politica contemporanea, ma non galleggiano nel vuoto; i leader possono esprimere le loro potenzialità, senza legare alla loro sorte quella di un Paese, solo dove ci sono buone regole, buone strutture e una buona politica. Oggi non è così, e sto lavorando, con la mia storia e la mia visione del futuro, per colmare questa lacuna. Presunzione? Forse. Ma vale la comunque la pena di provarci.
Gianfranco Fini presidente della Camera
Ho sempre pensato - e detto e scritto anche - che solo i cretini nel corso della vita non cambiano idea: figuriamoci dunque se non riconosco al presidente Fini un tale diritto. Penso però che se lo si fa, in specie se si è un uomo pubblico, si abbia il dovere di spiegare perché si è cambiato idea, nonché di dire chiaramente che ciò che si pensava prima era sbagliato: e ammettere dunque che a suo tempo ci si è sbagliati. Mi dispiace che invece Fini, a quel che abbiamo potuto vedere, non condivida questo punto di vista. C’ è poi una questione cruciale di tempi. Egli scrive che «non può accettare il partito-non partito che è diventato il Popolo della libertà». «Diventato»?: ma perché, mi chiedo, c’ è stato forse un periodo in cui invece secondo Fini il Pdl ha rappresentato un partito vero? E quando? E Forza Italia era forse un partito vero, secondo Fini? Non posso credere che egli lo pensi realmente. E in tanti anni di alleanza e di contiguità, davvero si è accorto solo da un anno o poco più di che cosa Berlusconi intende per «partito», «politica», «legalità», «regole» ecc? Quanto a ciò che è «nuovo» e ciò che è «vecchio»: certo, se per esempio il presidente della Camera avesse continuato a predicare la necessità del presidenzialismo con la forza e l’ insistenza con cui l’ ha fatto per tanto tempo, a nessuno oggi verrebbe in mente di collocarlo tra i custodi delle regole, dei tic e dei tabù della prima Repubblica. Ma non mi pare proprio che l’ abbia fatto o che lo stia facendo. All’ opposto, gli ammonimenti di inamidato buonismo e i precetti politicamente corretti che va dispensando regolarmente lo stanno rendendo degno - se lo lasci dire - del miglior Scalfaro d’ annata.
(E.G.d.L)