GIAMPAOLO VISETTI, la Repubblica 19/10/2010, 19 ottobre 2010
CINA - IL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO HA SCELTO L´UOMO CHE TRA DUE ANNI SUCCEDERÀ A HU JINTAO INGEGNERE, 57 ANNI, È SOSTENUTO DAI CONSERVATORI, CONTRARI A RIFORMARE IL SISTEMA POLITICO
La Cina, assediata dalla "guerra delle valute" e furiosa per il "Nobel anticinese" a Liu Xiaobo, ha scelto l´uomo che dal 2012 la guiderà per i dieci anni più importanti dalla morte di Deng Xiaoping. Rispettando le attese, il comitato centrale del Partito comunista ha promosso ieri il vicepresidente Xi Jinping a vicepresidente della commissione militare centrale.
Nella liturgia del potere è l´investitura ufficiale alla successione del presidente Hu Jintao, che lascerà la carica tra due anni e si dimetterà da segretario generale del partito nella primavera del 2013. Chi presiede la commissione militare, ossia le forze armate, guida il partito e dunque il Paese. Che la leadership spettasse a Xi Jinping, 57 anni, ingegnere e chimico, nel partito dal 1974 e nel politburo dal 2007, già governatore di regioni e metropoli chiave, a Pechino lo si diceva da tempo. Le scosse degli ultimi mesi, e la mancata promozione di un anno fa, avevano però fatto sorgere dubbi e acceso ambizioni diverse. La sua investitura, che tra un anno dovrà essere ratificata dai duemila delegati del 18 congresso, è una vittoria dell´ala conservatrice del partito e una sconfitta dei riformisti.
Dietro l´unanimismo di facciata, con cui come sempre si sono conclusi i quattro giorni del Plenum annuale, si cela però un potere scosso da fazioni e generazioni che il mito di Mao Zedong non riesce più a unire. Nel 2012 sette membri su 9 del comitato centrale decadranno per ragioni di età. Resteranno in carica solo Xi Jinping e il suo avversario Li Keqiang, attuale vicepremier. Sono i simboli delle due Cine che oggi si confrontano. Xi è uno dei "prìncipi rossi", gli eredi dei vecchi leader della rivoluzione, nazionalisti, politicamente più conservatori, economicamente liberisti e legati alla lobby di Shanghai capeggiata dall´ex presidente Jiang Zemin. Il padre di Xi Jinping è tra i fondatori del partito e ha trasmesso al figlio, paladino della lotta contro la corruzione, la convinzione che «la stabilità del potere è essenziale per la crescita economica». Li Keqiang, il solo che gli poteva sbarrare il passo, guida invece i riformisti della "lega della gioventù", vicina alla nuova élite dei ricchi di Pechino, sostenitori di aperture politiche e vicini alla coppia Hu Jintao-Wen Jiabao. Semplificazioni, dentro equilibri più complessi, costruiti sull´intreccio tra ideologia, affari, amicizie personali e peso delle regioni.
È chiaro però che il messaggio lanciato dal comitato centrale del partito è che l´ipotetico cambiamento sarà lento e che il potere farà di tutto per scongiurare "nuove rivoluzioni". Chi si illudeva che l´"assedio dell´imperialismo occidentale" alla Cina, simboleggiato dal Nobel a Liu Xiaobo, avrebbe diviso il partito e accelerato le riforme politiche, è stato deluso. Pechino ha reagito reprimendo il dissenso interno, scatenando la propaganda anti-occidentale e rinviando la resa dei conti tra falchi e colombe del partito.
Per "stabilità, sviluppo rapido e crescita inclusiva" nessuno è più adatto di Xi Jinping. Moderato, colto, accreditato all´estero, fautore della "continuità non estranea alle aperture", rassicura i quadri nazionalisti senza rompere con l´élite che invoca "una Cina più aperta al mondo". È la sintesi del piano quinquennale 2011 - 2015 varato ieri dal Plenum. Disegna un Paese impegnato in una «vigorosa ristrutturazione politica, ma capace di mantenere una crescita stabile». Obiettivi: «Sostenere domanda e consumi interni, aumentare i redditi e sviluppare la società in modo inclusivo», ossia impedire che il divario tra metropoli e villaggi faccia implodere il sistema.
Le autorità si preparano ad un Pil che non potrà crescere sempre a doppia cifra, e Xi Jinping dovrà fare in modo che la delusione finanziaria di poveri e ceto medio non si traduca in domanda politica di cambiamento. Il silenzio dei vertici del partito sul Nobel a Liu Xiaobo, gli arresti e la scomparsa di decine di attivisti, amici e familiari del dissidente in carcere, dimostrano che a Pechino un "nuovo corso" non è la priorità.