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 2010  ottobre 17 Domenica calendario

L’omicidio di Pasolini Notte masochista con finale annunciato - L’omicidio Pasoli­ni? Niente com­plotti, nessuna trama nera, nes­sun mistero: l’as­sassinio del poeta e scrittore friulano sarebbe maturato uni­camente nell’ambiente omo­sessuale

L’omicidio di Pasolini Notte masochista con finale annunciato - L’omicidio Pasoli­ni? Niente com­plotti, nessuna trama nera, nes­sun mistero: l’as­sassinio del poeta e scrittore friulano sarebbe maturato uni­camente nell’ambiente omo­sessuale. Questa la tesi che Marco Belpoliti sostiene nel suo nuovo Pasolini in salsa pic­cante , pamphlet che uscirà per Guanda il prossimo 4 novem­bre, a 35 anni esatti dalla mor­te del poeta. Un libro destinato a scatenare polemiche perché la presa di posizione di Belpoli­ti s­enza dubbio spiazzerà i tan­tissimi intellettuali, non solo di sinistra, che da decenni in­terpretano quello di Pasolini come un omicidio politico. Per Belpoliti «Pasolini non è la vittima o addirittura il martire delle trame occulte che dal 1969, e anche prima, hanno in­torpidito e manipolato la sto­ria del nostro paese: Pasolini assassinato dai servizi segreti deviati; Pasolini che scopre le piste nere, gli autori degli atten­tati­neofascisti e per questo vie­ne eliminato ». Secondo Belpo­liti questa dietrologia è «il sin­tomo, in senso psicoanalitico, della propensione della para­noia che attanaglia la sinistra italiana, o almeno alcuni intel­­lettuali, scrittori, o persino giu­dici ». E senza tirarsi indietro continua: «Di Pasolini oggi ci viene offerto un santino quasi fosse- e per tanti magari lo è- il Padre Pio della sinistra, biso­gnosa, come i fedeli dello stig­matizzato di San Giovanni Ro­tondo, di uno sciamano che de­cifri in modo rabdomantico il presente, un sant’uomo cui ri­volgersi con religioso stupore e abbandonata fiducia per co­noscere il nostro futuro ante­riore ». In Pasolini in salsa pic­cante ( la citazione è dal film Uc­cellacci e Uccellini quando il Corvo consigliava a Totò e Ni­netto Davoli che «i maestri si mangiano in salsa piccante») Belpoliti scrive che è giunto il momento di liberarsi dal «com­plesso- Pasolini che blocca an­cora molti, incapaci di sottrar­si alla forza medusea della sua innocenza relativa». Nei quattro saggi compresi nel pamphlet, accompagnati da scatti di Ugo Mulas, sottoli­nea la forza di Pasolini come «sublime visionario», come «un uomo e un poeta che usa­va contraddirsi per restare vi­vo, per capire e farci capire, un esercizio che gli costava fatica e dolore ma che gli era inevita­bile ». Pasolini ha sacrificato se stes­so ben prima della propria morte. E per non perdersi, si è perso. Nelle sue notti, nei suoi amori mercenari e clandesti­ni, in quelle sensazioni estre­me di cui, una volta smesse le vesti di intellettuale corsaro, aveva bisogno come si ha biso­gno di un’espiazione. Quella di Belpoliti non è certo una po­sizione originale: tanti, anche vicini allo scrittore (su tutti Ni­co Naldini, di professione poe­ta e cugino di Pasolini), pensa­no che la sua fine non sia un mistero. Ma la posizione in «salsa piccante» non manche­rà di bruciare nel «volto» di molti. Dalla critica Carla Bene­detti, tra le ideatrici della rivi­sta Primo Amore (che da tem­po raccoglie firme on line per la riapertura del processo) ai molti redattori del blog lettera­rio Nazione Indiana (dove è stato allevato, tra gli altri, Ro­berto Saviano e dove lo stesso Belpoliti ha iniziato a pubblica­re i primi interventi piccanti ), dagli «ammiratori di Pasolini» (come li chiama Belpoliti, di­stanziandoli dalla parola «let­tori ») ai tanti che dietro ogni morte vedono un complotto. Belpoliti prende le distanze ma tiene a precisare: «Se è ne­cessario si riapra anche il pro­cesso Pasolini, ma lo faccia chi per mestiere e per vocazione si è assunto il compito di giudica­re, la magistratura, e anche chi, come i poliziotti, di investi­gare ». «A noi», sottolinea, «ne tocca un altro: seppellire Paso­lini, dare onore e definitiva pa­ce al suo corpo martoriato che aspetta da oltre trent’anni, non la giustizia dei tribunali, ma il nostro amore incondizio­nato accompagnato da un al­tro assoluto dissenso». Belpoliti esprime da tempo la sua opinione in modo «cor­saro »:non all’arrembaggio,co­me fanno molti, ma dimostran­do di aver raccolto più di altri la vera eredità di Pasolini, pur commisurato alla piccolezza del mondo contemporaneo. Per Belpoliti «la vera omissio­ne » nei confronti dello scritto­re e regista sta nella «omoses­sualità rimossa di Pasolini, sempre trattata come una sor­ta di vizietto, un elemento su cui sorvolare, mentre costitui­sce la radice vera della sua let­tura della società italiana, l’ele­mento estetico su cui egli ha fondato la critica della socie­tà ». E questo sarà forse il pas­saggio che farà più discutere. Si può concordare o meno ma certo Belpoliti non le manda a dire. Non si nasconde dietro troppi intellettualismi e la sua chiave di lettura dell’omicidio e della «mitizzazione persona­le » di Pasolini è chiara e, alme­no per questo, già vincente. Lo stesso Pasolini, nello scrit­to inedito La Luce della Resi­stenza (che ho trovato nell’ar­chivio di Giancarlo Vigorelli e pubblicato 2 anni fa sulla rivi­sta Satisfiction ) appuntava: «L’equilibrio non va certo rag­g­iunto cancellando uno dei ter­mini del dilemma: ma vivendo il dilemma nel modo più ri­schioso, intellettualmente e sentimentalmente». Ed è lo stesso Vigorelli, sco­pritore di Pier Paolo Pasolini sin da quand’era un poeta ado­­lescente (come dimostrano molte lettere), che nelle sue Memorie (a oggi inedite) rac­conta forse per primo la sua «verità» sulla morte di Pasoli­ni. Anche per Vigorelli l’omici­dio è maturato nell’ambiente omosessuale: «Ricordo», scri­ve pochi giorni dopo la morte del poeta, «di aver incontrato Pier Paolo nell’agosto di quel­lo stesso anno. Dopo anni di li­tigi e incomprensioni mi ave­va chiamato per dare voce ad uno dei personaggi del film Sa­lò . Mi recai molte volte negli studi di doppiaggio in via Tu­scolana, ma a metà del mio la­voro mi rifiutai di continuare. In quel film c’era una violenza che non conoscevo, quasi il te­stamento di un uomo e un arti­sta che aveva l’urgenza di co­municare al mondo di essere votato al sangue». «L’ho sem­pre considerato», continua Giancarlo Vigorelli, «un uomo ricco di contraddizioni. Non per la sua sessualità, ma per il modo bestiale in cui si consu­mava durante nottate di vio­lenza che non comprendevo. Fino alle sette di sera era una persona, dopo era tutt’altra. Non ho mai conosciuto, mal­grado abbia frequentato come amico i maggiori intellettuali del ’900, un uomo capace di quelle trasformazioni. Sem­brava che a nessuno importas­se, a me gelava il sangue quan­do lo vedevo il giorno dopo le sue avventure nottur­ne pieno di graffi e livi­di. Non cercava il sesso occasionale ma la vio­lenza. Era come se vo­lesse essere voluta­mente picchiato». «Un giorno», conclude Vi­gorelli, «a casa mia a Varese Giovanni Testo­ri confidò a me e ad amici che nelle sue se­rate milanesi Pasolini cercava giovani accom­pagnatori e litigava sempre sul compenso stabilito in precedenza per cercare lo scontro fisico, in cui aveva sem­pre la peggio. Non l’ho mai giu­dicato come uomo, credo che ogni condotta possa essere im­morale, ma mi faceva male sa­perlo così disperatamente so­lo. Era il senso di impotenza, non il giudizio, a lasciarmi a mia volta impotente. La peg­giore sensazione che un esse­re umano possa provare per un altro».