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 2010  ottobre 19 Martedì calendario

Domande e risposte: Chi è il testimone di giustizia? - Lea Garofalo, uccisa e sciolta nell’acido, è stata definita da alcuni collaboratrice di giustizia e da altri testimone di giustizia

Domande e risposte: Chi è il testimone di giustizia? - Lea Garofalo, uccisa e sciolta nell’acido, è stata definita da alcuni collaboratrice di giustizia e da altri testimone di giustizia. C’è una differenza? Le persone che con la loro testimonianza collaborano con la giustizia sono, comunemente, detti «pentiti» di mafia, di ’ndrangheta o di camorra a seconda dei casi. In realtà la legge che li riguarda, la numero 45 del 2001, fa una precisa differenza: il collaboratore di giustizia è una persona che ha commesso lui stesso dei reati di mafia, camorra o ’ndrangheta, se ne accusa e, con la sua testimonianza, aiuta gli inquirenti a scoprire altri fatti. Il testimone di giustizia, invece, è un cittadino che conosce dei fatti e ne dà testimonianza, ma non è coinvolto direttamente nel reato di cui riferisce. La signora Garofalo era - tecnicamente - «testimone di giustizia». Come si diventa collaboratore o testimone di giustizia? Si diventa collaboratore (o testimone) nel momento in cui si decide svelare alla magistratura ciò di cui si è a conoscenza. Il pentito ha un tempo massimo di sei mesi di tempo per dire tutto quello che sa, il tempo inizia a decorrere dal momento in cui il pentito dichiara la sua disponibilità a collaborare. Il pentito non accede immediatamente ai benefici di legge, ma vi accede solo dopo che le dichiarazioni vengano valutate come importanti e inedite, infine il pentito detenuto dovrà scontare almeno un quarto della pena. Ci si può pentire anche se non si appartiene a mafia, camorra e simili? Sì, certo. Tant’è che ci sono un centinaio di persone che provengono da ambiti criminali diversi da quelli delle grandi organizzazioni. Il pentito deve vivere in clandestinità? Teoricamente no, ma di fatto la sua vita è estremamente esposta a vendette della malavita organizzata. Per questo lo Stato mette in atto un piano di protezione che durerà fino al cessato pericolo. Inoltre lo Stato elargisce un emolumento (una sorta di stipendio) che consenta al pentito di vivere. Quanti sono attualmente i pentiti? Sono all’incirca 800, ma poiché un pentito espone indirettamente anche anche i suoi familiari e le persone a lui più vicine, il programma di protezione dello Stato riguarda attualmente quasi 4 mila persone. Sul totale di 800 persone la ripartizione tra collaboratori e testimoni è molto sbilanciata a favore dei primi (circa 730 contro 70). D’altronde un collaboratore ha tutto da guadagnare in termini di riduzione della pena, mentre un testimone, spesso, mette in discussione la propria tranquillità. Sono più di mafia o più di camorra? Attualmente molto più quelli di camorra che sfiorano le 300 unità, 70 di meno quelli di mafia, e poi gli altri di ’ndrangheta e della sacra corona unita. Questo fenomeno è ascrivibile al fatto che il fenomeno mafioso è stato molto più indagato e quindi molte più cose si conoscono. Non dimentichiamo, infatti, che un pentito, per essere tale, deve dire qualcosa di nuovo. Quali sono le critiche più diffuse alla legge sui pentiti? La critica più diffusa riguarda il termine dei 180 giorni entro il quale il pentito deve rivelare tutto quello che sa. Questo limite è considerato dagli investigatori troppo breve, specialmente per quei collaboratori che hanno alle spalle un vissuto criminoso molto consistente. I pentiti, nella realtà, sono stati tutelati dalla legge? Fino a quando stanno all’interno del programma di protezione, certamente. I problemi nascono dopo, quando escono e non hanno strumenti per reinserirsi nella società. Chi sono i pentiti più famosi che hanno consentito di dare colpi importanti alla criminalità organizzata? Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno, Luigi Giuliano, Giovanni Brusca, Pasquale Barra, Santino Di Matteo, Gaspare Mutolo, Gaspare Spatuzza e - ultimo - il mafioso calabrese Roberto Moio . Ma ci sono stati anche i falsi pentiti, cioè quei soggetti che hanno rilasciato confessioni fasulle, coinvolgendo persone innocenti, e complicano spesso le indagini, riuscendo persino ad indebolire le testimonianze dei veri collaboratori di giustizia. E poi ci sono anche quelli che hanno ripreso a delinquere pur trovandosi all’interno di un programma di protezione. Ci si può pentire e non farsi assistere dallo Stato? Si chiama «capitalizzazione», è una delle possibilità previste dal Servizio di protezione del ministero dell’Interno: uscire dal programma dopo avere intascato una somma di denaro una tantum, da reinvestire come si vuole e senza rimanere a carico dello Stato.