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 2010  ottobre 19 Martedì calendario

Pautasso Sergio

• Torino 29 maggio 1933, Milano 30 agosto 2006. Critico e storico della letteratura • «[...] per oltre cinquant’anni [...] ha contribuito a diffondere la conoscenza degli autori italiani - in special modo del Novecento - e stranieri. Dal 1982 era professore all’Università Iulm di Milano. Pautasso è stato anche membro di giuria per numerosi premi letterari (Carducci, Vittorini e della Satira politica). Consulente giornalistico, culturale e editoriale per la Rai, l’Einaudi, l’Enciclopedia Treccani, il Ministero dei Beni culturali e diversi quotidiani, negli anni Sessanta Pautasso fu anche un dirigente della Rizzoli» (“La Stampa” 31/8/2006) • «[...] a 25 anni pubblica la sua prima e unica raccolta di poesie, Rapporto d’amicizia, mentre la sua produzione successiva è sparsa su riviste. Pautasso è stato direttore editoriale della Rizzoli e consulente per l’Einaudi, e dal 1982 docente di Lingua e letteratura italiana presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione di Milano, oltre che direttore della Scuola superiore per interpreti e traduttori. Tra i suoi saggi più importanti c’è Le frontiere della critica (Rizzoli, 1972), in cui espone la sua concezione della critica, intesa come opera creativa autonoma, Elio Vittorini, monografia con cui ha vinto nel 1967 il Premio Viareggio, Anni di letteratura (1980), Il laboratorio dello scrittore, La letteratura degli anni Ottanta (1991), Cesare Pavese oltre il mito (2000) e Cent´anni di letteratura (2003), il suo ultimo lavoro» (“la Repubblica” 1/9/2006) • «Sono settantamila i volumi che, a occhio e croce, Sergio Pautasso, una vita passata tra case editrici e università, stima di aver raccolto nel corso della sua [...] lunga esistenza, divisi tra la casa di Milano, dove si accumulano in tutte le stanze, ingresso, corridoi e bagni compresi, quella di Forte dei Marmi, la cantina e l’appartamento, poco distante, di suo figlio, fortunatamente a sua volta bibliomane accanito. E tuttavia, esita a definirsi collezionista, in quanto, precisa, non gli interessa tanto l’oggetto raro e prezioso, quanto lo scritto in sé. Ha sempre cercato di non lasciarsi coinvolgere troppo dalla passione per lo sfizio, anche se entrare in una libreria antiquaria è, per lui, come per un goloso andare in pasticceria: “Mi trattengo, perché non fa bene, perché non voglio e perché non posso, ma guardare e annusare è permesso. Qualche anno fa, per esempio, mi è stata offerta una plaquette di Ungaretti, intitolata La guerra, stampata in 50 copie: una colossale meringa con fragole e panna, per me, ma volevano 20 mila euro e ho dovuto rifiutare. Nonostante ciò, ben vengano certe trouvaille, certe prime edizioni, quando sono accessibili, quando, magari, lo stesso venditore non sa bene cosa ha in mano. Malgrado i buoni propositi, in realtà ho peccato anch’io e qualche sfizio me lo sono concesso. Tuttavia mi posso accontentare benissimo delle seconde edizioni; e se poi al libro manca la copertina, ragion per cui il vero collezionista arriccerebbe il naso, a me non importa nulla. È questo il motivo per cui ho potuto acquistare parecchi bei volumi, come, per esempio, una delle cento copie stampate dei Cavalli bianchi, il primo romanzo di Aldo Palazzeschi, privo della quarta di copertina. Io, dunque, non sono uno che si innamora dell’oggetto, bensì, piuttosto, uno studioso, in quanto il libro è per me, prima di tutto, uno strumento di lavoro. E poi, i veri collezionisti, devono avere fondi inesauribili, il che non è il mio caso. Ciò non toglie che qualche volta, più che altro per buona sorte, sono riuscito a mettere le mani su una ‘chicca’ prima di qualcuno dei miei grandi e potenti concorrenti”. Piccoli o meno piccoli “colpi” che fanno parte del gioco nel ristrettissimo mondo dei collezionisti e che offrono materiale per discussioni, divertimento, sfottiture e ripicche — roba da bar Sport, sorride Pautasso — che, oltre ai diretti interessati, coinvolgono anche i fornitori e, cioè, i librai antiquari e i padroni di bancarelle i quali, in genere, per ogni libro, sanno benissimo chi è l’acquirente giusto, e gli telefonano. Se poi i clienti interessati sono due o tre, ancora meglio, naturalmente. Di lui, si sa che sono due i libri ai quali terrebbe: le prime edizioni della Coscienza di Zeno di Italo Svevo e degli Indifferenti di Moravia, dei quali possiede, in entrambi i casi, la seconda. Ma, anche, una copia di Finisterre, una raccolta di versi di Montale stampata a Lugano nel 1943, che gli servirebbe per avere l’opera omnia in prima edizione. Il massimo, per un collezionista o studioso che dir si voglia, è, infatti, possedere il “completo” di un autore in una edizione “buona”, che è per lo più la prima. La specialità di Sergio Pautasso è il Novecento, quello italiano in particolare. Lui non lo dice, ma stando alle voci dell’ambiente, per quel che riguarda il secolo in questione, la sua collezione è la più esauriente che ci sia. Ma bisogna anche precisare che si tratta solo del cuore della sua biblioteca, del nocciolo duro, perché intorno c’è molto altro: le riviste letterarie, per esempio (assegnate, però, alla cantina) oppure una buona ventina di metri di scaffalatura riempita di volumi d’arte (del Novecento). I libri in casa Pautasso stanno dappertutto: sopra e sotto il tavolo, sui termosifoni, in cima agli armadi, in fila rigorosamente doppia (a volte tripla) sui ripiani. Formano colonne, parallelepipedi, muraglie, torri, grattacieli e nessun altro tranne il padrone di casa ha il diritto di toccarli. Spolverare, pulire? Non se ne parla. “Se il libro che mi serve è sporco, prendo una pezza e tolgo la polvere”, afferma. Ma non si parla nemmeno di un catalogo, di una piantina che spieghi la distribuzione dei settantamila volumi: “So quasi sempre dove mettere le mani”, commenta lapidario. L’amore per i libri l’ha sempre avuto. Torinese, di famiglia operaia che in casa teneva forse soltanto I Miserabili ma che leggeva ogni giorno il giornale, ha cominciato a raccoglierli fin da adolescente. “Erano oggetto di lettura, ma insieme oggetto misterioso, che racchiude storie, avventure, vite. Mi stuzzicava — e mi ci peritavo — anche la scrittura, che ho scoperto in quinta ginnasio in occasione di un tema sul manzoniano Azzeccagarbugli. Chissà, mi sentii ispirato e, invece del solito quattro, presi un bel voto, messo, però, in dubbio dal mio insegnante di lettere, il professor Tamagnoni, che chiese: ‘Chi te l’ha scritto?’. Dopo di allora furono sempre sette o otto e cominciai presto a scrivere su qualche rivista, il che, con gli anni, mi permise di trovare lavoro in campo editoriale, in particolare alla Rizzoli, dove sono stato vent’anni, prima di passare all’insegnamento universitario, allo Iulm di Milano. Dei miei anni in casa editrice, non dimenticherò mai il primo: tra le incombenze che subito mi toccarono ci fu quella di scrivere a Morselli per rifiutare il suo romanzo Il comunista. Fui soltanto il tramite di una decisione presa da altri, sopra di me, ma ancora mi rammarico di non aver letto il testo prima di scrivere la fatidica lettera. E pensare — ma questo, in effetti, lo capii soltanto dopo — che il motivo del rifiuto era stato, molto probabilmente, quel titolo che ai dirigenti era sembrato ostico, minaccioso. Si figurarono, forse, un testo di propaganda sovietica, ragion per cui, sospetto, non lo avevano nemmeno letto”. La biblioteca di Sergio Pautasso è un po’ la storia della sua vita, delle sue letture, delle sue passioni, dei suoi studi e del suo lavoro. Molti volumi sono, ovviamente, inutili, non servono, ma sono, comunque, parte di una storia. C’è ancora il primo acquisto fatto in veste di giovanissimo collezionista: i due libri d’esordio di Giorgio Caproni, trovati su una bancarella torinese. E ci sono le ultime novità, uscite in questi giorni. Nessun volume, neanche quello giudicato più insulso — e Pautasso non è di manica tanto larga — è mai stato buttato via: sarebbe un gesto contro natura, sacrilego quasi. Periodiche spedizioni vanno, dunque, a rifornire alcune biblioteche di provincia. Dal punto di vista economico è proibito fare bilanci. Di mercanteggiare non è mai stato capace, men che meno tirare sui prezzi, ha comprato ma mai venduto, non raramente gli è toccato acquistare blocchi di dieci, venti libri di nessun conto per averne uno che gli interessava, se tra le mani gli capitava un doppione lo ha tenuto oppure scambiato, né più né meno di quel che i ragazzini fanno con le figurine…» (Isabella Bossi Fedrigotti, “Corriere della Sera” 4/4/2006).