GABRIELE BECCARIA, La Stampa 18/10/2010, pagina 12, 18 ottobre 2010
Le università che si laureano a pieni voti - Sognano l’Europa, ma l’Europa li trascura. Valgono, ciascuno, la notevole cifra di 30 mila euro l’anno, eppure, spesso, finiscono per andarsene altrove
Le università che si laureano a pieni voti - Sognano l’Europa, ma l’Europa li trascura. Valgono, ciascuno, la notevole cifra di 30 mila euro l’anno, eppure, spesso, finiscono per andarsene altrove. Sono i 3 milioni e mezzo di «studenti internazionali» - li chiamano così - che migrano da un’università all’altra del mondo globalizzato, studiando sodo e cercando opportunità di ricerca e lavoro e, appunto, disposti a pagare rette salate. Quando si parla di università italiana, ci si lamenta del «brain drain», di fuga di cervelli, dimenticando che esiste un patrimonio unico, molto più esteso, di 3 milioni e mezzo di intelligenze di tutte le nazionalità. Chi riuscirà ad accaparrarsi la fetta migliore darà un’accelerazione decisiva al proprio Paese, visto che lo sviluppo nel XXI secolo non può fare a meno dell’intreccio tra meritocrazia, ricerca e industria. Inutile dire che non c’è tempo da perdere e un’occasione per capire sarà oggi, a Torino, la conferenza sul presente e sul futuro degli atenei italiani ed europei. Si intitola «Reforms and triggers of change» - riforme e meccanismi del cambiamento - e riunisce studiosi e manager impazienti di scambiarsi idee e proposte, mentre nelle aule si infiammano le proteste anti-Gelmini. Non a caso, a promuovere l’evento c’è un trio di peso: Vision, think tank di italiani che studiano o lavorano all’estero, in partnership con Nova, l’associazione di ex allievi delle American Business Schools, e l’Issnaf, fondazione di scienziati e ricercatori che lavorano negli Usa. E a ospitarlo ci pensa il Politecnico di Torino, una delle università più dinamiche d’Italia. «Invocare grandi riforme di sistema non è l’approccio più efficiente. Le università, invece, devono migliorare le proprie performances specifiche», spiega Francesco Grillo, direttore di Vision e studente alla London Business School. Il che significa ideare strategie mirate, volta per volta, da come scegliere i professori al top a come fare il pieno di finanziamenti privati, fino alle politiche di marketing per «vendersi» sul mercato internazionale. In questi campi - e in molti altri, compresa la capacità di imporsi sulla scena pubblica e tra le pubbliche opinioni - Europa e, soprattutto, Italia hanno molto da fare. Un buon punto di partenza a cui ispirarsi sono le classifiche internazionali, con l’algido verdetto dei promossi e dei bocciati e con le inevitabili semplificazioni (a volte grossolane) di ogni lista. La più citata - quella dell’Institute of Higher Education della Shanghai Jiao Tong University - non ha incluso nemmeno un’italiana tra le 100 migliori università del pianeta e su questo schiaffo ci si interrogherà a Torino. Ma oggi Vision presenterà anche una sua classifica inedita, quella sugli atenei del Belpaese, da cui emerge una prevedibile divaricazione tra Nord «virtuoso» e Sud «decadente» e poi una serie di realtà tutt’altro che scontate: lo sforzo modernizzatore di alcune istituzioni del Mezzogiorno e i progressi di alcune grandi università statali, come Torino, Milano e Bologna. Luci e ombre che suggeriscono una prima spiegazione del perché dell’esclusione dai «magici 100». «Almeno una decina di istituti potrebbe ambire a entrare nel gruppo - sottolinea Grillo - ma gli è impedito». I motivi? L’eccesso di burocrazia, unita alla scarsa autonomia su selezione dei prof e gestione dei fondi. Un’iniezione di sano liberismo accademico nell’universo anestetizzato dei «baroni» dovrebbe quindi produrre effetti subito visibili, a volte perfino miracolosi. Sarà, questo, un altro nodo su cui far scontrare le opinioni e immaginare la rinascita di campioni potenziali, ridotti a litigare su concorsi truccati, laboratori cadenti, finanziamenti che non arrivano, start-up industriali mai decollate.