Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 17/10/2010, pagina 88, 17 ottobre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
1980-1983
Misteri di Stato…
L’Italia dei misteri è un posto di frontiera: fra Ovest ed Est, fra Europa e Medio Oriente. Crocevia di terroristi, militari, spioni e mestatori. Tutti armati fino ai denti e dediti a ricatti, avvertimenti, doppi giochi. L’estate 1980 è quella delle stragi e ha il suo epicentro a Bologna. Da lì parte l’aereo che si inabissa nel mare di Ustica la sera del 27 giugno. E da lì non partiranno i vacanzieri che affollano la stazione dei treni quando, alle 10 e 25 del 2 agosto, una valigia deflagra nella sala d’aspetto della seconda classe. La scena dei cadaveri caricati su un autobus di linea entra di diritto nell’album nero della Repubblica. Ancora una cifra: 166. È il numero dei morti nelle due carneficine.
Su Ustica i pinocchi di Stato si affrettano a parlare di cedimento strutturale, ma i resti del DC-9 rivelano tracce di esplosivo. Le autorità alzano un «muro di gomma»: depistaggi, ritrattazioni, morti sospette. Le indagini svelano che quella sera nei cieli italiani c’era un traffico da ora di punta. «Caccia» francesi, americani, libici. Questi ultimi sono Mig di fabbricazione sovietica che devono volare periodicamente in Jugoslavia per la manutenzione, attraversando il nostro spazio aereo. L’Italia lo tollera, gli Stati Uniti meno. L’ordinanza del giudice Priore ritiene che un missile destinato all’incursore libico abbia sfiorato il DC-9, provocandone la distruzione. Ma Cossiga, all’epoca primo ministro, sosterrà ancora in punto di morte che il missile era francese e aveva come bersaglio l’aereo personale di Gheddafi. Anche per la bomba della stazione comincia un valzer di fango che coinvolge tutto ciò che di torbido si agita in Italia, dalla P2 alla banda della Magliana. La sentenza definitiva di condanna per i neofascisti Mambro e Fioravanti (che si proclamano innocenti) fa pensare a un bis di piazza Fontana, ma il solito Cossiga alimenta la tesi di una bomba in transito esplosa per errore. In quegli anni vigerebbe un patto non scritto fra il governo italiano e i terroristi palestinesi, che possono usarci come garage a patto di compiere poi i loro attentati altrove. I palestinesi smentiscono, sostenendo si tratti di una strage ordita dalla Cia proprio per punire l’ambiguità italiana in Medio Oriente. Il dissidio con gli Usa emerge cinque anni più tardi a Sigonella, quando Craxi si rifiuta di consegnare agli americani il commando palestinese che ha assassinato uno statunitense disabile a bordo della motonave Achille Lauro. Ma i familiari delle vittime della stazione non credono alla pista internazionale e la targa che attesta la «matrice fascista» della strage diventa spunto per divisioni politiche che si perpetuano a ogni ricorrenza.
… e di loggia
Nessuno riuscirà mai a svelare il mistero più impenetrabile della loggia massonica Propaganda 2 (P2): per quale motivo centinaia di politici, generali, imprenditori e giornalisti di successo leghino i loro destini a quello di Licio Gelli. La ricerca spasmodica di un burattinaio alternativo - il Grande Vecchio, di volta in volta identificato in Cefis o in Andreotti - nasce dal rifiuto di credere che questa organizzazione segreta di mutuo soccorso, che condiziona le cronache politiche, economiche e giudiziarie, sia veramente guidata da un materassaio toscano. La biografia di Gelli racconta un uomo capace di barcamenarsi fra nazisti e partigiani, ma pur sempre un «pesce piccolo» privo di cultura e mezzi economici adeguati al ruolo. La magistratura si interessa a lui nel 1981 sulla scia del crack Sindona. Durante la perquisizione di una sua aziendina, la Finanza trova un elenco di quasi mille nomi, fra cui quello del proprio comandante. Ma ce n’è per tutti i gusti, da Sindona a Calvi, da Noschese a Claudio Villa. E poi ministri, militari, persino due monarchi: Vittorio Emanuele IV e Silvio I (Berlusconi). Un direttorio della nazione con tanto di programma anticomunista e autoritario, il Piano di Rinascita Democratica, che si propone di «ripulire il Paese dai teppisti ordinari e pseudopolitici» e di ridimensionare il peso dei magistrati, dei sindacati e della Rai.
La combriccola muove alla conquista del Corriere della Sera. Indotti a compiere l’incauto acquisto, gli eredi del fondatore Angelo Rizzoli si indebitano con le banche dei piduisti, che diventano così i padroni del giornale. Sarà l’inizio di una serie di guai che trascineranno nella polvere la Rizzoli e l’Ambrosiano. Ma non c’è trama oscura, omicidio o strage di quegli anni che non porti alla ribalta la P2, marchio di garanzia per ogni nefandezza. A distanza di tempo le responsabilità politiche sembrano prevalere su quelle penali (che pure ci sono: Gelli è stato condannato a 12 anni per la bancarotta dell’Ambrosiano). Ma nessuna carta, ripetiamo, potrà mai svelare il mistero del potere di quell’omino. Perché esso è celato nella psiche della classe dirigente che a lui si affidò, mossa da avidità e spirito gregario. Gli italiani di successo sono individualisti a parole, ma cercano sempre di legarsi a un carro, consapevoli che da noi contano più le relazioni che le azioni e che per diventare ancora più potenti non serve conoscere i problemi, ma le persone giuste. Gelli è l’intermediario di cui i si fidano perché non fa loro ombra. Eppure, vent’anni dopo lo scandalo, il «Venerabile» si considererà soprattutto un precursore: «Giustizia, tv, ordine pubblico. Tutto si realizza pezzo a pezzo. Dovrei chiedere i diritti d’autore…». /