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 2010  ottobre 19 Martedì calendario

Garofalo Lea

• 1974 (~), 2009. Compagna di uno dei soldati della faida dei calabresi di Petilia Policastro (Crotone) trapiantati a Milano, poi collaboratrice di giustizia, scomparve il 24 novembre 2009: si seppe poi che era stata uccisa e il suo corpo sciolto nell’acido • «[...] La donna nel 2002 aveva iniziato a collaborare con l’Antimafia nelle indagini sulla faida tra i Garofalo e il clan rivale dei Mirabelli. Poi, nel 2006, aveva abbandonato il piano di protezione e lasciato la località segreta dove viveva. Nelle sue dichiarazioni, Lea Garofalo aveva parlato anche degli omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni Novanta a Milano. Come quello di Antonio Comberiati, nel 1995, nel quale era stato coinvolto anche il fratello. Ma le indagini avevano sfiorato anche il convivente Carlo Cosco. Entrambi vivevano nello stabile di viale Montello, 6, nel centro di Milano. [...] E qui la donna s’era recata il 24 novembre 2009 per una riunione di famiglia con alcuni parenti per decidere dove la figlia avrebbe proseguito gli studi dopo le superiori. Le sue tracce si sono perse nel pomeriggio quando alcune telecamere l’hanno inquadrata nella zona del palazzo e lungo i viali che costeggiano il cimitero Monumentale. Era sola, la figlia e il padre — lo stesso Carlo Cosco finito poi in manette —, erano in stazione Centrale ad attenderla insieme al treno che avrebbe dovuto riaccompagnarla al Sud. Un treno sul quale Lea Garofalo non è mai salita» (Cesare Giuzzi, “Corriere della Sera” 18/10/2010) • «[...] A decidere la eliminazione della donna è stato il suo ex convivente Carlo Cosco, con il quale Lea [...] ebbe la figlia Denise. Secondo il procuratore aggiunto Nobili e i pm Tatangelo e Mannella, Cosco, appartenente a una ’ndrina di Petilia Policastro (Crotone) attiva a Milano, voleva sbarazzarsi di un testimone pericoloso che conosceva a fondo affari e segreti della famiglia. A partire dall’omicidio di Antonio Comberiati, “soldato” ucciso nel 1995 per il controllo dello spaccio della droga in piazzale Baiamonti. Lea aveva raccontato agli inquirenti che erano stati Carlo e suo fratello Giuseppe, ma senza dare “esaustivi elementi di colpevolezza”, si legge agli atti. [...] Il compagno lo lascia nel ’96. Lea Garofalo vuole cambiare vita con la figlia, ma non sa che così firma la sua condanna a morte. Lui è in carcere e quando lei glielo dice, reagisce con violenza. “In due occasioni tenta di aggredirla nella sala colloqui di San Vittore. Non sopporta lo sgarro”, scrive Gennari. Chiede a un compagno di cella di ucciderla per lui e di far sparire il cadavere nell’acido. È “scelta che non è dettata da crudeltà o sadismo, ma da una esigenza strettamente pratica”, quella di poter interrogare Lea, costringerla a rivelare cosa aveva confessato agli inquirenti e far credere ad un suo allontanamento volontario per una fuga d’amore. Il compagno diventerà pentito e racconterà tutto ai pm. Cosco decide di fare da sé. Torna libero e quando la donna lascia la protezione la riavvicina con la chimera di una nuova convivenza nella lontana Campobasso, in realtà vuole solo cogliere il momento opportuno per ucciderla. Non dura: un mese dopo Lea lo caccia di casa. I due restano in contatto e quando si rompe la lavatrice, Cosco intravede la prima occasione. Le manda un suo uomo (Massimo Sabatino) che, travestito da tecnico, deve ammazzarla. Lea se ne accorge e letteralmente lo stende a pugni e a calci sfidandolo: “Se sei venuto ad uccidermi, fallo subito”. Anche stavolta è un confidente che, raccolta l’informazione, la gira ai pm. Cosco ci riprova il 24 novembre. E ci riesce, secondo i Carabinieri, “approfittando di un grave errore” della donna, “una scelta forse dettata dalla volontà di sistemare Denise o forse indotta da un senso di scoramento”, dopo che le sue rivelazioni non “avevano sortito effetto alcuno”, sottolinea Gennari. Denise vuole fare l’Università e Lea accetta di parlarne con Carlo. La ragazza va a casa degli zii (Giuseppe e Vito, anche loro arrestati come i complici di Carlo, lavoravano in subappalto in un cantiere della MM 5) mentre padre e madre si vedono da soli. Sono le 18: Denise non rivedrà più Lea. Quando alle 23.30 la donna non si ripresenta, scatta la messinscena di Carlo. L’uomo l’aveva consegnata a Sabatino e a Carmine Venturini che l’avevano caricata su un furgone e portata in un magazzino all’aperto località San Fruttuoso di Monza dove era stata interrogata, picchiata, uccisa e immersa nell’acido dai fratelli di Carlo. Cosco fa finta di cercarla, ma il giorno dopo Denise si insospettisce per l’atteggiamento del padre: “Mentre io piangevo, lui e i parenti stavano a giocare al videopoker in un bar, parlando e chiacchierando, ridevano a voce alta”. A febbraio, Cosco e Sabatino vengono arrestati per il tentativo di sequestro. Il resto lo fanno le indagini, le intercettazioni e i tabulati telefonici che ad aprile registrano anche le minacce di Vito Cosco dopo che Denise lascia la casa della sorella della madre a Petilia. L’uomo teme che anche lei si sia pentita e chiama la sorella di Lea che a sua volta telefona a Denise: “Tuo zio sta facendo problemi! (...) Dicono che ti vogliono parlare e poi vai dove te ne vuoi andare (...) altrimenti hanno detto che ti vengono a prendere loro!” Risposta: “Così fanno fuori pure me!”» (Giuseppe Guastella, “Corriere della Sera” 19/10/2010) • «Lea Garofalo era donna di ’ndrangheta. E Carlo Cosco, padre di sua figlia, l’uomo che l’ha fatta sciogliere nell’acido, senza di lei sarebbe rimasto un balordo poveraccio, un criminale da quattro soldi. Non avrebbe mai contato nulla nella geografia delle cosche calabresi al Nord. Quando piazzale Baiamonti, pieno centro di Milano, a 200 metri dalle discoteche delle veline, negli anni 90 era una zona di spaccio fondamentale per le ’ndrine, Cosco “lavorava” solo perché era l’uomo di Lea. Era lei che l’aveva “introdotto”. E poi l’ha raccontato: “Se Carlo suo fratello avevano uno spazio nella vendita di stupefacenti, lo dovevano al fatto che Carlo era convivente mio”. [...] È una storia che inizia tra il 1994 e il 1995. Le cosche di Petilia Policastro si sono da poco appropriate di un palazzo in quella che oggi è la Chinatown milanese, al 6 di viale Montello. Allora si vendono chili di eroina e cocaina. Si guadagna, nel “palazzo dei calabresi”. E i soldi della droga fanno esplodere rivalità. In quello scacchiere Lea Garofalo è un personaggio importante, sorella di Floriano Garofalo, capo indiscusso di una cosca di Petilia. Nel palazzo, due gruppi rivendicano l’egemonia dello spaccio. I primi due morti ammazzati sono i “protettori” dei Cosco. A fine ’94 si proclama “reggente” del bunker di viale Montello un tale Antonio Comberiati, che nel cortile dello stesso palazzo viene però riempito di piombo il 17 maggio 1995. Omicidio tutt’ora irrisolto, ma nei suoi verbali da collaboratrice, Lea Garofalo ha rivelato i nomi degli assassini: il suo ex convivente e suo fratello, i due Cosco. Il racconto di quella sera che Lea fornisce ai magistrati è agghiacciante: “Stavo dormendo, ero a casa con la bambina e sento sparare, mi sono affacciata fuori dalla finestra e ho visto che c’era il corpo di Antonio Comberiati disteso a terra...”. Accorrono le ambulanze e la polizia, passano venti minuti, poi “arriva mio cognato a casa mia — ricorda la donna — ed era abbastanza agitato, e mi dice ‘minchia, non voleva morire, sembrava che aveva il diavolo nel corpo’, e io gli chiesi ma è morto? Sì, sì. Poi è venuto il mio convivente, e gli dico tu dov’eri? Ero ‘al Panino’ (un bar vicino, ndr)”. Conclusione: “Ma lui non c’era ‘al Panino’ perché erano lì, uno controllava il portone, l’altro ha sparato, sono usciti, hanno buttato l’arma, hanno fatto il giro del piazzale e poi si sono trovati ‘al Panino’, questi sono i fatti, comunque a sparare è stato ‘Smith’”. È intorno al segreto di questo omicidio che ruota da quel momento tutta l’esistenza di Lea Garofalo. Il suo convivente, un anno dopo, viene arrestato per altre storie; lei gli comunica che lo vuole mollare. Nella sala colloqui del carcere di San Vittore scoppiano liti: “Quando gli ho detto che avevo intenzione di lasciarlo e di andarmene via, mi è saltato addosso”. Lea non porta più la bambina alle visite. È un’umiliazione: Cosco si vergogna coi compagni di cella. La sua ex donna diventa il suo supplizio. E custodisce il segreto dell’omicidio del ’95. Quando inizia a collaborare con la giustizia, dal 2002, Lea scrive la sua condanna a morte, che verrà eseguita sette anni dopo. Fino al 2009 la donna rimane nel programma di protezione con la figlia. Cosco cerca di scovarla. Ancora una volta lei si prenderà gioco di lui: “Hai speso un sacco di soldi per sapere dov’ero e sei sempre arrivato tardi”. Quando esce dal servizio di tutela, per sua scelta, sa che potrebbe essere ammazzata da un giorno all’altro. Ne ha la conferma quando le si presenta in casa, a Campobasso, un finto idraulico col compito di rapirla. Lei si insospettisce e reagisce come un leone. Ha raccontato la figlia: “Gli ha detto che se era venuto per ucciderla poteva farlo subito”. Dopo la reazione, l’uomo scappa. Dentro la cassetta che abbandona, i carabinieri trovano una sorta di campionario per la tortura (nastro adesivo, forbici, un apparato per provocare delle scosse elettriche). La cosca, prima di ammazzarla, doveva sapere cosa avesse raccontato nei suoi verbali. Lea Garofalo alla fine è morta perché s’è fatta attirare a Milano dall’ex convivente, con la scusa di dover discutere il futuro della figlia Denise [...] Dopo la scomparsa della madre, la ragazza torna in Calabria. Non si fa trovare. La famiglia di suo padre la cerca, ha paura di cosa possa spiegare ai carabinieri; lei rimane nascosta. A un parente manda questo sms, che sembra il testamento della madre: “Lo so k per la vostra mentalità sto sbagliando, ma voglio avere la possibilità di fare una vita diversa”» (Michele Focarete Gianni Santucci, “Corriere della Sera” 19/10/2010).