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 2010  ottobre 19 Martedì calendario

I FONDI ETICI: UN BOOM IL TRUCCO?

Una crisi d’identità, che rischia di trasformarsi in crisi di credibilità. L’affronta la finanza etica, o so­cialmente responsabile (sri), quel modo di intendere l’investimento finanziario che considera, oltre ai risultati economici, an­che la dimensione sociale e ambientale dell’attività di un’impresa. Ed è singolare che ciò stia accadendo in una fase in cui la finanza etica si sta imponendo a suon di numeri.

Lasciano pochi dubbi, infatti, gli ultimi da­ti diffusi da Eurosif (vedi box in alto), che hanno fotografato una crescita dell’87% in due anni (a 5mila miliardi di euro) delle ri­sorse finanziarie gestite con criteri sri in Europa. E non lasciano molti dubbi nep­pure i confronti che spesso sono stati com­piuti per stabilire se è vero, o se è un pre­giudizio, che investendo eticamente si gua­dagna meno. Nel 2009, ad esempio, il 65% dei fondi etici statunitensi ha fatto meglio del proprio ’benchmark’ (l’indice tradi­zionale di confronto), mentre un’indagine effettuata da Ecpi, società di consulenza e analisi sulla sostenibilità (fra pochi giorni presenterà il primo indice italiano, vedi box a destra), ha mostrato come attraverso l’u­tilizzo di criteri esg (ambientali, sociali e di governance) si sia potuto prevedere con largo anticipo circa il 70% dei fallimenti, avvenuti negli ultimi anni, di società rite­nute affidabili quanto a merito di credito.

Perché, allora, la finanza etica suscita per­plessità? Perché in alcuni casi ha dato l’im­pressione di aver un po’ smarrito la busso­la, operando scelte che sono parse incer­te, a volte apertamente contraddittorie, non garantendo sempre quella trasparen­za informativa che ne costituisce uno dei caratteri identitari più forti.

Una recente ricerca condotta fra i fondi sri francesi da parte dell’associazione ecolo­gista ’Les amis de la terre’, ad esempio, ha evidenziato come su 89 fondi analizzati ben 71 avessero investito in almeno una fra quindici multinazionali protagoniste di comportamenti ’socialmente irresponsa­bili’, finiti anche all’attenzione dei media. Tra esse, France Telecom, accusata di po­litiche gestionali che avrebbero indotto u­na lunga catena di suicidi fra i suoi dipen­denti (anche Etica sgr, la società di gestio­ne del risparmio del Gruppo Banca Etica, ha disinvestito dal colosso transalpino del­le tlc per gli stessi motivi); Shell, sul banco degli imputati per l’elevatissimo impatto ambientale delle sue attività nel delta del Niger; Rio Tinto, a causa dell’inquinamen­to provocato dallo sfruttamento di minie­re in Indonesia (anche il fondo pensione governativo della Norvegia, uno dei prin­cipali attori sul mercato sri internaziona­le, ha escluso la società per «gravi danni ambientali»); e Total, per le relazioni d’af­fari con il regime militare in Myanmar.

A sollevare polemiche hanno contribuito anche i grandi indici etici internazionali, come il Dow Jones sustainability index, sul­la base del quale oggi si investono nel mon­do oltre 8 miliardi di dollari, o l’indice eti­co della Borsa di Londra, Ftse4Good. È ca­pitato, infatti, che alcune società compa­rissero in un indice e fossero escluse dal­l’altro. Emblematico il caso della francese Sodexo, gigante della ristorazione colletti­va: accusata dai sindacati (con un esposto anche all’Ocse) di non rispettare i diritti dei lavoratori, è stata esclusa da Ftse4Good, e ha ricevuto un downgrade dall’autorevole agenzia europea di rating etico Vigeo. Ma è ancora presente fra i titoli più sostenibi­li del pianeta selezionati da Dow Jones, in­sieme a quello di Finmeccanica, attiva in uno dei settori più controversi agli occhi degli investitori sri, quello degli armamenti (tra gli altri ambiti rifiutati, nucleare, ta­bacco, gioco d’azzardo, alcol, pornografia). Ma il caso più eclatante riguarda Bp. La ’marea nera’ è infatti costata a British Pe­troleum l’esclusione dagli indici etici di Dow Jones, decisa a poco più di un mese dall’esplosione della piattaforma Deepwa­ter Horizon, seguita a giugno dal down­grade di Vigeo. Ftse4Good, invece, ha e­scluso Bp solo ai primi di settembre, con un ritardo apparso inspiegabile ai più.

Di chi ci si può fidare, allora, per investire in modo responsabile i propri risparmi? Pur poggiando su basi simili, infatti, i vari modelli di rating etico utilizzati palesano differenze a volte stridenti, a cominciare dalla possibilità di investire in settori con­troversi. Spesso, poi, c’è poca trasparenza sui motivi di inclusioni ed esclusioni. E mancano controlli effettivi su chi mette sul mercato prodotti con l’etichetta ’etico’, ’socialmente responsabili’ o ’sostenibi­le’.

Ma, soprattutto, sembra che i modelli di valutazione della sostenibilità siano pre­valentemente ’formali’, che guardino cioè più alla presenza di un bi­lancio sociale, di un codice etico o di certificazioni am­bientali che non a verifica­re che cosa della società in oggetto pensano coloro che intrattengono con essa re­lazioni dirette e, ancor di più, chi ci lavora, i cosid­detti stakeholder. Che po­trebbero testimoniare se le attività sindacali sono dav­vero permesse, se la conci­liazione vita-lavoro viene favorita, se le donne posso­no andare serenamente in maternità o vengono di­scriminate, se c’è mobbing o peggio (magari qualche dipendente ar­riva a suicidarsi), se i contratti sono rispet­tati nella sostanza, se vi sono procedimen­ti penali a carico della dirigenza, e così via. Forse è ancora impresa troppo grande u­na definizione univoca in tutto il mondo di che cosa è etico, sostenibile o socialmente responsabile, ma sta di fatto che tutti, a pa­role, si richiamano agli stessi concetti, sal­vo metterli in pratica diversamente. Qual­cosa di più, quindi, per evitare che la fi­nanza etica si delegittimi con le sue stesse mani, forse si può fare. Ad esempio, defi­nire uno schema di criteri di sostenibilità validi per tutti, obiettivo perseguito dal pro­getto Gisr (Global initiative for sustainabi­lity ratings), oppure una ’lista nera’ di set­tori e attività controversi da cui, se ci si vuo­le chiamare ’fondo etico’, non si può at­tingere a qualsiasi latitudine, .

La finanza etica è nata da chi voleva dire no alla guerra del Vietnam e al Sudafrica del­l’apartheid: in quei casi i confini erano cer­tamente più chiari. Oggi è aperta la diffici­le sfida di un’economia dalle ’mani pulite’.