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 2010  ottobre 17 Domenica calendario

LA SCOMMESSA FOLLE DEI TANGERINI


«Dieci punti? E dove li tiro fuori?». Ian Holloway è l’allenatore più originale della Premier League. Vi ha portato il Blackpool, inaspettatamente, 39 anni dopo l’ultima volta, e in Inghilterra è un manager di culto. Così, in agosto, chiamato a commentare una quota dei bookmaker che avrebbe pagato appena sette volte la posta giocata se i Seasiders avessero ottenuto meno di 10 punti in tutto il campionato, invece di attaccare il mantra del bravo allenatore (tipo: ce la metteremo tutta, possiamo farcela e bla bla bla), ha preferito la sana onestà: «E dove li tiro fuori 10 punti?».
Invece li ha ottenuti in sole sette partite e ora si trova anche davanti a squadre come Liverpool, Everton e West Ham. Eccolo il Blackpool di Ian Holloway che, principale candidato all’ultimo posto per tutti gli allibratori alla vigilia del torneo, per il momento sta stupendo tutti. Anche se la sua è una stagione sulle montagne russe: uno strepitoso successo per 4-0 alla prima giornata sul Wigan («Adesso faccio una foto alla classifica e mi ritiro da vincente», disse Holloway), debacle 0-6 in casa dell’Arsenal e uno 0-4 a Stamford Bridge, quindi l’eliminazione in League Cup ad opera del Mk Dons, terza divisione. Ma anche una memorabile vittoria contro il Liverpool ad Anfield Road. Eccolo, il movimentato inizio di stagione dei Tangerines. Tangerines, già: 72 anni fa, un dirigente - Albert Hargreaves - vide giocare la nazionale olandese e fu colpito dai colori della casacca. Li importò. Ma guai a sostenere che il Blackpool gioca in arancione. È tangerino, e non si discute. «C’è differenza - ha scritto lo storico del club, Roy Calley - non so quale sia, ma c’è differenza».
Color tangerino è anche il bandierone che, nel giorno della promozione in Premier, è stato issato sulla Blackpool Tower, un surrogato di Torre Eiffel che da poco più di cent’anni è la principale attrazione turistica di quella che è tuttora la stazione balneare più nota d’Inghilterra. Adagiata sulla costa del Mare d’Irlanda, nella contea del Lancashire, meno di due ore di treno da Manchester e da Liverpool, Blackpool ha però modificato, nel corso degli anni, l’identikit del suo turista. Per decenni è stata sinonimo di vacanza per la working class inglese. Divertimenti low cost, quando ancora il concetto di low cost non esisteva: una stazione balneare alla buona, primo vero esempio di turismo di massa a partire da fine Ottocento. Pleasure beach, il leggendario luna park a due passi dal mare, fu inaugurato nel 1908 e ancora esiste: lì si trovano montagne russe che metaforicamente ricordano tanto l’inizio stagionale del club. Ma Pleasure Beach è una delle poche cose dello spirito della Blackpool amata dalla classe operaia che ancora resta. Negli anni sono cambiate tante cose, anche e soprattutto sotto l’aspetto sociale: ora la città è la capitale degli addii al celibato e al nubilato, dei club equivoci: divertimentificio anticonformista nel suo conformismo, che ha perso una parte della sua storia, ma ne ha creata una nuova. Tutto si evolve: le illuminazioni pacchiane che l’hanno caratterizzata per anni, hanno trovato ora lo zenit nel Brilliance scheme di Birely street, un sistema di sei archi d’acciaio alti cinque metri che si intersecano per tutta la lunghezza della via, sparando musica a volume assordante e creando giochi di luce anche di cattivo gusto estetico.
Il resto l’ha fatto l’euro: una settimana in Algarve, ora, per un inglese può costare meno che una settimana a Blackpool, e così da una punta di 17 milioni di turisti (nel 1992), si è passati a 10. Calo netto, l’economia della città ne ha risentito, ma è cifra comunque considerevole, anche perché a Blackpool posto ce n’è. Secondo i blackpudlians, la città avrebbe da sola più posti letto dell’intero Portogallo. Forse è solo una leggenda, forse no. Ma basta farsi un giro su Hornby road, strada lunga oltre un km a pochi passi dal centro, una sequenza di hotel, bed and breakfast e residence, per capire che potrebbe essere anche vero.
E poi c’è il calcio, appunto. Non è certo una società senza storia, il Blackpool. In 123 anni il club ha scritto pagine indelebili del calcio inglese. Vinse la FA cup nel 1953, in quella che restò famosa come la «Matthews final», per la strepitosa prestazione dell’allora 38enne Stanley Matthews. Finì 4-3 contro il Bolton, che era in vantaggio 3-1, e tre reti le segnò Stan Mortensen, unico giocatore a segnare una tripletta in una finale di FA cup a Wembley. Non bastò per lasciare il suo nome sulla partita, ma tant’è: fuori da Bloomfield road, lo stadio dei Tangerines, c’è una statua che lo ricorda quale leggenda del club. Anche Bloomfield road merita un capitolo a parte. È in ristrutturazione dal 2003 e, da anni, i cantieri fanno parte dell’arredo urbano. L’ultima accelerazione, dovuta alla promozione, ha portato tutto a compimento, da pochi giorni però (non a caso, delle prime sette gare, cinque il Blackpool le ha giocate in trasferta). Tanto che, sino a un mese fa, sulle transenne che limitavano l’accesso a un piccolo cantiere interno allo stadio si poteva leggere il cartello «aperto per lavori, come al solito». In fondo, è puro stile Blackpool.
La squadra? Nel 2000, appena dieci anni fa, era in League Two, l’equivalente della nostra Seconda Divisione. Poi sei stagioni in League One, tre in Championship, adesso una Premier in cui non pensava proprio di arrivare. Un club che in estate ha cambiato sponsor, sottoscrivendo il contratto con una società di prestiti e nella stessa settimana in cui ha presentato l’accordo ha visto lo sponsor essere sanzionato dall’Autorità nazionale di controllo per pubblicità ingannevole, con una figuraccia davvero niente male. Così, tanto per non farsi mancare niente. Compreso un mercato schizofrenico: zero acquisti per diverse settimane, poi sei arrivi ufficializzati in due giorni.
Secondo Blackpool Gazette, il quotidiano locale, sono stati 53 i pazzi scommettitori che hanno puntato sulla vittoria del campionato da parte dei Tangerines, quotata 5000-1 alla vigilia del torneo. Ma Holloway, linguaggio colorito e metaforico, faccia di gomma e la propensione a gesticolare come un italiano (capacità sviluppata a casa: tre dei suoi quattro figli sono non udenti) non ha puntato: «Giochiamo contro i più ricchi del mondo, gente che continua a buttare denaro. Non dico che è sbagliato, ma che stanno affamando il mondo sì. Continuo a non capire perché accada in questa civiltà. Ma lasciamo stare: voglio dare retta a mia moglie che mi dice di attenermi al calcio».