Marica Di Pierri, il manifesto 17/10/2010, 17 ottobre 2010
NUSSUNO FERMA I VELENI DI EL SANTO
Se fosse vivo, oggi Miguel Angel Lopez avrebbe 10 anni, frequenterebbe il collegio e vestirebbe con il gilet blu e i calzettoni bianchi, come tutti i ragazzini messicani di quell’eta. Ma Miguel, due anni e mezzo fa, è morto dopo 20 giorni di agonia, lasciando un senso di impotenza e di rabbia tra i cittadini di El Salto, municipio di 100.000 anime nello stato di Jalisco, in Messico. Il dramma di Miguel non ci riporta alle tante morti accidentali causate da sparatorie, regolamenti di conti tra cartelli della droga o incidenti stradali, pur comuni in questo paese segnato da 6mila chilometri di vena scoperta che corre lungo la frontiera nord.
Quando di anni ne aveva da poco compiuti otto, mentre giocava a pochi passi da casa, nella colonia Azucena, Miguel è semplicemente caduto nel fiume: fulminato dalla contaminazione che ha reso El Salto il fiore all’occhiello dell’inferno in terra messicano. Il referto: morte per ingestione di arsenico, un livello superiore di 400 volte rispetto alla concentrazione massima prevista per legge.
Guadalajara scarica qui
El Salto ha un che di lugubre, di spento, nonostante il calore della sua gente. La compresenza di un enorme polo industriale e di una discarica di 71 ettari nella quale affluiscono i rifiuti urbani di Guadalajara, la seconda città del Messico, incombe sulle vite dei 150.000 abitanti di El Salto e della vicina Juanacatlàn. Il maestoso Fiume Santiago, vecchia gloria del luogo, con le sue grandi cascate un tempo meta turistica ambita dai cittadini di tutto lo stato, riceve 1000 litri di acque reflue al secondo dalle vicine città e gli scarichi di circa 250 industrie - tra cui Nestlè, Roche, Hitachi, IBM etc. - hanno distrutto quella che 30 anni fa era una zona incontaminata e rigogliosa. Dalle rapide del fiume, oggi ridotto a un corso di schiuma opaca, la fauna ittica è sparita dai primi anni ’80. Gli alberi da frutta che affollavano gli argini sono stecchiti come carcasse al sole. La stessa aria di El Salto è irrespirabile. Arrivando in macchina lungo l’ampia strada che collega la zona al cono urbano di Guadalajara si è colpiti dalla violenza degli odori sprigionati dai terreni e dai corsi d’acqua che segnano il paesaggio.
Tumori e leucemie a gogò
Gli indici di incidenza di malattie degenerative come tumori e leucemie che si registrano qui sono i più alti del Messico. Nell’isolato in cui abita la famiglia che ci accoglie, i Gonzales - un isolato di una 20ina di case - negli ultimi due anni sono state registrate sei morti per cancro, e altri due vicini sono attualmente in fin di vita. I Gonzales sono tra i promotori del comitato «Un Salto di Vita», nato per difendere la comunità dalle inadempienze criminali delle imprese e dalla colpevole inerzia delle istituzioni. Una lotta che gli abitanti portano avanti con forza, ma che assomiglia a una battaglia contro i mulini a vento tale è la sordità del governo statale.
El Salto è uno dei municipi più contaminati del paese e rappresenta l’emblema dello sviluppo «alla messicana», ma non è che uno soltanto degli innumerevoli esempi del macello ambientale, sociale ed economico che è diventato il Messico, in pochi decenni. La mappa della devastazione ambientale tocca zone urbane, rurali e indigene, costringendo circa 600.000 messicani a lasciare il paese ogni anno e molti di più ad abbandonare le comunità per spostarsi nelle grandi metropoli. Le origini di questo processo di spoliazione e sfollamento massivo sono da cercare indietro negli anni, ripercorrendo le scelte economiche dei governi succedutisi negli ultimi decenni e le riforme strutturali spinte dalle organizzazioni finanziarie internazionali. Ma sono stati l’apertura del paese ai capitali stranieri e le politiche di sviluppo neoliberali iniziata negli anni ’70 a permettere ai grandi gruppi economici di muoversi indisturbati, sfruttando risorse naturali senza il vincolo di una normativa organica in materia ambientale. I trattati di libero commercio come il Nafta, in vigore dal ’94, hanno definitivamente compromesso la sovranità economica ed alimentare della popolazione.
Agrobusiness e speculazione
Grazie alle speculazioni finanziarie, all’agrobusiness e all’invasione degli ogm, i prezzi degli alimenti sono raddoppiati nel giro di pochi anni senza che a ciò corrispondesse un aumento dei salari. L’inflazione incontrollata, assieme alla deruralizzazione di intere regioni e alla conseguenze urbanizzazione che si espande a macchia d’olio ha avuto come risultato un ulteriore aumento della povertà.
Dal punto di vista politico, il paese ha conosciuto nell’arco di neanche trent’anni ben due frodi elettorali. L’ultima, nel 2006, ha portato al potere il candidato di estrema destra Felipe Calderòn a scapito dell’avversario di centrosinistra Obrador aprendo una pericolosa breccia nel sistema democratico messicano. Dalla sua elezione la situazione del paese è peggiorata sia dal punto di vista economico che della sicurezza. Con 110milioni di abitanti di cui sessanta sotto la soglia di povertà le statistiche sociali mostrano oggi la fotografia di un paese in ginocchio.
Il fallimento delle ricette del Fmi
Una realtà distante anni luce da quella disegnata dal Fmi, secondo cui il Messico avrebbe il secondo reddito pro capite e il più alto potere d’acquisto dell’America Latina. Queste cifre rappresentano il sintomo di una società che tende a generare una ridottissima élite che detiene gran parte della ricchezza e a mantenere dall’altro lato folle crescenti di poveri privati. È infatti messicano l’uomo più ricco del mondo: Carlos Slim, con un patrimonio che sfiora i 70 miliardi di dollari, mentre il reddito del 70% della popolazione raggiunge appena i due dollari al giorno. Lo spalancamento progressivo di questa forbice, passato attraverso lo smantellamento dello stato sociale e la privatizzazione dei principali settori strategici dello stato - trasporti, telecomunicazioni, banche, petrolio, sistema elettrico, industrie etc. - ha disegnato una mappa di esclusione sociale e acceso ovunque conflitti che il governo non esita a reprimere nel sangue.
Conflitti e guerra sporca
Conflitti i cui leader, assieme a difensori di diritti umani, attivisti, giornalisti scomodi e intellettuali non allineati sono bersaglio di una strategia di criminalizzazione promossa dal governo e messa in atto con meticolosa cura dalla forze armate, in una guerra sporca contro la popolazione civile invisibile ai media e agli organismi internazionali. Analizzata da vicino, la struttura economica messicana costituisce di per sé un paradosso: se una fetta enorme della ricchezza proviene dai proventi illeciti del narcotraffico e dagli imperi economici riconducibili a una manciata di potenti famiglie, il resto della torta si compone di una rete amplissima di economia informale che si muove nelle piazze e nelle case.
In Messico circa la metà dei lavoratori non gode di previdenza né assistenza sanitaria, è questa la ragione che costringe molti anziani a continuare a lavorare sulle strade in una corsa quotidiana alla sopravvivenza che dura tutta la vita. Se la situazione economica continua a incidere negativamente su fette crescenti di popolazione, meglio non va dal punto di vista della pace sociale. Anche su questo versante il paese è immerso in una spirale di violenza senza precedenti.
I giornali fanno mostra di immagini cruente che raccontano l’orrore quotidiano: decine di corpi mutilati che saltano fuori da una parte all’altra del paese. Le cifre dei caduti nella guerra di Calderòn contro il narcotraffico hanno le dimensioni di una guerra civile. Il governo continua a utilizzarle per giustificare gli enormi fondi stanziati per la sicurezza e la crescente presenza militare Usa ma non è riuscito a insabbiare i tanti scandali che hanno svelato negli ultimi anni la rete di fitte connessioni tra cartelli, politica e forze armate, tale di far parlare diversi analisti messicani ed internazionali di un «narco-stato».
La virulenza del cancro che ha intaccato al midollo la struttura politica, economica e sociale del Messico non basta tuttavia ad appannare l’immagine falsata e edulcorata che all’estero si percepisce del paese. Complice, un raffinato sistema di propaganda costruito grazie al controllo dei mezzi di comunicazione che sono in mano a poche holding di potere per lo più colluse con la politica. Primo, secondo, terzo e quarto potere tutti saldamente in mano alla stessa élite. A beneficio di pochi e, come sempre, in un copione già visto in molti altri paesi del mondo, a scapito della maggioranza.