Galapagos, il manifesto 17/10/2010, 17 ottobre 2010
TUTTI CONTRO LO YUAN
Domani a Shanghai inizierà il gran consulto sulle monete. A presiedere la riunione una doppia presidenza: Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca centrale cinese e Dominique Strauss-Kahn, francese, ma soprattutto direttore del Fondo monetario internazionale.Ufficialmente si tratta di una conferenza di banchieri centrali (di fatto l’Fmi) per discutere di politiche macroprudenziali per favorire la stabilità finanziaria. In realtà si cercherà soprattutto di attenuare le tensione valutarie che fanno scrivere ai commentatori che siamo di fronte a una «guerra delle monete».
I protagonisti di questa guerra sono le maggiori aree mondiali, ma quasi tutti puntano il dito contro la Cina che terrebbe lo yuan artificialmente svalutato. Inondando così di merci i paesi concorrenti. A cominciare dagli Usa che hanno un deficit di commercio estero gigantesco verso Pechino. La conferma si è avuta giovedì con la pubblicazione negli Usa dei dati del commercio estero: il disavanzo verso la Cina in agosto è salito a 28 miliardi di dollari, quasi il 60% del deficit complessivo del paese. Ma c’è un «piccolo» particolare che non va dimenticato: la Cina è il primo acquirente mondiale di bond governativi statunitensi. Come dire, inonda il mercato Usa di merci (anche se molte prodotte da multinazionali statunitense) ma è acquista tonnellate di buoni del tesori statunitensi, alleviando così i problemi di finanziamento del deficit Usa.
Ma è veramente sottovalutato (o manipolato, come spesso viene scritto) lo yuan? E di quanto? Alla prima domanda la risposta è «si». Di quanto, però, nessuno può determinarlo. Che sia sottovalutato ne sono consapevoli anche i cinesi. Non è un caso che a giugno il governo cinese (anche per allentare le tensioni valutarie già presenti) annunciò la volontà di lasciare rivalutare il cambio più rapidamente di quanto avesse fatto (molto poco) fino ad allora. In poco più di tre mesi lo yuan ha conquistato circa il 3%, con una accelerazione nelle ultime sei settimane. Quindi, un trend alla rivalutazione c’è, ma con questo ritmo sarebbero necessari tempi lunghi. Troppo lunghi per dare fiato alla economia Usa e politicamente anche a Obama che tra alcune settimane deve affrontare le elezioni di mezzo termine.
A questo punto si è mossa la politica statunitense nella forma peggiore: le politiche protezionistiche. In altre parole se gli stati con monete sottovalute non provvedono a rivalutare, il Congresso Usa applicherà dazi sulle merci importate da quei paesi. I paesi «canaglia» non sono più quelli che alimentano il terrorismo, ma quelli che manipolano i cambi. Il Tesoro Usa ha già pronto uno studio su questi paesi canaglia e avrebbe dovuto presentarlo venerdì sera al congresso. Ma c’è stato uno stop: è stato deciso che il rapporto sarà presentato solo dopo la riunione del G20 che si terrà a Seul l’11 e il 12 novembre. Obama ha deciso di rinviare o scontro frontale con la Cina, dando la possibilità a Pechino di accelerare nella direzione di una rivalutazione sostanziosa dello yuan.
Contro lo yuan sottovalutato si muovono anche altri paesi come il Giappone. Le scorse settimane per frenare la caduta del dollaro e l’eccessiva rivalutazione dello yen (che ostacolerebbe l’export nipponico negli Usa) ha effettuato vendite miliardarie di yen acquistando dollari. La manovra è parzialmente risuscita, nel senso che la caduta del dollaro sullo yen è stata almeno rallentata, ma la questione dei tassi di cambio rimane aperta. Nel senso che anche il Giappone preme per una rivalutazione dello yuan in grado di aprire maggiormente il mercato cinese alle merci giapponesi, senza sbarrare l’export verso gli Usa.
In mezzo c’è l’Europa. L’apprezzamento eccessivo dell’euro sul dollaro rischia di frenare eccessivamente l’export verso gli Usa. Tenendo però presente che gli scambi tra Ue e Usa non presentano squilibri enormi, visto che il 2009 si è chiuso con un saldo attivo (per l’Europa) di una sessantina di miliardi. Surpus che potrebbe essere riassorbito con l’attuale svalutazione della moneta statunitense. Al tempo stesso una rivalutazione dello yuan forse consentirebbe alla Ue di ridurre l’enorme disavanzo commerciale che ha con la Cina: quasi 300 miliardi di euro nel 2009. Anche se gli ostacoli all’export verso Pechino non sembrano provenire tanto dal cambio, ma da ostacoli burocratici e amministrativi delle autorità di Pechino. L’accusa che avanza l’Europa è ai sussidi statali cinesi e a una serie di procedure di dumping sui moltissimi prodotti che potrebbero essere esportati facilmente. La guerra delle monete sta mettendo in evidenza le variegate forme di protezionismo in tutti i principali paesi del mondo. Trovare un accordo solo sulle monete non basta. Non è casuale che siano falliti tutti gli accordi multinazionali e che il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, sia in stallo.