Luca Mastrantonio, Il Riformista 17/10/2010, 17 ottobre 2010
ECCE GALIMBERTI LA FUFFA FILOSOFICA HA IL SUO GENIO
Vatti a fidare dei lettori forti. Sono un pericolo pubblico. Almeno per gli autori deboli. È il caso, rispettivamente, di un impiegato e di un accademico, un signor nessuno e un Signor G, un dilettante di filosofia e un professionista del copia e incolla. È un caso difficile da raccontare perché mette a nudo, con il rigore della filologia, l’alienazione spirituale cui può portare l’industria culturale senza freni inibitori.
Chi sono i due antagonisti? Lui è Francesco Bucci, impiegato alla Regione, studi di scienze politiche alle spalle e accanto una moglie che non sopporta più di essere tradita per una donna così petrosa: la filosofia. Soprattutto nella persona barbuta e carismatica di Umberto Galimberti, filosofo di cui il Bucci Francesco non si è perso un libro (anche se ha scoperto che averne letto uno è, letteralmente, come averli letti tutti). Galimberti è, dunque, l’altro.
Bucci gli ha dedicato un saggio, La cassapanca del filosofo, di cui è stato anticipato qualche mese fa un estratto dall’Indice dei libri del mese. Teso illuminante, ma rifiutato da qualche decina di editori. Se la storia continua così, la moglie di Bucci, probabilmente lo metterà di fronte ad un aut aut: o me o Galimberti. Speriamo che il nostro non tentenni.
Ma come è nata questa storia? Abbiamo sentito Bucci e ce l’ha raccontata, dopo averci inviato il suo saggio di cui riportiamo, nel box, qualche chicco di grano.
Un paio di anni fa, Bucci si imbatte in alcune incongruenze in alcuni testi di Galimberti. Ci sono anacronismi, paragrafi dotati di un senso un po’ traballante. Li ritaglia, il colleziona ne accumula tanti ma, soprattutto, si accorge che in alcuni casi sono praticamente identici. Altre volte si accorge che sono testi di autori noti, fatti propri da Galimberti. E ancora: una recensione pubblicata su Repubblica o il Sole 24 ore può diventare un testo presentato come se fosse scritto da Galimberti. E ancora, questo testo, magari, viene riutilizzato per un altro libro anche se in un contesto e magari con dei concetti completamente diversi. Possibile? Sì. Bucci scrive a Repubblica, segnalando che le recensioni pubblicate diventano capitoli dei libri di Galimberti (senza che venga indicato l’autore del libro recensito né il riutilizzo, per un libro, di articoli già usciti). Per un po’, Galimberti smette di collaborare. Che stia ripensando il suo metodo? No, dopo un po’ ricompare più lesto che mai, sui giornali e in libreria.
Risposta a Battista. A leggere il saggio di Bucci dedicato a Galimberti si ha l’impressione di essere di fronte a un uomo geniale. Genio della truffa o della fuffa a seconda dei punti di vista. Ma del genio ha indubbiamente il metodo, folle. Quel metodo che, Pierluigi Battista, intuiva nel modus operandi di Galimberti quando, nell’estate 2008, fu trovato con le mani nella marmellata d’altri studiosi. «Lei capisce, professor Galimberti – scriveva Battista sul Corsera - che una volta può essere un incidente, due volte una sfortunata coincidenza: ma quattro volte accertate delineano una prassi, un metodo, un’ossessione compulsiva (...) Lei sa benissimo che non avrebbe potuto farla franca, e che prima o poi i ripetuti misfatti sarebbero venuti a galla. E allora, chi e che cosa ha pensato di sfidare, rischiando di dilapidare con uno sciocco lavoro di copiatura anni e anni di onorata carriera intellettuale? Non è una banale autocritica che le si chiede, ma un’illuminazione sulle oscurità che albergano nei recessi più nascosti dell’essere umano».
Ecco, Bucci ha trovato quel metodo. Consistente – da una parte – nel riusare (anche reiteratamente) brani più o meno ampi di scritti precedenti (non di rado intere pagine e talvolta perfino interi capitoli) senza dichiararne le origini e – dall’altra – nel far proprie, con buona fedeltà testuale, “idee” di altri autori. Questa tecnica del riuso, secondo Bucci, è interessante non tanto perché svela lo spessore scientifico di cartapesta, anzi, di cartacarbone, di Galimberti, ma è significativa dell’industria culturale, quella filiera automatizzata per cui i libri si scrivono quasi da soli, copiando da altri, da se stessi, utilizzando magari editor e redattori che restano nell’ombra e s’arrangiano come possono. Dalla puntualissima analisi di Bucci, emergono i tassi di riutilizzo di testi altrui, non citati, e propri, non citati (ad esempio articoli che diventano introduzioni): la prassi del riuso si è intensificata nel tempo fino all’apoteosi: La casa di psiche (Feltrinelli, 2005) contiene brani riciclati per oltre l’80% delle sue pagine; con L’ospite inquietante (Feltrinelli, 2007) si sfiora addirittura il 100%. Quanto a I miti del nostro tempo (Feltrinelli, 2009), i brani tratti da Repubblica occupano circa il 75% del libro, che ospita anche (per almeno un ulteriore 10%) brani provenienti da altri scritti di Galimberti.
Per la composizione de I miti del nostro tempo, Bucci ha rinvenuto molti prestiti non dichiarati, interi paragrafi fatti propri con variazioni minime, a volte nulle, spesso anche fuorvianti, da M. Aime, G. Anders, E. Balducci, B. Barber, R. Barthes, M. Barucci, F. Basaglia, J. Baudrillard, E. Borgna, A. Chua, P. Clastres, A. Ehrenberg, A. Gaston, I. Hacking, C. Hedges, J. Hillman, R. Madera, M.C. Nussbaum, P.A. Rovatti, R. Simone, C. Vigna, A. Vitullo, M. Yunus, S. Zamagni.
Ma non è il furto, o prestito non dichiarato, non restituito, né il riutilizzo dei propri testi che colpisce Bucci. No. Piuttosto la raccolta non differenziata di concetti mescolati malamente tra loro che riempiono di segatura le testa dei lettori. Bucci ha trovato paragrafi che Galimberti ha preso da sé o da altri autori in cui vengono cambiante le parole chiave. In una notte in cui tutte le vacche sono nere. L’esegesi di Heidegger diventa quella di Jung, la psicanalisi diventa pratica filosofica, il nichilismo diventa senso di colpa, il mito diventa una parola araba...
In un procedimento esoterico, da dottrina religiosa, che è proprio il tipo di dottrina da cui Galimberti vorrebbe liberare i suoi lettori; o alienante, frutto di quell’automatismo tecnologico da cui il filosofo vorrebbe affrancarci. Alla fine del saggio di Bucci, si ha l’impressione che Galiberti assomigli molto alla parodia che Corrado Guzzanti faceva di Gabriele La Porta, per cui l’etimologia si ogni termine filosofico era chiaro: viene dal greco, vuol dire «saggezza».