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 2010  ottobre 17 Domenica calendario

NATI PER CREDERE (NON IN DARWIN)

Quando era studente al Christ’s College di Cambridge, Darwin era rimasto molto colpito da due opere del reverendo William Paley, molto ammirate ai tempi, e si era convinto che Dio si rivela ai credenti, più che con i miracoli, attraverso le meraviglie della natura, l’ordine straordinario del mondo vivente, che solo il disegno e la creazione divina avrebbero potuto spiegare. Darwin, che aveva mostrato scarso interesse per gli studi prima di medicina e poi di teologia cui l’aveva indirizzato il padre, aveva una grandissima passione per gli animali, la natura e la geologia. Per un caso fortunato poté essere accettato come naturalista a bordo del brigantino Beagle, e inviato in ricognizione lungo le coste del Sud America dall’ammiragliato inglese, in un viaggio che durò cinque anni e che gli permise di osservare situazioni di eccezionale interesse biologico, nonché di raccogliere campioni in più parti dell’America meridionale, in particolare nelle isole Galapagos.

Ma Darwin trovò tutt’altro che ordine perfetto e immutabilità. Vi era anzi una tale varietà di nuove specie, anche in ambienti assai prossimi gli uni agli altri, che si convinse che era più semplice pensare che tutti gli organismi viventi discendessero da un unico antenato e si fossero trasformati nel corso delle generazioni, per adattamento a condizioni diverse in ambienti con caratteristiche diverse. Quando poi studiò le considerazioni del demografo Thomas Malthus, pubblicate a fine Settecento, si rese conto che non vi sono praticamente mai risorse sufficienti per consentire di vivere a tutti gli individui che nascono. Maturò così la convinzione che fra coloro che sopravvivono, nell’inevitabile lotta per l’esistenza, spesso qualcuno ha maggiori probabilità di sopravvivere e generare figli. Chiamò questo fatto il risultato di un adattamento migliore al particolare ambiente di vita.

Se le proprietà che hanno permesso ad alcuni di sopravvivere ed essere più fecondi di altri sono ereditabili, i loro figli e discendenti continueranno a godere del vantaggio che ne è derivato, e l’adattamento dell’intera specie potrà migliorare, pur lentamente. Le differenze ereditabili (che oggi chiamiamo mutazioni) insorgono per caso, e quando si dimostrano utili causano una lenta e praticamente continua trasformazione delle specie, nel tempo ma anche nello spazio, perché ambienti diversi richiedono adattamenti diversi. Ecco trovata la causa dell’evoluzione: la selezione naturale, che si potrebbe anche chiamare l’«autoselezione del più adatto».

Già agli inizi del secolo, in Francia, dopo la rivoluzione, quando la parola della Bibbia poté essere contraddetta senza rischiare la prigione o il rogo, Lamarck aveva proposto che gli esseri viventi fossero in continua evoluzione, senza però suggerire una causa convincente. Ora Darwin portava una spiegazione meravigliosa di come la vita aveva potuto svilupparsi ed evolvere. Cadevano però due pilastri della concezione dell’epoca: la fissità delle specie e l’ordinamento perfetto di immutabili organismi viventi.

Non sarebbe stato facile fare accettare una spiegazione così nuova e potenzialmente sovversiva. Il reverendo Paley aveva proposto l’esempio di un uomo che camminando nella brughiera calpesta un oggetto luccicante e scopre che è un orologio, fatto di tanti pezzi diversi, tutti ben rifiniti, composti secondo un disegno preciso e con un preciso scopo. Un oggetto così straordinario può esistere solo perché vi è un orologiaio che lo ha progettato e costruito. Gli organismi viventi sono ben più complicati di un orologio e ve ne sono tanti diversi. Come possono prodursi da soli? Devono essere stati creati. Paley commetteva un errore, perché non si era reso conto che un organismo vivente è sì un orologio, ma è anche un orologiaio. L’orologiaio è l’embrione, che ha origine da un uovo appena fecondato da uno spermatozoo e contiene sia una copia del programma completo per fabbricare un orologio – che gli è stata trasmessa da padre e madre – sia il macchinario biologico che può eseguirlo. Oltre a produrre l’orologio, ovvero l’adulto funzionante, l’orologiaio forma anche copie di se stesso, dando origine ad altri orologiai, che formeranno la prossima generazione.

Il libro di Girotto, Pievani e Vallortigara, introducendo quanto di psicologia e neurobiologia è noto e rilevante al riguardo, ci spiega perché sia così difficile accettare la teoria della selezione naturale, semplice benché non immediatamente intuitiva, quando ne esiste un’altra, che ci è stata insegnata fin da bambini, apparentemente ancora più semplice e in grado di "spiegare" tante altre cose: come sono nate le montagne, i fiumi, il mare, i pianeti e le stelle, tutto nel giro di una settimana. Siamo nati per credere. Crediamo quello che ci sembra più semplice e che ci viene detto dai genitori, dagli insegnanti e da coloro che contano. Ma anche se non ne siamo consapevoli, è la selezione naturale stessa che ci ha reso capaci di credere a queste cose, e ciò che crediamo non è in realtà una cosa sola, bensì un insieme coerente di consigli, ordini e anche minacce di conseguenze spiacevoli se non facciamo quanto è prescritto. Ci ha reso capaci di credere perché credere è di solito nel nostro interesse, soprattutto nella vita sociale, e forse è un aiuto per affrontare la grande e unica certezza: la morte, permettendoci di sperare addirittura in una sopravvivenza.